“Deep Communion Sung in Minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL) offre una rara opportunità di connettersi con voci da questo arcipelago del Sud Pacifico costituito da più di 170 isole, fortemente colpito dagli effetti del cambiamento climatico e ora minacciato dallo sfruttamento minerario del fondo oceanico.
L’installazione sonora immersiva di Taumoepeau fonde pratiche rituali, credo spirituali e sport in un’arena composta da macchine sonore per pagaiare. Gli spettatori sono invitati ad attivarle, innescando una registrazione in cui il coro giovanile della chiesa metodista di Tonga esegue una versione moderna del cerimoniale Me‘etu‘upaki, che chiede un viaggio sicuro per i naviganti dell’oceano. Se l’azione di pagaiare si ferma, si ferma anche il canto.
L’installazione è parte di Re-Stor(y)ing Oceania, a cura di Taloi Havini commissionata da TBA21_Academy e Artspace, Sydney, realizzata in collaborazione con OGR Torino. La mostra presenta due nuove commissioni site-specific delle ariste indigene Latai Taumoepeau e Elisapeta Hinemoa Heta che evidenziano l’impatto di questioni ecologiche sull’Oceania.
Latai Taumoepeau: “Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL)”, 2024. Exhibition view of “Re-Stor(y)ing Oceania”, Ocean Space, Venice. Co-commissioned by TBA21–Academy and Artspace, and produced in partnership with OGR Torino. Photo: Giacomo Cosua
Il titolo della mostra tocca i temi principali che tratti nella tua installazione. Potresti spiegarli?
Latai Taumoepeau: Ho pensato questo titolo molto presto durante il processo di creare la mostra. Avevo già in mente immagini del lavoro che volevo realizzare e anche alcune proposte per realizzare delle azioni collettive. Alcune delle parole del titolo provengono da mie precedenti esplorazioni. Dare un nome, sia a persone che a cose, ha un significato profondo nella mia cultura. È anche uno dei modi in cui scandiamo il tempo. Il lavoro è piuttosto astratto, quindi il titolo era importante per dargli una funzione e dare delle indicazioni agli spettatori.
Deep Communion si riferisce alla relazione ancestrale con l’oceano. L’uso della parola deep esplora un’espansività di tempo e spazio, poiché concepiamo l’oceano come un luogo profondo. La parola Communion è solitamente usata nelle conversazioni religiose, quindi unire le due parole è già un’indicazione.
La parte successiva, Sung in Minor, si riferisce al canto e alle composizioni tradizionali di Tonga, che sono state create principalmente in tonalità minore. È anche un gioco di assonanze fra le parole minor e mining. Archipelago si riferisce a uno spazio immediatamente riconoscibile. E la sottolineatura di GO allude all’azione che deve essere eseguiti dal pubblico. This is not a drill si riferisce sia alla performance che agli eventi emergenziali, alle prove per prepararsi a qualcosa che sta per accadere ed essere pronti. Quello che sto cercando di dire è che ora siamo effettivamente dentro la crisi.
Latai Taumoepeau: “Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL)”, 2024. Exhibition view of “Re-Stor(y)ing Oceania”, Ocean Space, Venice. Co-commissioned by TBA21–Academy and Artspace, and produced in partnership with OGR Torino. Photo: Giacomo Cosua
Come è stata la tua esperienza di esibirti in performance a Venezia e come hanno risposto le comunità locali coinvolte?
Latai Taumoepeau: È stato incredibile lavorare e incontrare le comunità locali, a partire dallo staff di Ocean Space che ha facilitato la collaborazione con altre comunità. Le performance sono state piacevoli e mi sono sentita accolta e privilegiata di lavorare con persone disposte a fare quello che chiedevo. Credo che questo sia il primo punto di interazione da cui può crescere una relazione del pubblico con le idee che esprimo nel mio lavoro.
[Con le comunità sportive di Venezia] c’è stato un bellissimo scambio. Le persone non si sono sentite minacciate dall’invito a esibirsi perché stavano facendo ciò che fanno normalmente. Mi hanno anche detto delle cose meravigliose sulla possibilità di avere visibilità, in particolare le comunità dei vogatori. Potevo vedere dai loro corpi che erano felici di essere guardati e ascoltati su questioni di cui parlavano da tempo. Questo è importante per me perché il mio lavoro è al servizio non solo di quello che voglio dire io, ma di generare voci collettive.Lo sport è uno di quegli atti performativi accessibili, diventati un modo interessante di coinvolgere il pubblico. Per le comunità del Pacifico è anche un mezzo per essere visibili sul palcoscenico internazionale.
È stato interessante realizzare alcune idee inusuali: la performatività dell’atletica in uno spazio religioso, la creazione di un anfiteatro che si estende all’idea di palcoscenico teatrale, l’organizzazione spaziale di corpi e meccanica, e infine la stratificazione di significati sul preesistente, che è esattamente ciò che accade nella realtà. C’erano molte intersezioni entusiasmanti da costruire.
Latai Taumoepeau: “This is not a drill”, 2024. Durational performance part of the exhibition “Re-Stor(y)ing Oceania”, Ocean Space, Venice. Co-commissioned by TBA21–Academy and Artspace, and produced in partnership with OGR Torino. Photo: Nicolò Miana
La tua performance s’ispira ad un antico rituale, la composizione e danza chiamata Me‘etu‘upaki. Potresti spiegare di cosa tratta?
Latai Taumoepeau: Me‘etu‘upaki è una delle composizioni più antiche ancora praticate nella cultura tongana, probabilmente è antica quanto la chiesa di San Lorenzo. Non è più pienamente compresa, perché il linguaggio è cambiato nel tempo. Ma è ancora praticata da alcuni clan tongani e la chiesa cattolica locale la include in repertori ancora in uso.
In un certo senso, Me‘etu‘upaki è anche una mappa di quando le nazioni insulari erano un’entità culturale più vasta, per via dei viaggi tra isole. Questa composizione aveva la funzione di un’esibizione liturgica all’aperto, con canti e movimenti. Veniva eseguita in preparazione al viaggio nell’oceano, le preghiere e i canti erano in lode delle varie divinità dei venti, degli uccelli marini, dell’oceano stesso.
Volevo portare questa composizione nel presente e nello spazio di San Lorenzo per mettere in parallelo diversi concetti di preghiera, e anche per fare in modo che questa preghiera possa ancora oggi avere una funzione, come performance. La canzone, che viene attivata e amplificata quando qualcuno sale sulle macchine e inizia a pagaiare, è cantata da dieci persone della Chiesa Metodista del mio villaggio.
Riuniamo di nuovo un antico canto e movimento per parlare direttamente al passato e al presente, e al futuro, in termini di industria estrattiva. Non devi essere tongana/o per eseguire questa preghiera-azione collettiva, sia come campagna che per cercare una guida da persone politeiste del passato: ciò di cui abbiamo bisogno nell’emergenza climatica è prendere in considerazione il maggior numero di idee.
Elisapeta Hinemoa Heta, “The Body of Wainuiātea”, 2024. Exhibition view of “Re-Stor(y)ing Oceania”, Ocean Space, Venice. Co-commissioned by TBA21–Academy and Artspace, and produced in partnership with OGR Torino. Photo: Giacomo Cosua
Puoi spiegare brevemente come il modo in cui noi occidentali concepiamo la terra e il mare è diverso da quello dei popoli in Oceania?
Latai Taumoepeau: Penso che la differenza principale sia che noi pensiamo di appartenere a un luogo, non che un luogo appartenga a noi.
A questo proposito, il concetto tongano di ‘Whenua’ (pronunciato Fonua) che lega l’idea di corpo e terra d’appartenenza, è stato menzionato in relazione alle tue performance. Puoi spiegarci cosa significa?
Latai Taumoepeau: In lingua tongana, Whenua può significare molte cose diverse a seconda del contesto in cui viene utilizzata. Letteralmente significa terra, ma può anche essere la placenta o un luogo di sepoltura. Il motivo per cui uso questa parola, attorno alla quale ruota la mia pratica, è collegare tutte queste cose insieme.
Whenua si collega alla mia responsabilità come corpo connesso alla terra, sia che la terra sia sopra o sotto il mare, perché per me è sempre terra e un luogo molto specifico, cui appartengo.
Questa responsabilità è il nostro sistema di valori culturali, che pratico ogni giorno e che mi consente di vivere la mia cultura, e non un’altra cultura dominante.
L’altro concetto con cui lavoro è Tautiaki Whenua, che significa essere un custode di Whenua, lavorare sulla relazione tra il Whenua del mio corpo e il Whenua della terra.
Un altro termine importante per me è Faiva, che è l’arte della performance, la collocazione del corpo nello spazio. A volte Faiva viene tradotto in danza, o sport o compito, ma il corpo è sempre presente.
Mi sento più a mio agio a parlare della mia pratica all’interno di queste metodologie e cornici filosofiche e piuttosto che limitarla alla coreografia, alla danza o alla musica. Voglio evitare di avere idee preconcette imposte al mio lavoro, e voglio anche aprirlo a molteplici forme, e non sempre quelle delle culture e dei metodi dominanti.
Latai Taumoepeau,: “i-Land X-isle”, 2013 | Courtesy the artist. Photo: Zan Wimberley
Alcune delle tue performance passate sul cambiamento climatico erano piuttosto forti e drammatiche: ad esempio Land X-isle (2007/2012), con cui hai affrontato l’impatto del cambiamento climatico sulle comunità indigene della regione artica. Nella performance eri sospesa per mezzo di corde a un enorme blocco di ghiaccio che si scioglieva lentamente, gocciolando sul tuo corpo, tracciando un parallelo fra l’esperienza del cambiamento climatico e una nota forma di tortura. Ultimamente, il tuo approccio è stato più ludico e partecipativo, coinvolgendo lo sport come metafora di azione collettiva. Questo cambiamento è in parte per evitare di alimentare l’ansia climatica, che spesso provoca paralisi piuttosto che muovere all’ azione?
Latai Taumoepeau: Land X-isle è stata la mia prima presentazione sull’impatto del cambiamento climatico in quella regione e anche su me stessa. Mi ci sono voluti cinque anni per realizzare quel lavoro, stavo elaborando molto profondamente ciò che provavo riguardo al cambiamento climatico. Penso di aver imparato allora quanto fosse emotivamente difficile affrontare questa realtà. A quel tempo non molte persone avevano accesso alla ricerca sul cambiamento climatico. È stato gravoso negli ultimi quindici anni osservare i suoi impatti e sperimentarli.
Quelle performance riflettono davvero un momento molto specifico nel passaggio della mia pratica dalla danza contemporanea, e dal lavoro in una compagnia, a una pratica performativa che riflette idee personali sul corpo e sulla terra come inseparabili. Mostravo la vulnerabilità e il rischio che si sperimentavano allora, e ancora oggi.
Ora siamo in un momento molto diverso, e quindi il mio modo di fare performance è cambiato. Potrei continuare a fare lavori drammatici basati sulla resistenza, ma non ho più bisogno di esprimermi in quel modo e non credo giovi alla campagna di cui c’è bisogno ora. L’ansia ecologica che le persone vivono non necessita di lavori basati sullo spettacolo, almeno da parte mia.
Ciò che è importante per me ora è l’azione collettiva, e che le persone capiscano le proprie responsabilità, comprendano cosa vuol dire essere dislocati dalla propria terra e le questioni relative alla sicurezza alimentare.
L’aspetto ludico è importante, perché le persone sono più aperte a comprendere cose complesse se sono coinvolte nel gioco: in lingua tongana abbiamo una parola per questo, fakamuna, che significa immaginazione e finzione allo stesso tempo. Credo che noi esseri umani siamo più suscettibili alla trasformazione che è necessaria se la nostra immaginazione resta aperta, se non ci sentiamo minacciati.
Latai Taumoepeau: Repatriate, 2022 | Courtesy the artist. Photo: Zan Wimberley
Stai pianificando di coinvolgere comunità altrove nel tuo lavoro sul cambiamento climatico?
Latai Taumoepeau: Ho vissuto principalmente in Australia, molto del mio lavoro è stato prodotto e presentato lì. Quest’ultimo lavoro mi ha permesso di connettermi con ciò che sta accadendo a Tonga.
Sto cercando di trasferire la mia pratica nella mia terra iniziando a lavorare su progetti ecologici e di sicurezza alimentare, e anche di mettere in contatto le comunità della diaspora con le persone che vivono sulle isole, nelle loro case ancestrali.
Sono anche entrata in contatto con comunità nella società civile di Tonga che hanno bisogno di aiuto per programmi basati sull’istruzione, attraverso la creatività.
L’urgenza dei problemi ecologici influenza concretamente il modo in cui le persone vivono oggi in queste isole. Una delle cose che possiamo imparare da queste comunità è quanto siano autosufficienti. Nel Pacifico, quando ci sono cicloni, inondazioni e tsunami, sono le persone del luogo che svolgono il lavoro medico e di emergenza. Non ci sono dipartimenti governativi specializzati per prendersi cura di queste cose.
Latai Taumoepeau: “Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL)”, 2024. Exhibition view of “Re-Stor(y)ing Oceania”, Ocean Space, Venice. Co-commissioned by TBA21–Academy and Artspace, and produced in partnership with OGR Torino. Photo: Giacomo Cosua
Parlerai ancora con il tuo lavoro dell’estrazione mineraria in acque profonde?
Latai Taumoepeau: Stiamo cercando di saperne di più, ma le informazioni sulla ricerca cambiano molto rapidamente. E anche la ricerca può essere corrotta. Spesso dimentichiamo la quantità di ricerca con cui gli artisti devono fare i conti per comprendere come funzionano le cose.
C’è urgenza, però. Ciò che stiamo cercando di fare a livello regionale è rallentare il processo di estrazione in mare profondo, almeno mettendo una moratoria, per prevenire una sorta di catastrofe se l’estrazione mineraria non è ben regolamentata. Ci sono gruppi (di attivisti) che mostrano come funziona l’economia, come viene fatto il ‘greenwashing’ e le alternative praticabili che non dipendono dall’estrazione mineraria nell’oceano.
La parte dell’oceano in cui dovrebbe iniziare l’estrazione è la zona di Clarion-Clipperton, un’area enorme tra il Messico e le Hawaii, e molte persone pensano: tanto è lontano. Ma è un solo oceano. E ha un impatto su tutti noi.
Add comment