Lia Drei, nata a Villa Strohl-Fern, nella casa studio del padre Ercole Drei, famoso scultore e pittore, tra sculture, gessi, pennelli e colori, non poteva che essere predestinata all’arte. E l’arte abbracciò in modo pieno e appassionato, nonostante il padre per lei avrebbe voluto un’esistenza più tranquilla e borghese, magari di professoressa di lettere. Fu coraggiosa nelle sue scelte esistenziali, ma anche nella declinazione linguistica della sua pittura, andando, fin dall’inizio, controcorrente. All’inizio degli anni Sessanta, periodo in cui in Italia imperava la pittura figurativa, decise di dedicarsi alla pittura astratta, all’informale e poi alle ricerche gestaltiche e strutturaliste, insieme al suo compagno Francesco Guerrieri, per il quale rappresentò uno stimolo determinante nelle sue decisioni fondamentali, quelle stesse che avrebbero connotato il loro comune percorso d’arte e di vita. Di Lia, forte e decisa, di alta intelligenza creativa, di grande raffinatezza e sensibilità, che propose il suo fare innovativo precorrendo i tempi, come accade per la vera Arte, Francesco Guerrieri, offre in questa intervista(l’ultima concessami prima della sua scomparsa), un ritratto ricco di aspetti inediti che ci permettono di conoscere meglio la sua storia creativa e umana, consegnandocene, in frammenti di vera e profonda densità emozionale, la dimensione più autentica di donna e artista.
Ercole Drei, Francesco Guerrieri e Lia Drei all’inaugurazione della mostra del Gruppo-63, Roma, 1963
In che occasione hai conosciuto Lia? Immaginando le tue parole come un fermo immagine di allora, la puoi descrivere?
FRANCESCO GUERRIERI– Conobbi Lia Drei nel febbraio del 1958 frequentando l’ Accademia dell’Associazione Artistica Internazionale in via Margutta. A detta degli allievi era considerata la più bella di tutta l’Accademia. Bruna con gli occhi neri aveva uno sguardo che ti radiografava l’anima. Disinvolta nel disegnare la figura come chi avesse avuto già lunga esperienza. Ignoravo che Lia fosse figlia del famoso scultore e pittore Ercole Drei fino a quando una sera mi invitò ad accompagnarla a casa nella allora favolosa Villa Strohl-Fern. Quattro mesi dopo i nostri compagni di Accademia vennero ad assistere al nostro matrimonio in Santa Maria del Popolo. Ovviamente a Roma in Piazza del Popolo.
“… E pian piano mi accompagnavano a Piazzale Flaminio, sotto Villa Strohl-Fern, dove abitavo con mio padre. E così passavamo per lungotevere Ripetta, sempre a piedi, discutendo di arte”. Sulla scia delle parole di Lia, puoi ricostruire quel periodo, quel tempo fertile di idee e di passioni, pieno di entusiasmo e di desiderio di cambiamento?
F. G. – Continuammo a frequentare l’Accademia di Via Margutta anche dopo il matrimonio. Inoltre io superai l’esame di ammissione ai Cours de dessin de l’Académie de France à Rome e di conseguenza mi dividevo tra Villa Medici e via Margutta. Tra i nostri compagni di Accademia si formò un gruppo di una dozzina di amici. La sera ci riunivamo in una osteria a discutere con vivace e severa critica sui disegni che avevamo fatto. Questo nostro gruppo si chiamò“da Zarù” dal nome dell’osteria che frequentavamo in Piazza Navona. Da lì a tarda sera accompagnavamo Lia a Piazzale Flaminio. La domenica e i giorni festivi andavamo a disegnare e a dipingere dal vero nelle campagne intorno Roma (il più delle volte sulla via Tiberina) trasformando già il paesaggio in espressione astratto-informale. Tra febbraio e marzo del 1960 ci fu concesso di realizzare undici personali simultaneamente nell’ala sinistra del Palazzo delle Esposizioni di Roma. Già si avvertiva in molti di noi (in me e in Lia Drei particolarmente) l’esigenza di rinnovarsi oltre l’”informale”.
Lia Drei, Quattro azzurri, 1968, acrilico su tela, 100×100 Cm, 1968
Quanto è stato formativo per Lia vivere a Villa Strohl-fern , non solo a contatto continuo con l’arte del padre Ercole , ma con quello che era allora un vero cenacolo di artisti?
F. G.-Lia Drei era nata nel 1922 nella casa-studio di suo padre tra gessi e bronzi, cavalletti , crete, colori e pennelli, nel grande parco boschivo di Villa Strohl-Fern confinante con Villa Borghese. Era naturale per lei bambina, oltre che arrampicarsi sugli alberi e giocare col cane di famiglia, andare a curiosare nei numerosi studi degli altri artisti che il mecenate alsaziano barone Alfred Wilhelm Strohl-Fern aveva sistemato in quel suo grande parco per puro amore dell’Arte. Era naturale che Lia, naturalmente dotata, fin da piccola prendesse in mano matite e pennelli e scoprisse di “saper disegnare” e “saper dipingere”, come sentiva dire dagli adulti artisti abitanti di Villa Strohl-Fern. Uno di questi, il pittore Giorgio Hinna, la prese a cuore e le insegnò i segreti del mestiere. Ovviamente molte cose di pittura e di scultura Lia , direttamente o indirettamente, le apprendeva da suo padre Ercole Drei, i cui insegnamenti di vita e di arte furono particolarmente importanti per lei da quando all’età di otto anni rimase orfana di mamma.
“Di un’opera d’arte parla il tempo che l’ha creata”- scrive Lia. Le numerose opere su carta , affiorate dal passato e sottratte alla dimenticanza, sono opere di un tempo sorgivo, di quel tempo magico in cui si consumavano le prime, sostanziali , prove d’artista. Quanto parlano di quel periodo e a quali ricordi ti riconducono? Secondo te, quanto sono importanti queste opere giovanili in una ricostruzione analitica di quello che poi è stato il suo percorso futuro?
F.G.-Per i ricordi che mi suscitano queste opere credo di aver già risposto parlando del periodo dell’Accademia di via Margutta, dell’Accademia di Francia a Villa Medici, del gruppo “da Zarù”, delle gite fuori porta per dipingere ancora davanti al paesaggio naturale per interpretare e per astrarre. Devo aggiungere che la Roma degli anni tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 (più variegata di quella solo in parte rappresentata dal famoso film “La dolce vita” di Fellini) era veramente per noi giovani artisti una città magicamente pervasa di creatività, quando era normale incontrarsi a prima sera tra Piazza del Popolo, Via del Babuino e via Margutta e parlare di Arte in ogni espressione possibile, una città dove allora era naturale essere artisti innovatori. Lungo sarebbe l’elenco degli artisti emergenti in quel periodo poi divenuti famosi a livello nazionale e internazionale. Fu un periodo d’intensa ricerca di una espressività nuova che superasse il solipsismo dell’informale del dopoguerra e restituisse alle arti visive l’originaria proprietà di comunicare intersoggettivamente. In questo senso si possono già intravedere o scoprire in queste opere di Lia Drei, ancora pervase da un intenso sentimento della natura, elementi modulari sparsi che prefiguravano possibili strutturazioni della visione.
Lia Drei nel 1968
Tu e Lia avete condiviso un comune percorso di vita e d’arte . Dopo l’esperienza astratta e materica, come siete arrivati allo strutturalismo visivo e all’arte programmata? Cosa ha determinato il cambio di direzione nella vostra ricerca? Puoi descrivere il fervore ideativo, lo spirito di ricerca e di innovazione linguistica che animava quel periodo ?
F.G.- Come già ho detto prima, negli artisti che venivano alla ribalta tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 era forte l’esigenza di ristabilire i contatti con il mondo, superando il soggettivismo spesso esasperato, a volte compiaciuto, di dipingere per se stessi , proprio dell’informale affermatosi nel dopoguerra e successivamente, in molti casi, divenuto ripetizione accademica conformistica .In breve divenne necessario per ognuno di noi realizzare visivamente un linguaggio intersoggettivo. Lia Drei ricavò dalle precedenti esperienze pittoriche un modulo spaziocromatico curvilineo che poteva essere chiaramente percepito in potenziali combinazioni infinite. Successivamente operò con moduli tondi e triangolari con accentuati effetti ottico-cinetici. In lei fu sempre di importanza fondamentale la ricerca sulla simultaneità e sulla complementarità dei colori perché Lia volle sempre trasmettere emozioni e sentimenti anche in processi rigorosamente programmati.
Quale è stato l’apporto di Lia alla formazione dei gruppi cui avete dato vita negli anni ’60 di cui tu sei stato in gran parte l’ ideologo?
F.G.-Quello di Lia fu sempre un apporto importante per l’alta sua intelligente creatività e per la forte personalità sia nella formazione del Gruppo 63 sia ( dopo la scissione di questo Gruppo durante il 12° Convegno Internazionale di Verucchio, settembre 1963) nel successivo Sperimentale p. che operò intensamente per tutti gli anni ’60 e oltre. Fu molto importante la Dichiarazione di poetica del Binomio Sperimentale p. sottoscritta da Lia Drei e Francesco Guerrieri(prima stesura settembre 1963 e seconda stesura dell’aprile 1964) contenente l’ enunciazione dei fondamentali principi teorici e operativi e le finalità della ricerca.
Lia Drei, Cristallo trasgredito 1972, acrilico su tela, 130×125
Siete stati tra i primi tu e Lia a realizzare , insieme o individualmente, “ eventi performativi”, “Opere-ambiente” “happening” e a coinvolgere nel processo creativo il fruitore con l’opera installativa “Un modo di farsi l’arte insieme all’artista”. Oggi come collochi quelle esperienze d’avanguardia e, in esse , quale ruolo fondamentale spetta a Lia? L’esperienza di “Spazio Alternativo” è stata una tappa importante nella storia creativa di Lia?
F.G. Personalmente già nel 1967 avevo pubblicato nella rivista Arte Oggi articoli di contestazione globale di stampo marcusiano contro il Sistema dominante. Nell’estate del famoso 1968 ,dopo la contestazione della Biennale di Venezia, io e Lia, coerentemente con tali premesse ideologiche miranti all’autogestione dell’Arte non solo da parte dell’artista ma anche da parte del pubblico fruitore o popolo dell’Arte, iniziammo a costruire strutture in legno verniciato in diversi colori che potevano essere collocate con la libera partecipazione in divenire (happening) del pubblico in modi e tempi diversi, come difatti avvenne fino al 1970 nelle piazze ( a Fiumalbo, a Rieti, a Mentana)e in gallerie d’arte (Un modo di farsi l’arte insieme all’artista a Roma,Galleria L’Uscita, a Firenze ,Centro Techne e a Bologna, Galleria 42).
Successivamente nelle “opere-ambiente”, oggi definibili “installazioni”, della metà degli anni ’70, il pubblico può entrare nell’opera ambiente ma solo come fruitore. Non è più una partecipazione attiva e creativa. Tutto l’ambiente assurge ad opera e vi si può anche entrare, ma l’opera non è essenzialmente modificabile. In queste opere-ambiente(1977: Partitura,Spazio Alternativo, Roma; Galleria Il Canale, Venezia; Studio Arti Visive, Matera; Pinacoteca di Ravenna)Lia Drei conficca spilli con la capocchia bianca o nera o colorata nelle pareti della Galleria o del Museo disponendoli in forme geometriche e utilizzando anche le ombre degli stessi spilli. L’ombra è la pittura della luce scrisse nel 1978 sotto un unico spillo con relativa ombra su una parete di una sala personale del Palazzo delle Esposizioni di Roma (Rassegna Artericerca 78). Successivamente in Concerto floreale (Spazio Alternativo, Roma, 1979) arricchì l’opera-ambiente con plastiche trasparenti ritagliate in varie forme curvilinee disegnate o colorate in simbiosi con gli spilli nelle pareti della Galleria. Durante questa mostra Lia suonava con la chitarra cantando la sua composizione intitolata L’amore è un fiore come parte integrante di questa opera-ambiente.
Chiaramente tutte queste realizzazioni di opere-ambiente e le successive mostre di Metapittura furono possibili per la libertà creativa che ci dava l’autogestione di Spazio Alternativo (1976-1986) in piena autonomia rispetto al mercato dell’arte e alla relativa critica ufficialmente riconosciuta dalle gallerie private e dalle istituzioni pubbliche nel Sistema dominante.
Lia Drei, Quadrati triangolati, 1972
La musica, l’universo dei suoni affascina e coinvolge Lia quasi al pari dell’arte e dell’universo dei colori. Mi sembra che entrambi, nella vastità di combinazioni possibili, sono cibo sempre nuovo per la sua anima. Ma c’è musica nel rigore strutturale delle sue composizioni “Spaziocromatiche” ? In esse la scala ritmica dei suoni e quella cromatica riescono a generare ibridazioni compositive originali?
F.G,-Indubbiamente c’è una struttura musicale nelle nostre opere del periodo del Gruppo 63 e dello Sperimentale p.. In particolare nelle composizioni “spaziocromatiche” di Lia la musicalità è maggiormente vibrante per effetto delle variazioni tonali o per le intensificazioni da accostamento dei colori complementari o per i contrasti simultanei dei colori principali. Lia aveva una sicura padronanza nelle assonanze tra suoni, segni e colori perché conosceva la musica , suonava la chitarra e componeva poetiche canzoni. Tutto ciò le ha consentito di realizzare originale musica visiva ossia “musica senza suono” con le sue opere pittoriche.
Per comprendere meglio l’importanza della musica nella vita di Lia debbo confidenzialmente raccontare che a quaranta anni di età scoprì che da suo padre oltre l’attitudine all’arte aveva ereditato anche il glaucoma che, se non curato tempestivamente e quotidianamente, conduce alla cecità. Per poter continuare ad esprimersi artisticamente nel caso di questa malaugurata eventualità Lia decise di studiare musica perché si può fare musicalmente arte anche senza la vista. Così fece, seguendo con impegno rigoroso lezioni per cinque anni e imparando a suonare magistralmente la chitarra classica. Fortunatamente Lia conservò la vista. La musica insieme alla pittura le fu di aiuto comunque per sopportare tutti gli altri gravi malanni che afflissero poi la sua esistenza.
Lia Drei e Bice Lazzari , alla mostra Strutture visive, Galleria Guida, NAPOLI, Aprile 1965. Foto di Sergio Pucci
Lia Drei amava la natura e il suo “bosco” a Monte Mauro era la sua riserva di emozioni vitali e poesia . Quanto delle forme, delle segrete armonie della natura c’è nei suoi triangoli, nei suoi tondi?
F.G.-Immenso amore per la natura fin da bambina crescendo nel parco boscoso di Villa Strohl-Fern. Questo amore non era limitato agli alberi e alla vegetazione in genere, ma si rivolgeva a tutti gli aspetti del nostro mondo, manifestandosi concretamente nelle nostre arrampicate sulle rocce delle alte montagne o tuffandosi nelle acque dei mari dalla Calabria fino al Mare del Nord. Dopo aver peregrinato liberamente e avventurosamente per tutta l’Europa decidemmo di fermarci a Monte Mauro nell’Appennino tosco-romagnolo vicino alla patria dei suoi genitori . Lia trasformò in venticinque anni una terra arida e selvatica in un ‘opera d’arte dove Arte Programmata e Metapittura si fondevano meravigliosamente finché nel 2001 ignoti criminali ci incendiarono tutto. Dopo questo evento tragico Lia volle sublimare il ricordo del suo parco naturale dipingendo un ciclo intitolato Il Tempo del Sogno , termine usato dagli aborigeni australiani per indicare la Pittura, e presentando nel 2004, un anno prima di abbandonare per sempre questo mondo, una mostra intitolata Un giardino di triangoli.
Lia dice delle tue opere : “ non hanno paura del tempo che passa. Rinascono ogni volta che io le guardo”. Anche le sue opere non hanno paura del tempo che passa e rinascono, sempre nuove, ogni volta che io le guardo. E’ forse in questo la vera grandezza di un’artista? E’ in questo la vera grandezza di Lia?
F.G.-E’ certamente così. Solo una grande artista come lei poteva enunciare un pensiero profondamente vero come questo. Ogni opera d’arte è potenzialmente ricca di significati che si rinnovano continuamente nei tempi successivi al momento della realizzazione. Possiamo comprendere così come le nostre opere degli anni ’60 siano accettate e apprezzate come espressioni attuali dai giovani di oggi, mentre trovarono accoglienza prevalentemente fredda o addirittura ostile all’epoca in cui furono eseguite e presentate. In questo caso dobbiamo concordare con chi afferma che l’Arte spesso precorre i tempi.
Lia Drei e Francesco Guerrieri nel 1960
Ricordo la mostra di Lia Drei alla Galleria d’arte Il Triangolo, di Cosenza:
Il tempo del sogno: un giardino di triangoli, mostra personale di Lia Drei, Galleria Il Triangolo, Cosenza, 2005.