Il titolo di questa conversazione con Caterina riassume quanto lei mi ha insegnato sul senso della vita: ha valore ogni nostra esperienza vissuta con consapevolezza, di noi stessi e del nostro rapporto con l’universo, sia quello delle galassie che quello delle gocce d’acqua delle quali siamo fatti. Se le sue ricerche sultempo ci hanno condotti spesso a misurarci col passato, d’altro canto io e Caterina abbiamo sempre condiviso un concetto di futuro secondo il quale l’essere umano tende a migliorare, di giorno in giorno, sé stesso ed il mondo in cui vive.
Questa nostra convinzione, proprio negli ultimi anni, si va rivelando infondata ed utopica, continuamente smentita dalla regressione socio-culturale cui assistiamo. Ma, entrambi, continuiamo a cercare nella multiforme e variegata galassia dell’arte, la luce necessaria a percorrere la strada verso il futuro.
Il nostro modesto contributo a rendere questa strada meno ardua per tutti, sarà costituito da semplici strumenti ottici che consentano non di vedere il lontano vicino oppureil piccolo grande, ma di considerare l’indefinito affascinante e poetico, come appare a noi.
La nostra conversazione si svolge mentre Caterina sceglie le opere che confluiranno in due personali previste per il prossimo mese di maggio: una al MAC di Guarcino (FR), che si intitolerà Temporale e l’altra al Museo BoCS di Cosenza, che si intitolerà Conversioni.
Buongiorno Caterina. Conosco i momenti salienti della tua carriera di Artista e alcuni dei temi che la caratterizzano, in particolare mi incuriosiscono i titoli di due personali: uno è Transforma e l’altro Divenire mare.
Caterina Arcuri: Queste due mostre segnano un momento di passaggio dalle mie installazioni composte da elementi geometrici e nelle quali la natura compariva come metafora a quelle, successive, dove la natura ha iniziato ad apparire in maniera spontanea e irruenta, quasi senza che lo decidessi! La natura ci insegna l’adattamento, l’evoluzione e il divenire come regola, e i titoli che citi tendono a recepire, senza esitazioni, tali insegnamenti.
I tuoiDialoghi sul Corpo Assente ricadono in questo ambito?
Caterina Arcuri: In parte sì. Il concetto di corpo assente allude al mio mettere in scena l’essere umano mediante parti anatomiche indefinite e parziali, come ombre che tentino di solidificarsi. La frustrazione che connota il rapporto tra noi e le ombre ci insegna a guardare il mondo da punti di vista sempre diversi perché, se queste appaiono graziose, l’oggetto che le proietta può risultare privo di qualsiasi interesse e viceversa.
Oggi il nostro corpo muta di continuo: tangibile e reale stamattina, proiezione dei nostri frustrati desideri stasera, personaggio disegnato e modellato da un software A.I. stanotte. Il mio dialogare con un corpo assente, tenta di riportare l’uomo alla dimensione “analogica” (nel senso di pre-digitale) di strano allotropo empirico-trascendentale (Foucault) che continuo a trovare definitiva. Credo, comunque, che la continua, fluida, dislocazione e risignificazione dei corpi, che viviamo ogni giorno, renda la nostra epoca interessantissima e ci approssimi ad una sorta di, spero non noiosa, immortalità!
Da una occhiata alle tue ultime mostre (penso soprattutto ad H24 Ricordo il Futuro) emerge il desiderio di dialogo e di vicinanza con i fruitori delle opere. Quanto e come risponde il pubblico delle mostre alla disponibilità tua e dell’arte H24?
Caterina Arcuri: Il concetto di H24 affonda le radici in uno dei momenti peggiori della storia contemporanea, quando una incontrollabile pandemia ci chiudeva in casa terrorizzati e impotenti. Proprio in quei giorni era in programma l’inaugurazione di una mia personale, nel cui titolo emergeva lo stato d’animo che già aveva caratterizzato i due mesi precedenti: Forse ci siamo. Nonostante fosse appena iniziato quello che poi avremmo chiamato lokdown, il 14 marzo 2020, alle 18, le luci della galleria si accesero e la mostra ebbe la sua inaugurazione, senza pubblico, ma la provvidenziale vetrata che proietta il mio Open Space su una strada, rappresentò una buona possibilità di fruizione della mostra per chi si trovasse a passare o raggiungesse in auto la galleria.
È inutile nascondere che il terrore connotante quei giorni non fece di quell’evento la mia mostra più visitata, ma la serranda alzata e le luci accese, tutte le sere per i due mesi successivi, furono, non solo per me, un momento di sollievo e di normalità fatta di arte e di idee. Da questa esperienza nacque, per gemmazione spontanea, il titolo H24 Ricordo il Futuro. Con questo titolo volli allargare e rinnovare il legame tra me, le mie opere e chi mi sta intorno, considerando tale legame momento fondante il concetto stesso di arte. H24 vuol ricordare a tutti la duplice possibilità di approccio all’arte: da consapevoli fruitori e da sensibili facitori.
Mi interessa che l’arte e la creatività siano percepite come momenti e strumenti comuni nella vita di ognuno e le opere come lenti d’ingrandimento per guardare il mondo e non come intoccabili e sacre reliquie. Per quanto riguarda la risposta del pubblico, tendo a valutarne la genuinità e preferisco, da parte di chi si avvicini alle mie opere, un approccio semplice, diretto ed empatico che si verifica spesso e mi lascia sempre luminosa dentro.
Una domanda relativa al tuo ruolo di docente di pittura. Come racconti ai tuoi studenti la parte di XX secolo che hai vissuto, come donna e come artista, e cosa hai portato con te nel XXI secolo?
Caterina Arcuri: Non racconto il “secolo scorso” né “com’era il mondo una volta”. Non guardo all’arte “per periodi”, mentre mi capita di citare gli artisti, senza dividerli in vivi e morti. Cito spesso Marcel Duchamp e altrettanto spesso Joseph Beuys. Di Marina Abramovich, racconto il coraggio e di Bill Viola la visionarietà. Siccome il trend tra gli studenti, oggi, è il figurativo, mi capita di partire da Piero Della Francesca, per arrivare ad Anselm Kiefer ma anche a Banksy.
Ma quando uno studente cerca davvero una strada originale da percorrere, l’artista di cui gli parlo, almeno una volta, è Toni Ferro, insieme al quale ho percorso strade tortuose, polverose e in salita, ma che ci hanno condotti sempre in luoghi straordinari!
Come sai, tendo a semplificare in tre grandi filoni l’attualità dell’arte: a sinistra pongo l’arte digitale con tutti i suoi addentellati di Realtà Aumentata, Metaverso, Intelligenza Artificiale, Non-fungible Token, etc.; a destra pongo il ritorno alla figurazione ed alla “corporeità”; al centro di queste due tendenze pongo il movimento carsico ed inarrestabile della Street Art. Cosa pensi di questo mio schema?
Caterina Arcuri: Penso, appunto, si tratti di uno schema e, ti confesso, mi interessa poco. L’unica cosa che mi sento di salvare della tua analisi è la descrizione dell’arte come di un universo vasto, caratterizzato da marcate differenze. Ritengo che proprio grazie alle differenze tra un artista e l’altro, l’arte sopravviverà a qualsiasi cataclisma. Ancora una volta la natura ci è maestra ed ispiratrice: se si cita la biodiversità di un habitat come dato positivo e salutare per l’ambiente stesso, ci sarà un perché!
Un tema ricorrente nelle mie riflessioni sulla contemporaneità, a suo tempo innescato dall’amico Giovanni Cafarelli ed alimentato dalle chiacchierate, sempre illuminanti, con Roberto Pietrosanti, è costituito dalle metamorfosi che la poetica di un artista sembra subire nel corso della vita. In proposito cito sempre quanto ci veniva detto da studenti (e che io, per l’appunto, non comprendevo bene) sul fatto che l’Inferno, in Dante, fosse la cantica della giovinezza e della corporeità, mentre il Paradiso, quella dell’età matura e della spiritualità. Cosa ne pensi?
Caterina Arcuri: Penso a come il tema del corpo in questa conversazione tenda a riemergere e a come, ancora una volta, il mio punto di vista sia diverso dal tuo! Fino a qualche anno fa, dicevamo prima, le mie installazioni sembravano basarsi su geometria e metafisica, ora parlano anche la lingua della natura e della metacorporeità. Ritieni questa mia evoluzione in lieve controtendenza con quanto hai appena affermato? La nostra vita è un romanzo lungo. Può iniziare col racconto di un’alba o di un tramonto, con la descrizione di un uomo che scende le scale o di un giovane triste in un treno. Nessuno di questi elementi è però prevedibile, sincronizzabile o dirigibile e questo mi piace da morire!
Meraviglioso.
Grande artista, grande critico.
Una splendida conversazione.
Un vai e vieni nel tempo nello spazio e nel mondo dell’arte.