Associando idee audaci a ricerca scientifica e avventurose spedizioni sul campo, le opere di Michael Najjar coniugano arte e tecnologia e interrogano il rapporto tra realtà e rappresentazione nell’immagine fotografica, elaborata attraverso un’ampia gamma di manipolazioni. L’artista tedesco, che vive e lavora a Berlino, ha partecipato a importanti personali e collettive presso istituzioni internazionali ed è stato nominato due volte per il prestigioso premio fotografico “Prix Pictet”.
I suoi progetti hanno toccato argomenti rilevanti per il nostro presente e per l’immediato futuro, quali la trasformazione delle megalopoli attraverso la compattazione delle reti informative, la virtualizzazione dei mercati finanziari attraverso gli algoritmi, l’intelligenza artificiale, la biogenetica e la ricerca spaziale. È diventato uno degli astronauti pionieri di Virgin Galactic e a breve volerà nello spazio a bordo dello spazioplano sub-orbitale SpaceShipTwo, destinato a essere usato per il turismo spaziale. Abbiamo parlato con Najjar di cambiamento climatico, delle implicazioni socio-economiche che esso comporta e di un futuro possibile grazie alla tecnologia.
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posthuman waves, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame- Ed. di 6 + 2 AP, 132 x 202 cm. | Courtesy Studio la Citta’ , Verona.
Potresti parlarmi della rappresentazione del paesaggio nelle tue opere? Le hai descritte usando le espressioni ‘fotografia ibrida’ e ‘paesaggio post-naturale’. Potresti spiegare perché’?
Michael Najjar: il nostro rapporto con il paesaggio è radicalmente cambiato, non esistono paesaggi o natura incontaminati, dobbiamo accettare che nell’era dell’Antropocene l’essere umano lo ha radicalmente alterato. Il concetto romantico del XIX secolo, il paesaggio unicamente come sfondo dell’agire umano, è tramontato. Ecco perché i miei paesaggi sono sempre abbinati all’intervento tecnologico umano.
Quali sono state le tecnologie nel campo dell’ingegneria climatica, già esistenti o sperimentali, che ti hanno maggiormente colpito o ispirato durante la ricerca e la preparazione di cool earth?
Michael Najjar: Penso che lo sviluppo tecnologico più interessante al momento sia la cattura e stoccaggio del carbonio, una tecnologia che consente di estrarre la CO2 dall’atmosfera e immagazzinarla sottoterra in grotte– come sta accadendo in Norvegia – o liquefarla e pomparla nel terreno dove si mineralizza entro un paio d’anni, che è l’approccio islandese. È una tecnologia promettente: il problema è come adattarla a interventi su larga scala, come avere filtri in tutto il pianeta per catturare la CO2. Già questo accade, ma su scala molto ridotta.
carbon capture, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame. Ed. di 6 + 2 AP, 280 x 182 cm. | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Interessante è anche la gestione della radiazione solare. Questa tecnologia è pensata per raffreddare la temperatura globale alterando la luce rifratta dalla terra, il cosiddetto ‘albedo’. Abbiamo appreso dalle passate eruzioni vulcaniche che i vulcani possono raffreddare la temperatura globale rilasciando particelle di zolfo nella stratosfera che riflettono nello spazio una parte della radiazione solare che raggiunge il nostro pianeta.
stratospheric injection, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame, Ed. di 6 + 2 AP, 67 x 102 cm. | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Nell’anno successivo ad alcune grandi eruzioni, la temperatura della terra è scesa anche di 1°. Questo fenomeno potrebbe essere replicato iniettando artificialmente particelle nella stratosfera. È un metodo molto dibattuto tra gli scienziati, poiché siamo certi che funzioni ma sappiamo molto poco dei suoi effetti collaterali.
Marciamo dritti verso i 2°, forse 3° di riscaldamento globale a fine secolo. Ciò porterà enormi e drammatici cambiamenti al nostro habitat. Se entro la metà del secolo vedessimo che le cose vanno nella direzione sbagliata, e solo allora iniziassimo a sperimentare queste tecnologie, sarebbe troppo tardi per agire. L’IPCC (gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) raccomanda di iniziare a padroneggiare queste tecnologie sin da ora.
silk leaf, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec wood/aluminium frame, Ed. di 6 + 2 AP, 202 x 132 cm. Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Dunque il campo dell’ingegneria climatica è ancora in fase sperimentale e non sono ancora noti i potenziali rischi se applicato su vasta scala. Ci sono anche questioni etiche associate a interventi che potrebbero agire sull’intero sistema climatico del pianeta, come chi decide cosa e il rischio che i benefici per alcuni possano svantaggiare altri. Che opinione hai a riguardo?
Michael Najjar: stiamo parlando di un problema planetario e non abbiamo alcuna istituzione globale che abbia il potere di implementare determinate decisioni e normative a questo livello. Le nazioni agiscono nel proprio interesse e non tutti i paesi sono contrari agli effetti del cambiamento climatico. Ad esempio nell’Artico, lo scioglimento dei ghiacci marini sta aprendo nuove rotte commerciali e nei prossimi decenni saranno disponibili nuove opportunità per l’estrazione di risorse. Paesi come la Russia vedono nel cambiamento climatico opportunità e profitti.
Un giorno alcuni paesi potrebbero iniziare a utilizzare interventi d’ingegneria climatica senza discuterne con i loro vicini. Se la Cina inizia, come sta già accadendo, a impadronirsi delle nuvole dall’India per produrre pioggia artificiale in Tibet, ciò significa che le nuvole mancheranno in India, che potrebbe quindi adottare contromisure, ad esempio la gestione della radiazione solare per proteggere la propria popolazione ed economia abbassando la temperatura. Questo è un problema enorme implicito nell’intero argomento del cambiamento climatico.
floating generators, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame – Ed. di 6 + 2 AP, 67 x 102 cm. | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
In un modo o nell’altro, sembra che il cambiamento climatico sarà foriero di nuovi conflitti.
Michael Najjar: assolutamente, sì.
Hai raccontato che la tua partecipazione sul campo, a volte anche molto rischiosa, nella la fase preparatoria dei progetti, è un aspetto performativo essenziale del tuo lavoro.
Michael Najjar: questo aspetto è culminato quando ho iniziato a lavorare sul tema dell’esplorazione spaziale. Mi sono subito reso conto che sebbene lo spazio sia un argomento affascinante, solo poche centinaia di persone al mondo hanno vissuto l’esperienza del viaggio spaziale.
Il coinvolgimento fisico in situazioni estreme e l’allenamento sono per me le basi per creare opere d’arte rilevanti. Ecco il perché del mio addestramento spaziale in Russia, Germania e Stati Uniti, per imparare come reagisce il mio corpo in circostanze estreme, e per questo sono diventato un futuro astronauta di Virgin Galactic e volerò io stesso nello spazio nel prossimo futuro.
electric rainfall, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame, Ed. di 6 + 2 AP, 67 x 102 cm | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Immagino che questo riguardi anche la ricerca sul campo che hai effettuato per cool earth. Quali sono state le situazioni più difficili che hai dovuto affrontare nell’Artico e in Islanda?
Michael Najjar: Mi sono recato in Islanda all’inizio del 2021 per una prima produzione, in pieno lockdown. Probabilmente ero l’unico turista in Islanda in quel momento! Ho scalato le montagne per vedere le eruzioni vulcaniche e scattare delle foto, e dal momento che non c’era nessuno mi sono potuto avvicinare molto ai crateri in eruzione. Questo era ovviamente molto pericoloso, quindi ho dovuto studiare le immagini satellitari per sapere come tornare ai crateri di notte e per assicurarmi che i flussi di lava non mi sbarrassero la via del ritorno. Ma d’altra parte in questo modo ho potuto sentire davvero il calore, la trasformazione della terra e l’enorme, pura potenza della natura. Questo credo s’intuisca dal grande trittico in mostra intitolato eruption.
eruption (triptych), 2021 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame. Ed. di 6+2 AD, 132×110 | 132×202 | 132×110 cm. | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Certamente si tratta di un’immagine potente. Se si osserva il profilo delle montagne, assomiglia ad un busto di donna supino, con la lava che sgorga dalla testa e dal petto. Comunica la grande potenza del vulcano con grrande immediatezza.
Michael Najjar: ecco perché il coinvolgimento fisico è così importante per me. Lo stesso è avvenuto con la spedizione nell’Artico. Si può leggere molto sullo scioglimento dei ghiacci, ma quando sei lì e li vedi crollare sotto i tuoi occhi, massicci blocchi che cadono nell’acqua a causa del riscaldamento globale, e quando parli sul luogo con gli scienziati che ti mostrano dove il ghiaccio arrivava solo l’anno precedente e dove è oggi, allora percepisci davvero la drammatica accelerazione del riscaldamento globale nella regione artica.
L’opera arctic elegy si basa su un’esperienza molto personale. Ho usato lo stesso tipo di gommone che si vede, piccolissimo, nell’immagine, per costeggiare il ghiacciaio, che improvvisamente ha iniziato a sgretolarsi sotto ai miei occhi e a crollare in mare. Senza la mia precedente esperienza in situazioni estreme, questo lavoro non sarebbe mai stato realizzato.
arctic elegy, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, cornice su misura in legno e alluminio, 182 x 280 cm | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Come avvicini gli scienziati e come li porti a collaborare con progetti d’arte?
Michael Najjar: avvicinare gli scienziati non è così difficile. Prima faccio molta ricerca, scopro chi sta facendo cosa e contatto scienziati e istituzioni per avere una conversazione su un argomento particolare e per sapere cosa fanno esattamente.
Gli scienziati dimostrano una mentalità aperta se qualcuno dall’esterno mette il loro lavoro in un contesto diverso. A volte vedono solo quello che vogliono vedere, ciò su cui si concentra la loro ricerca. Ma quando vengono a conoscenza dell’impatto culturale dei loro studi, sono piuttosto coinvolti. Mi considero un interprete, cerco di tradurre il lavoro degli scienziati in espressioni visive in grado di comunicare con un pubblico più ampio.
Hai spesso citato la tradizione pittorica come fonte d’ispirazione per le tue composizioni: Caspar David Friedrich, Barnett Newman, Michelangelo e la scultura classica, solo per fare alcuni esempi. Anche per Cool earth hai attinto alla storia dell’arte?
Michael Najjar: Direi che, ancora una volta, sono stato influenzato da Caspar David Friedrich e dall’idea romantica di paesaggio e figura umana idealizzati, su cui ho lavorato e che voglio indagare ulteriormente per trovare nuove composizioni basate sull’integrazione di paesaggio e tecnologia nei miei paesaggi post-naturali.
I paesaggi di Friedrich sembrano sempre perfetti in termini compositivi, tuttavia per la maggior parte non li aveva mai visti, li assemblava da frammenti di diverse immagini, reali o rappresentate. È un processo simile a quello che uso io, solo che io uso il collage digitale.
sea of ice, 2021 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame, Ed. di 6 + 2 AP, 67 x 102 cm . | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Effettivamente guardando le tue opere non si può fare a meno di pensare al romantico ‘Sublime’.
Michael Najjar: Il concetto di Sublime, della natura allo stesso tempo più grande di noi e minacciosa, risale filosoficamente a Immanuel Kant. Il Sublime tuttavia è basato sul pensiero che gli esseri umani con le loro capacità intellettuali sono in grado di controllare i processi della natura. Questo è cambiato radicalmente.
Se oltrepassiamo i confini di tolleranza pianeta attiviamo punti di non ritorno, con il risultato che quello che credevamo un sistema stabile potrebbe trasformarsi in uno molto caotico. Esprimo questa idea in arctic elegy: la minuscola figura all’interno del gommone si tiene la testa tra le mani, ha perso il controllo sull’enorme massa di ghiaccio che crolla.
Torniamo brevemente al soggetto dello spazio. La ricerca si svilupperà principalmente grazie agli enti nazionali o come impresa privata e commerciale, ad esempio la Virgin Galactic o SpaceX e Starlink di Elon Musk, di cui ti sei occupato in alcuni dei tuoi progetti?
Michael Najjar: entrambe le cose. Penso che sia assolutamente necessario per la sopravvivenza della nostra specie che ci avventuriamo nel nostro sistema solare. Se non colonizziamo altri pianeti nelle prossime centinaia di anni, probabilmente l’umanità non sopravvivrà. Il nostro pianeta è sotto pressione e sta diventando troppo piccolo, entro la fine del secolo ci aspettiamo che la popolazione superi i 10 miliardi. Abbiamo bisogno di nutrirli, di terreno per piantare più colture e questo porterebbe a emissioni di CO2 ancora maggiori.
spaceport, 2012- Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, custom-made aluminium frame, 132 x 200 x 4 cm.| Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Le aziende si stanno lanciando nel business dei satelliti e, in futuro, nell’estrazione di risorse. Questi sviluppi commerciali portano anche enormi balzi tecnologici. Negli ultimi decenni, quando l’esplorazione dello spazio era prerogativa e delle agenzie spaziali nazionali, non c’è stato un gran progresso tecnologico. Questo è cambiato. Soprattutto per quanto riguarda la ricerca sul riutilizzo dei razzi che SpaceX ha introdotto per ridurre i costi del trasporto spaziale: non ha senso costruire razzi costosissimi da mandare nello spazio una volta per poi gettarli in mare!
Ci saranno molte novità interessanti sui temi del riuso delle risorse e della sostenibilità. Quando finalmente saremo in grado di atterrare su Marte, la distanza è così grande che non sarà possibile spedire materiali di ricambio. Dovremo imparare a gestire gli insediamenti con le risorse disponibili in loco. Allora potremmo applicare anche sulla terra le conoscenze acquisite.
Quando le persone mi chiedono perché dovremmo avventurarci nello spazio quando c’è così tanto da fare per rendere la Terra un posto migliore, rispondo che molte delle cose che plasmano e gestiscono la nostra vita quotidiana si basano su tecnologie satellitari.
nasdaq 80-09 (from the series High Altitude) ca. 2008–2010 – archival pigment print, 28.5 x 44.5 cm. Courtesy Studio la Citta’, Verona.
In conclusione, dei tanti progetti avventurosi del tuo percorso artistico, c’e’ un’esperienza che ti ha cambiato la vita?
Michael Najjar: Direi che l’unico progetto che mi ha cambiato la vita finora è stato High altitude (2008-2010), quando sono salito sulla vetta, a 6.962 mt. d’altitudine, del Monte Aconcagua, nella Cordigliera delle Ande in Argentina. Era solo la seconda volta che scalavo una montagna, esperienza quasi zero, per cui tutti mi dicevano che era un’impresa impossibile.
Ho scalato senza bombole d’ ossigeno. Dopo tre settimane e molte battute d’arresto nella spedizione, con l’ossigenazione del sangue al 48%, metà della mia capacità polmonare, ho finalmente raggiunto la cima insieme alla mia guida. Era il gennaio del 2009. In quel preciso istante, eravamo le uniche persone ad essere così in alto nell’intero pianeta. L’Himalaya infatti, l’unica montagna più alta dell’Aconcagua, non è accessibile in inverno. È stata una sensazione Sublime!
È stato anche uno stimolo per il futuro. In quel momento mi sono detto: se ce l’ho fatta qui, il prossimo progetto è nello spazio! Questa sarà la prossima esperienza che cambierà la mia vita, quando viaggerò in orbita con Virgin Galactic, forse all’inizio del 2024, e avrò una visione panoramica del pianeta.
polar amplification, 2022 – Hybrid photography, archival pigment print, aludibond, diasec, wood/aluminium frame, Ed. di 6 + 2 AP, 132 x 202 cm | Courtesy Studio la Citta’, Verona.
Fonti e approfondimenti
Michael Najjar: cool earth – Studio La Citta’, Verona – fino al 14 gennaio 2023
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