Le opere in vetro di Ōki Izumi uniscono grande eleganza e rigore tecnico. Nata a Tokyo dove si laurea in letteratura giapponese antica all’Università Waseda, Izumi sceglie poi la via dell’arte. Nel 1977 vince una borsa di studio per la scultura del Governo Italiano e si trasferisce a Milano, per specializzarsi in scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Dopo diverse sperimentazioni si orienta verso il vetro industriale e inizia a realizzare opere d’arte in questo materiale con una cifra personale legata alla sua origine nipponica, dove gli elementi dell’aria e dell’acqua sono fondamentali.
Legato alle sue origini è anche il rigore dell’iter progettuale che precede l’esecuzione dell’opera. L’artista stratifica lastre di vetro industriale, color acquamarina, tagliate con estrema precisione in lastre geometriche, sovrapposte in orizzontale o elevate in verticale. Le sculture mutano a seconda della luce e della posizione d’osservazione: forme fluide che richiamano l’acqua, vasi e diafane architetture del futuro, magiche e poetiche.
Il suo lavoro ha raccolto l’interesse e la lode della critica d’arte internazionale e italiana, inclusi Gillo Dorfles, Bruno Munari e Tommaso Trini. Numerose le sue mostre nazionali e internazionali, sia in spazi pubblici che in gallerie private.
Ho incontrato l’artista nel suo studio di Milano, per parlare di come la sua cultura giapponese, e l’incontro con l’Italia, hanno dato forma a una pratica artistica molto originale.
In occasione del Festival internazionale Japan Contemporary Arts a Venezia lo scorso febbraio, Lei è stata invitata a parlare di estetica del vuoto. Vorrei iniziare l’intervista da questo concetto e chiederle come si lega al suo lavoro.
Ōki Izumi: È difficile spiegare l’estetica del vuoto, per noi orientali è un concetto naturale, fa parte della nostra tradizione, preferisco fare un esempio concreto. Nel 2007 mi fu richiesta un’opera per un’antologica al Lubiana Civic Museum (Slovenia) da collocare sul grande muro all’ingresso dello spazio espositivo. Ho ideato ‘Big Bang ’: un’esplosione di schegge di vetro racchiusa in una grande lastra di vetro.
A seconda della luce e della posizione dello spettatore, le schegge sembravano scomparire, di visibile restava solo la loro ombra all’interno del vetro. Fu un’opera molto faticosa nell’esecuzione, le schegge erano moltissime. Mi resi conto che questo lavoro era lontano dalla mia natura. Un anno dopo, feci due piccoli lavori simili: uno lo intitolai Ovest, ed era ancora pieno di schegge di vetro. Est, al contrario, era una composizione con pochissimi elementi: ai miei occhi il secondo aveva maggior equilibrio e bellezza. Applicavo così al mio lavoro un’estetica del vuoto che era evidentemente parte della mia natura.
Come concilia la Sua cultura giapponese con quella occidentale?
Ōki Izumi : Durante il convegno mi è stato chiesto di definire la mia ‘giapponesità’ e la mia ‘italianità’ rispetto al mio lavoro. Posso rispondere che all’interno dell’italianità, o comunque della cultura europea, io riesco ad evidenziare molto bene la mia cultura.
Prima di frequentare l’università a Tokyo i miei interessi erano proiettati verso l’Europa. Poi scelsi la facoltà di Letteratura Antica Giapponese, e in seguito Storia e archeologia, perché volevo approfondire la mia cultura. Lo stesso faccio in Europa. L’Europa mi ha dato tantissimo, nel modo di pensare e di comportarmi, le due culture convivono dentro di me. La mia cultura di appartenenza immersa nella cultura europea non ha affievolito, ma anzi ha rinforzato la presenza della mia cultura d’origine.
Può raccontarmi brevemente come da studi umanistici è poi approdata all’arte?
Ōki Izumi: Il corso di specializzazione di archeologia della mia università a Tokio decise di non accettare candidature femminili ritenendo che le studentesse non avrebbero proseguito nella loro carriera professionale. In quel momento, facevo parte di un club universitario di fumetti, molto conosciuto, dove mi occupavo d’illustrazione. C’era tantissimo lavoro, e mi piaceva, mi sentivo immersa nel mondo reale. Pensavo che per garantire l’indipendenza della donna fosse necessaria l’indipendenza economica e che avrei potuto vivere d’ illustrazioni, e cominciai seriamente a studiare pittura. Incontrai in quel periodo Aiko Miyawaki, artista d’avanguardia già conosciuta in Europa negli anni cinquanta, che m’introdusse nell’ambiente artistico.
Quando ha capito di voler lavorare con il vetro industriale?
Ōki Izumi: Aiko Miyawaki mi aveva presentato a Taku Iwasaki, artista famoso per i suoi quadri in cui utilizzava pigmenti simili a quelli usati nella cultura pre- rinascimentale. Oltre a questo però, Iwasaki componeva collage tridimensionali, usando ad esempio i componenti dei computer. Mi spinse a domandarmi perché dipingevo, dal momento che la pittura, in senso generale, aveva già raggiunto massimi livelli di eccellenza, e secondo lui non c’era possibilità di migliorarla, o di aggiungere altro.
Decisi allora di lavorare con le tre dimensioni, e non so bene come mi orientai verso il vetro. Forse perché mi piaceva dipingere su superfici trasparenti. In un primo tempo la mia pittura era figurativa, poi sempre più orientata verso l’astrattismo. Stratificavo i colori per sperimentare con gli effetti di queste combinazioni. A poco a poco eliminai anche il colore per poter esaltare al massimo la bellezza del vetro.
Iwasaki mi presento Yoshishige Saitō l’artista considerato pioniere dell’arte d’avanguardia giapponese. Non fu facile, soprattutto per la mia scelta di usare una forma artistica che in Giappone è considerata più vicina all’artigianato. In Giappone la mentalità è molto diversa da quella europea, non c’è il concetto di persona o artista ‘totale’, come poteva essere Leonardo da Vinci ad esempio. La cultura è molto settoriale, si concentra su campi specifici. Forse è per questo che abbiamo avuto tanti premi Nobel.
La divisione fra arte e artigianato è molto netta ancora oggi. La mentalità degli artisti giapponesi è orientata a padroneggiare perfettamente i materiali. In poche parole, è il materiale che parla attraverso l’artista. Questa, secondo la mentalità occidentale, non è arte contemporanea ma arte applicata. Il concetto di fondo dell’arte contemporanea è che l’artista s’esprime attraverso i materiali, non viceversa.
Quasi per caso in quel periodo, mi capitò di prendere lezioni d’italiano con un insegnante di conversazione. Volevo essere in grado di leggere i testi di arte italiana della fornitissima libreria del mio maestro Iwasaki! Era la fine degli settanta, erano anni violenti in Italia. Gli artisti giapponesi che si recavano in Italia erano per lo più cantanti e musicisti, la maggior parte degli artisti visivi invece preferiva la Francia.
Tuttavia, nel 1977 vinsi una borsa di studio del Governo Italiano con una scultura in vetro, e dietro consiglio di Giorgio de Marchis, allora direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Tokio, poi diventato Direttore Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma, approdai all’Accademia di Brera, a Milano. Studiai nel corso di scultura con Giancarlo Marchese, una persona molto disponibile che trattava alla pari con gli studenti.
Sperimentai con tutti i materiali, ma mi accorsi presto che al contrario dei miei più giovani compagni, non avevo senso del volume, non mi piaceva modellare. Forse non appartiene alla cultura giapponese. In Giappone costruiamo lo spazio attraverso la bidimensionalità. Nelle nostre case, ad esempio, lo moduliamo con dei pannelli, non come in occidente dove pre-esiste un’idea di volume a livello progettuale e poi si costruisce.
Quindi non ha mai modellato il vetro?
Ōki Izumi: No, non amo il vetro smussato, senza spigoli. È una cosa istintiva.
Neppure il vetro di Murano?
Ōki Izumi: Il vetro di Murano è talmente bello, che non penso di avere nulla da aggiungere alla sua bellezza!
Mi parla della genesi delle Sue opere?
Ōki Izumi: le idee nascono spontaneamente, spesso anche dagli scarti dei miei lavori precedenti. Prima nasce l’idea, poi uno schizzo e in seguito rifletto sulla tecnica più adatta per realizzare il lavoro. In seguito nasce il progetto con il calcolo matematico per stabilire le dimensioni del vetro da tagliare. Una volta fatto il calcolo, taglio, levigo, pulisco e incollo le lastre di piccole dimensioni per comporre il lavoro.
Quale la difficoltà maggiore di lavorare con il vetro industriale?
Ōki Izumi: È molto pesante e tagliente, e non facile da tagliare. Quasi tutte le mie opere hanno origine da forme quadrate e rettangolari. Taglio personalmente le lastre secondo la dimensione progettata, tranne quelle di maggiori dimensioni. Per le onde utilizzo una pinza particolare, con l’aiuto di un collaboratore.
A proposito di onde, nel colore, nei soggetti e in alcune forme fluide, le sue opere sembrano avere una forte risonanza con l’acqua.
Ōki Izumi: Il Giappone è ricchissimo d’acqua dolce, moltissime delle nostre festività sono legate all’acqua, che quindi è sempre presente nella mia mente quando lavoro. La nostra è una vicinanza all’acqua nel bene e nel male, penso ad esempio agli tsunami.
Nel 2015, durante l’Expo di Milano dedicato al cibo e all’acqua ho iniziato a pensare molto a come sensibilizzare le persone all’importanza dei problemi legati all’acqua. Sono nati i vasi d’acqua e d’aria, e i vetri pinzati per creare l’effetto delle onde. Tempo fa mi sono recata al mare, a Castiglioncello, e vedendo gli scogli che affiorano dal golfo ho pensato che mi piacerebbe molto installare le mie lastre di vetro su rocce che affiorano dal mare.
Sarebbe certamente molto suggestivo. Oltre al mare, che cosa ispira i suoi lavori?
Ōki Izumi: Oltre all’acqua, un tema che m’interessa in questo momento è immaginare che forma prenderanno le città del futuro. Sono sempre stata molto attratta sia dall’architettura che dall’archeologia.
Ha realizzato delle architetture verticali utilizzando lastre sottilissime di vetro, con effetti di evanescenza.
Ōki Izumi: Quando venni in Italia per la prima volta, fui molto colpita dalle rovine e dai siti archeologici. Le mie architetture sono realizzate per stratificazioni di piani orizzontali di vetro. Alla fine degli anni ottanta iniziai a pensare ad architetture verticali, e queste opere piene di guglie sono la loro evoluzione.
Queste opere in particolare riflettono sulle città del futuro. Poi naturalmente ognuno le interpreta come vuole, molti vedendo le guglie hanno pensato al Duomo di Milano! Che non era nei miei pensieri.
I suoi gioielli sono in realtà piccole sculture raffinate che Lei definisce ‘micro sculture da passeggio’. Me ne parla brevemente?
Ōki Izumi: Ho iniziato a fare gioielli in vetro perché quando spiego che lavoro con il vetro industriale, mi domandano cos’è e che cosa faccio esattamente, e i gioielli sono esempi perfetti da indossare!
Quello che amo dei gioielli in vetro è la loro discrezione. Rivelano la loro bellezza all’improvviso, magari solo per un attimo, quando sono colpiti dalla luce o attraverso un movimento di chi li indossa. Questo è in accordo con la filosofia giapponese dell’Iki, secondo cui la bellezza si svela in brevi attimi: in questo risiede il concetto di seduzione. Come quando, per fare un esempio, il movimento di una donna che indossa un Kimono, il cui esterno raramente è appariscente, rivela solo per un istante la bellezza del colore brillante all’interno di una piega.
A parte gli scogli sul mare, c’è un luogo in particolare dove le piacerebbe mostrare le sue opere?
Ōki Izumi: mi piacerebbe collocare delle mie opere di grandi dimensioni all’aria aperta per comunicare con la natura. Ho già realizzato delle installazioni in ambienti speciali come il museo Santa Giulia di Brescia.
C’è qualche materiale fra quelli con cui ha sperimentato in passato, al di là del vetro, con cui vorrebbe lavorare?
Ōki Izumi: Amo molto la carta. In Giappone abbiamo delle carte artigianali bellissime, molto pregiate. Questo in parte grazie alla qualità della nostra acqua. La scelta della carta per le diverse occasioni e festività è importante, fa parte di una nostra grande tradizione. Con la carta realizzo anche piccole opere tridimensionali in cui la scelta della qualità della carta è molto importante.
Vedo qui nel suo studio dei bellissimi disegni.
Ōki Izumi: Spesso, dopo aver terminato una scultura mi piace ritrarla.
Che cosa vorrebbe che il pubblico apprezzasse maggiormente nelle sue opere?
Ōki Izumi: Per prima cosa vorrei che vedessero la bellezza e il mistero. La bellezza è un modo per catturare l’attenzione dello spettatore. Tutte le mie opere sono medium attraverso i quali riflettere, poi ognuno interpreta l’opera secondo il proprio pensiero. Da ultimo, vorrei che fosse apprezzata l’abilità tecnica, che non deve essere evidente, ma è necessaria per raggiungere l’obbiettivo. In sintesi ciò a cui aspiro è essere considerata un’artista contemporanea.
FONTI E APPROFONDIMENTI:
sito ufficiale dell’artista
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