Noel W Anderson è diventato famoso per i suoi arazzi tessuti a mano, nei quali intreccia una fitta rete di riferimenti alla storia americana. Anderson stressa le trame dei suoi arazzi in modo che le immagini risultino distorte, per simulare le interferenze sugli schermi vecchi televisori analogici. L’artista modula i suoi lavori con diversi gradi di astrazione, estraendo accuratamente, uno ad uno, i fili della trama dai tessuti.
Nei pezzi creati per “It’s Magic” alla Fondazione Mudima, immagini contemporanee e d’archivio, per lo più di sport celebrities afroamericane come Magic Johnson, provengono dalla televisione e da altri media.
I corpi appaiono capovolti; le ombre diventano protagoniste di nuove evocative presenze, richiamando l’idea di magia e soprannaturale.
Puoi dirmi cosa ha ispirato la nuova serie di lavori che hai presentato alla Fondazione Mudima?
Noel W Anderson: It’s Magic è nato dalla mia indagine sui corpi neri e l’atletica. Sono molto interessato alle arene sportive, perché sono i territori in cui il corpo nero sembra essere più performante. È qui che diventa sovrumano e il sovrumano diventa soprannaturale. Per me questo si collega alla violenza della polizia, al motivo per cui un individuo viene crivellato da settantasei ferite da arma da fuoco solo per aver attraversato la strada illegalmente.
L’ombra e l’oscurità, sono fili rossi che uniscono molte delle opere in mostra. In un saggio pubblicato su e-flux journal (1 – vedi in fondo all’articolo), parli del potenziale dell’oscurità o “Most Dark”, come forma di resistenza, potresti spiegare?
Noel W Anderson: L’ oscurità, specialmente nel senso che le attribuisco nel saggio che ho scritto per e-flux, appartiene a chi si trova ai margini, quindi non al centro del discorso.
Penso che essere nell’ombra conferisca potere perché puoi fare mosse che non potresti fare alla luce del sole. Un esempio sono le economie nell’ ombra, lo spaccio di droga o chi vende proprietà rubate per farcela a sopravvivere. Le persone che esistono nell’oscurità sarebbero in prigione se emergessero alla luce.
Quello che le opere in mostra a Milano cercano di fare invece, è realizzare l’ombra come oggetto fisico, anzi anche’ come soggetto. E questo vuole dire capovolgere il mondo per dare risalto all’ombra.
Offrono un’immagine speculare e capovolta della realta’.
Noel W Anderson: Piuttosto estenderei l’idea di speculare alla parodia. Penserei in termini di cose che copiano altre cose, e poi all’interno della copia stessa le cose si confondono un po’. Un esempio potrebbe essere: quando vedi il lavoro su uno schermo, sembra una stampa su tessuto. Ma quando le persone vengono alla mostra si rendono conto che avevano in mente una copia di qualcosa di completamente diverso.
Lo spettatore si rende conto che l’immagine è intrecciata nel tessuto solo quando vede i fili estratti dalla tela. Puoi dirmi quando hai iniziato a pensare alla tecnica dell’arazzo come antenata della cultura televisiva e cinematografica contemporanea?
Noel W Anderson: Il mio interesse per gli arazzi inizia passeggiando per il Metropolitan Museum, per poi scoprire gli arazzi nella sezione medievale e restarne ipnotizzato. Leggendo le informazioni sulla storia della tessitura, mi sono imbattuto in Joseph Marie Jacquard e nel suo specifico processo basato su una scheda perforata. Mi sono reso conto che quel metodo di codici binari era il modo in cui il poliedrico inglese Charles Babbage trent’anni dopo sviluppò quello che oggi conosciamo come il nonno del computer.
Tutti gli intrecci sono binari, quindi ho pensato che ogni volta che guardo uno schermo vedo il codice binario di Charles Babbage, il che significa che sto guardando un tessuto. Questo ragionamento ha funzionato perché mi ha davvero liberato nella comprensione che ho delle immagini.
Torniamo per un momento al concetto di “sotto la superficie”. Puoi parlarmi dei riferimenti sociali e storici intessuti nei tuoi pezzi?
Noel W Anderson: Dal punto di vista materiale, il riferimento è lo schermo, e questo mi arriva dall’infanzia, dall’ essere cresciuto negli anni ’80 e avere un televisore con le orecchie da coniglio su cui l’immagine ondeggiava, non era stabile. Mi resi conto che afferrando le orecchie, potevo stabilizzare l’immagine. A sei anni, sapevo già che l’immagine non era reale. Ho importato il concetto nella tessitura e ho realizzato i miei tessuti con immagini prese dalla televisione, dal cinema e anche dai file dell’FBI e della CIA.
Una volta che ho stabilito un collegamento tra la cultura dello schermo e l’irrealtà dell’immagine, ho pensato che dietro doveva esserci qualcosa. L’immagine, per esempio, di uno schieramento di polizia doveva avere una storia più profonda. Ho ‘letteralizzato’ in un modo molto pop: ho iniziato a tirare i fili dell’arazzo. Tirando i fili il lavoro ha iniziato ad avere risonanze visive. Poi ho iniziato a leggere come George Seurat metteva in relazione la pittura con la tessitura, ho visto tutte queste strane connessioni tra tessitura e pittura.
In un discorso sull’astrazione intitolato “Beyond this Point, Abstraction is Promise” allo Speed Art Museum, hai descritto il gesto di estrarre i fili dai tuoi arazzi come una “Scrittura Nera”. In che modo questo gesto è scrittura nera rispetto, diciamo, alla scrittura bianca di Pollock?
Noel W Anderson: Mark Tobey scrive in bianco. Va in estremo oriente per localizzare un metodo di spiritualità e lo importa di nuovo in occidente, è un gesto molto interessante. Per trovare un particolare tipo di astrazione doveva ‘astrarsi’ dall’essere bianco. Tobey la chiamava scrittura bianca ma non in senso razziale. Potrei comunque leggerla in questo modo e chiedermi: cosa significa Scrittura Nera?
Ho pensato che smantellare le false rappresentazioni dei neri fosse un modo per farlo. Tirando fuori i fili si crea una linea che imita a sua volta la linea di un Pollock o parodia la scrittura bianca di Tobey, ma lo fa sulla scala di Pollock.
Smantellando le immagini attraverso questa strategia non solo richiamo la loro versione di astrazione, ma poiché sono nero posso rivendicarla come un particolare tipo di scrittura nera. Smantellare le immagini è anche una sorta di resistenza. “Scrittura Nera” come forma di resistenza.
Diverse teorie affermano che la rappresentazione, ad esempio quella del corpo nero nello sport o nella musica, è il luogo per eccellenza dove viene messo in scena lo stereotipo razziale. Quali le teorie o gli studi letterari o accademici che ti hanno ispirato?
Noel W Anderson: bell hooks è nei miei pensieri; Fred Moten, è sempre lì, lo amo molto, e anche Cedric Robinson con la teoria del marxismo nero. Ultimamente mi sono appassionato a Audre Lorde, che era una scrittrice femminista nera e una brillante studiosa. Mi ha aiutato a pensare all’opposto della violenza che è l’amore, e a capire cosa significa per un nero cercare di amare, perché abbiamo un particolare lavoro di ‘disarmo’ da fare, e le sue parole hanno mi ha permesso di togliermi un pezzo di armatura alla volta, se posso permettermi di essere poetico.
Penso che le persone che davvero mi hanno portato a smantellare l’immagine siano stati i filosofi francesi Bernard Stiegler e Jacques Derrida. E pensando alla scrittura nera, leggendo Helene Cixous, la teorica femminista francese che scrive di corpi femminili che scrivono sé stessi, ho pensato: ok, c’è la possibilità che questa epidermide, questa pelle che possiedo abbia il potenziale di scrivere! È allora che tutto è scattato.
Ho letto che tuo padre è stato in parte responsabile di averti trasmesso la febbre dell’arte, regalandoti da bambino libri su come disegnare i personaggi dei cartoni animati.
Noel W Anderson: Sì, mio padre era un ingegnere civile, e durante i suoi viaggi portava me e mio fratello caricandoci sul retro della sua station wagon. Molto americano! Per tenerci occupati comprava libri che insegnavano a disegnare i personaggi dei cartoni animati per gradi, e ci regalava ciascuno un pacchetto di carta da lucido e uno di carta carbone: da questo puoi capire la mia età! Mi ricordo che prendevo la testa di Fred Flinston e la mettevo sul corpo di Scooby-Doo o cose del genere. Era la mia prima versione di cubismo!
…e imparasti a smontare e rimontare l’immagine
Noel W Anderson: Sì, a quanto pare stavo già inconsapevolmente mostrando la mia identità ibrida, il “Black Atlantic” che è in me.
Quello che mio padre mi ha davvero dato è stata la comprensione del tempo, del ritmo. È stato il mio primo professore di Jazz, conosceva molti ragazzi che lo suonavano. Quindi durante quei lunghi viaggi insieme, metteva la stessa cassetta più e più volte e intanto me la spiegava: cosi’ mi ha insegnato sintassi e struttura.
Hai anche detto che tirare i fili dei tuoi arazzi per rendere l’immagine astratta è una forma di cancellazione, perché i neri stessi sono soggetti a una forma di cancellazione. Puoi parlarmi dei lavori che hai fatto con immagini della famosa rivista Ebony, che erano letteralmente delle cancellazioni? Un lavoro in mostra qui alla Fondazione Mudima sembra richiamare a quei lavori.
Noel W Anderson: Sì, c’è un piccolo lavoro alla Mudima, un riflesso di due piedi su un campo da basket che è una cancellazione, perché ho in parte stinto il tessuto. Da’ lo stesso tipo di illusione visiva e quindi allude alle pagine di Ebony cancellate, ma qui l’immagine emerge da un campo di colore, si pone tra astrazione e figurazione, una specie di Warhol-incontra-Frankenthaler.
Nei lavori della rivista Ebony, una famosa rivista che era una specie di archivio della cultura popolare nera, cancellavo le pubblicità. Era un gesto alla “De Kooning cancellato da Robert Rauschenberg”. Cancellavo l’archivio per disegnarvi sopra dell’altro. Questo gesto mi ha permesso di capire che l’immagine, a livello materico, è solo una serie di punti, e poi che è solo una serie di fili, e sono passato agli intrecci.
Le immagini di mani ricorrono nel tuo lavoro. Sono spesso legate a immagini della cultura popolare e mediatica, ma anche immagini di coercizione o di resistenza. Potresti commentare?
Noel W Anderson: Le mani sono tutto questo, e sono anche il confine del mondo, perché servono per ‘raggiungere’ le cose. In molte delle immagini che vedi alla Mudima, le mani sono mozzate, tagliate ‘alla maniera belga’ possiamo dirlo? Violate.
Ma la violazione non si legge come tale se non è contestualizzata in un certo modo, cosa che penso sia sempre ironica. Perché molte opere hanno delle contraddizioni che la gente può cogliere, o forse no.
Ma le mani per me sono anche quelle che hanno fatto il lavoro. C’è un grande libro di Edward E. Baptist, intitolato The Half that Has Never Been Told, un resoconto del capitalismo americano visto attraverso l’industria della raccolta del cotone, leggi schiavi, e titola i capitoli con le parti del corpo: ecco cosa facevano i piedi, ecco cosa facevano le gambe e così via. E c’è una sezione sulle mani, e ho pensato: sì! Le mani per i neri sono così importanti perché hanno generato il capitalismo americano. Ciascuna di queste realtà può emergere in quelle immagini.
La frammentazione del corpo nell’immagine è stata discussa in ambito accademico come un modo per rafforzare stereotipi e creare feticci sessuali e razziali, soggetto con cui ti confronti e sovverti. Quale la tua opinione in merito?
Noel W Anderson: La frammentazione del corpo nero è una pratica feticizzante che si riferisce allo stereotipo applicato dallo spettatore, cosa di cui non si parla mai, immagino. Significa anche allineare l’idea di frammentazione, o il desiderio di essa, a un potere insidioso più profondo, di centinaia di anni fa, di cui le persone non vogliono ammettere di essere parte.
È complesso, perché anch’io desidero frammentare l’immagine. Quello a cui sto cercando di arrivare è che nessuno ne è esente. Quando si tratta di sessualizzare, feticizzare il corpo nero, la chiave è che ogni spettatore è implicato nello stesso processo, perché il materiale che uso, la stoffa, è così sexy, soffice. Siamo tutti implicati in questo desiderio, e potremmo anche non riconoscere di averlo.
L’ambiguità che crei fra apparenze e realtà mette in discussione gli stereotipi in numerose opere, ad esempio in Sleight of hand che mostra due mani aggrappate al davanzale di una finestra. Hai scritto che potrebbe evocare lo stereotipo del ladro nero, mentre in realtà l’immagine originale è tratta dalla fotografia di una perquisizione della polizia durante una protesta nera. La prima cosa che è venuta in mente a me invece è stata un’immagine di stalking.
Noel W Anderson: Quel lavoro richiede allo spettatore, proprio come l’ombra, di riempire un vuoto. Quando fissi un’ombra, non puoi sempre determinare cos’è. Ognuno vede qualcosa di diverso. A me sembra che qualcuno stia cercando di entrare dalla finestra, che è la stessa cosa dello stalking, è una violazione. Quindi, vedi, il punto di accesso al lavoro è lo stesso, anche se poi prendiamo strade interpretative diverse.
Torniamo al tema delle ombre. Puoi parlarmi di un’altra grande tela intitolata Kafka’s Roach? L’ombra in questo lavoro mi ha ricordato un test di Rorschach con la macchia d’inchiostro.
Noel W Anderson: Kafka è interessante, molte delle teorie che leggo sembrano tirarlo in ballo. È tutto molto psicologico, ruota attorno al suo problema con il padre.
L’anno scorso ho realizzato una serie d’ immagini sul tema del visibile/invisibile per una mostra intitolata Reflec/x/tion of a Black Cat Bone alla JDJ Gallery di New York. Stavo leggendo libri sullo spiritualismo e sulla schiavitù e mi sono interessato a ciò che specchi e riflessi possono fare su scala più ampia, come gli specchi durante il periodo della schiavitù, che funzionavano come oggetti spirituali e soprannaturali per aiutare a scomparire.
Ho preso un’immagine di una rivolta razziale del 1964 in cui un uomo viene soffocato dalla polizia e l’ho raddoppiata, specchiandola su sé stessa, e ho pensato: è un Rorschach! Guardandolo meglio, sembrava uno scarafaggio, lo scarafaggio di Kafka!
Nel catalogo della mostra, commenti un’opera intitolata Alligator Boy, e affermi che l’ombra principale ti ha fatto venire in mente l’immagine di un ragazzo che cavalca un coccodrillo. Il ragazzo nero come esca per gli alligatori è uno stereotipo razzista della cultura popolare americana. A questo proposito scrivi: “Il messaggio è che non c’è via di fuga dalle nostre radici negative, nonostante la mobilità economica e sociale”. Credi davvero che non ci sia via di fuga?
Noel W Anderson: Sì. Faccio terapia personale, lo dichiaro onestamente. Richard Pryor aveva ragione: i neri hanno bisogno di un sacco di terapia! In qualche modo, sono tutti collegati alle questioni razziali, è così. Anche se hai un problema con qualcuno della stessa razza, la frustrazione e la rabbia che sono insite nel disaccordo, penso che nove volte su dieci derivino, da qualche parte lungo il percorso genealogico, da una storia di distruzione razziale. Non posso fare a meno di guardare determinate immagini e vedere quello che vedo. Solo per il fatto che quelle ombre sono qui, devo vedermela con loro.
È una visione piuttosto pessimista.
Noel W Anderson: No, niente affatto, è bellissimo. È davvero liberatorio! Una volta che ti rendi conto: ok, questa roba è qui, come l’affronto? Devi averne la consapevolezza, perché molte persone non la vedono, non le ha ancora toccate in modo particolare. Spero che lo faccia. Attraversi un sentiero oscuro per un po’ di tempo pensando: accidenti, che delusione. E poi le persone che ti amano ti dicono che ce la farai, e lo fai. Dall’altro lato del problema, non è una morte ma uno spirito rinato.
Allora, qual è la tua visione del futuro? La società bianca sembra, in parte, affrontare il passato ma non sembra che siamo in grado di fare i conti con quello che accade nel presente. La storia si ripete all’infinito?
Noel W Anderson: Questa è una domanda interessante, quindi qual è la mossa? Se la storia si ripete costantemente, chi ci mostra che si sta ripetendo? L’artista è la nostra via d’uscita.
Direi che è difficile per le persone sentire altri che raccontano la loro storia, e rinunciare a cose che pensano di essere riusciti a possedere o per le quali hanno lavorato sodo. Per avere una società veramente equa dobbiamo tutti rinunciare ad alcune cose, ma la gente non ne vuole sapere.
Su questo punto io sono tranquillo, ho lavorato duramente per arrivare dove sono, e mi sono reso conto attraverso letture di persone come Audre Lorde e Martin Luther King Jr, e anche solo ascoltando musica, che sarei disposto a cedere su alcune cose se così facendo il mondo migliorasse. A patto che lo facciamo tutti.
Sources and insights: Noel W Anderson studio (1) Noel W Anderson: Echoes from the Hole: Doubling Darkness Is Most Dark. E-flux Journal issue #99 April 2019.
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