John Madu è noto per i suoi dipinti figurativi dallo stile inconfondibile costellati di riferimenti alla storia, identità africane, storia dell’arte, cultura pop, politica e alle disuguaglianze di genere.
Parte di un’avanguardia di artisti cresciuti negli anni ottanta ed emersi nel nuovo millennio dal paesaggio creativo effervescente di Lagos, John Madu è laureato in scienze politiche e strategiche, ed è un artista autodidatta. Tipicamente, le sue grandi tele dai colori vivaci e dai forti contrasti sono allegorie dense di simboli e iconografie ricorrenti che fanno spesso riferimento al mondo del consumo e dell’arte. Attraverso i personaggi che popolano le sue storie e che colpiscono per statura e personalità assertiva, l’artista decostruisce gli stereotipi di genere e appartenenza sociale. Ho parlato con John Madu alla Fondazione Mudima della sua mostra e della sua pittura eclettica.
Perché hai scelto la maschera come soggetto di questa tua prima personale italiana?
John Madu: Mi ha sempre interessato l’idea di maschera in relazione all’esistenza umana, il modo in cui ci rappresentiamo alla società. Sapendo che avrei esposto a Milano, ho anche pensato che l’Italia ha una lunga tradizione carnevalesca e circense, quindi di maschere e feste in maschera, circhi e clown. Il tema era perfetto.
In senso giocoso,” The year of the masque” mostra come la società sia un ballo in maschera, tutti indossano una maschera o cercano di ottenere qualcosa dagli altri. Ogni pezzo ritrae questo stile di vita in pompa magna. Siamo tutti artisti nella vita.
Hai una laurea in scienze politiche e strategiche, cosa ti ha fatto decidere di intraprendere la strada dell’arte?
John Madu: Penso che sia qualcosa con cui sono cresciuto. Da bambino scarabocchiavo sui muri e vincevo concorsi d’arte. Mio padre collezionava opere d’arte, soprattutto stampe, e in casa c’erano cartoline e riviste d’arte. Leggevo molto sui maestri e sulle loro vite: Salvator Dalì, Picasso, Modigliani, Picabia. Ma non avrei mai pensato di diventare un artista professionalmente, non sapevo come. È stata un’epifania, leggendo una rivista dove era pubblicata arte nigeriana venduta all’asta nel 2008. Ho capito che la mia vocazione era fare quello che so fare meglio.
I tuoi dipinti infatti spesso contengono espliciti riferimenti a maestri dell’arte occidentale. Che cosa mi dici dell’arte nigeriana, che ha un’importante e lunga tradizione?
John Madu: Sono molto incuriosito dall’arte Nok, (la prima arte scultorea dell’Africa occidentale, rinvenuta soprattutto nella Nigeria centrale N.d.T.). Ammiro anche i maestri nigeriani modernisti che hanno molto influenzato l’arte nigeriana contemporanea, come Ben Enwonwu e Bruce Onobrakpeya.
Nel catalogo della mostra, Oliver Enwonwu paragona il tuo approccio a quello del pittore inglese settecentesco William Hogarth, la cui satira castigava ipocrisie e mali della sua società. Quali sono i mali della società contemporanea, in Nigeria e nel mondo, che vuoi ‘bacchettare’?
John Madu: Come gli artisti del passato registro la storia del mio tempo, i suoi mali politici e sociali. Mentre lavoravo a questa mostra, per esempio, c’è stato un aumento considerevole del prezzo del carburante in Nigeria che ha creato disordini sociali. E la guerra in Ucraina ha scatenato un effetto farfalla diffuso in tutto il mondo. I miei dipinti parlano anche dei conflitti religiosi e delle uccisioni e degli interessi politici o egoistici che spesso mascherano guerre definite tribali.
Se non sbaglio si parla di guerra e di petrolio in uno dei pezzi che più colpiscono nella mostra, “If Only Life was a Circus”, in cui appare anche Donald Trump. Puoi spiegare di cosa tratta il dipinto?
John Madu: Il grande dittico raffigura la società odierna come circo, in cui tutti sono benvenuti, nel senso che tutti nascono all’interno della società, dove c’è del buono e del cattivo. C’è Trump, una figura popolare, che un po’ mi piace perché ha fatto succedere alcune cose dal nulla, questo strano personaggio mi intriga. Mi piace il basket, dunque c’è un omaggio al giocatore di basket Kobe Bryant (morto nel 2020 in un incidente in elicottero nel gennaio 2020 N.d.T.) e un personaggio di Roy Lichtenstein che parla al telefono della guerra in Ucraina. Quando iniziai a dipingere, la guerra era appena cominciata. In Nigeria era una settimana difficile, abbiamo avuto carenza di carburante e interruzioni continue di corrente, un caos. Ero di cattivo umore per la maggior parte del tempo in cui stavo lavorando. Ma alla fine le cose si sono sistemate e ne è uscito un dipinto felice.
In un altro dipinto intitolato ‘Soot City’, parli dell’economia petrolifera nigeriana, che sostiene di fatto l’economia del paese. Tocchi la questione ecologica, con commercio illegale di petrolio che causa inquinamento e disastri ambientali anche a causa degli stoccaggi illegali di carburante che vengono bruciati, puoi parlarmene?
John Madu: Soot City parla di Port Harcourt, la principale città di raffinazione del petrolio della Nigeria. Le persone che vivono lì tossiscono fuliggine, che è nell’aria, sui loro vestiti e finestre. Il cielo è nero, ho voluto toccare con mano recandomi sul luogo ed è davvero terribile.
In quel dipinto mi ha incuriosita un personaggio che indossa una maschera colorata, come un cappuccio in testa.
John Madu: Sì, è un riferimento a Lágbájá, un popolare musicista afro-beat nigeriano. Lágbájá, in linguaggio Yoruba, una tribù della Nigeria, significa sconosciuto, e questo artista è famoso anche per l’uso delle maschere durante le sue esibizioni.
Sei cresciuto nella periferia di Lagos negli anni ’80. Hai spesso parlato di come il tuo quartiere abbia influenzato il lavoro che crei.
John Madu: Il luogo in cui sono cresciuto era allora il cuore della città. Il più grande video club di Lagos, un grande centro di video giochi e un parco acquatico erano proprio nella mia strada. In casa, abbiamo avuto la TV via cavo molto presto e ho potuto guardare molti film. Era un ambiente molto “contemporaneo” e vivace che ha aperto la mia mente al mondo, ha influenzato il mio modo di pensare. Potevo attingere a luoghi lontani e forme d’arte che non avevo mai visto. Se avessi vissuto altrove, non credo che sarei chi sono oggi.
Il tuo lavoro esplora anche gli effetti della globalizzazione sull’identità africana. Qual è stata la tua esperienza personale del processo di rapida globalizzazione in Nigeria, periodo durante il quale ti sei formato: nel complesso positiva o negativa?
John Madu: Come ovunque, globalizzazione significava che il mondo era a portata di mano. Ho capito molto presto che viviamo in un ambiente globale perché prima dell’avvento della globalizzazione mio padre, che viaggiava molto, era un ingegnere, portava a casa diversi oggetti da tutto il mondo, libri e riviste. Naturalmente, anche Internet nei primi anni ’90 ha aiutato.
Mi rendo conto che nel mondo globale le culture native, le lingue e la musica locale possono essere perse e le nuove generazioni potrebbero non conoscerle mai.
La musica ad esempio è diventata una delle forme d’arte più globali, chiamiamo musica africana quella che è il risultato di molte contaminazioni. Ma nel complesso, per rispondere alla tua domanda, penso che essere in grado di connettersi al mondo sia una cosa grandiosa. L’economia nigeriana si è aperta al mondo. Diventare globali aiuta qualsiasi economia, a condizione che la ricchezza circoli nella la società.
I tuoi dipinti sono allegorie complesse, come procedi nella tua ricerca? Quali sono le principali fonti da cui attingi?
John Madu: Innanzitutto faccio uno schema di ciò che vorrei ricercare. Mi piace leggere di psicologia, storia dell’arte ed economia. Sono interessato ad acquisire conoscenze.
Il mio corso in studi politici e strategici mi ha aiutato a mettere insieme i progetti, a renderli coerenti. E’ stato un bene dopo tutto, non aver frequentato studi di arte per se.
La letteratura nigeriana ha molte figure di spicco, cosa ti piace leggere?
John Madu: Chinua Achebe è il mio preferito (1930 -2013. Romanziere, poeta e critico nigeriano considerato la figura dominante della letteratura africana moderna N.d.T.), perché le sue storie sono autoctone, ricche di profonda cultura. S’impara davvero molto sulla cultura Igbo in Nigeria. Mi piacciono molto anche i romanzi di Chimamamanda Ngozi Adichie.
Puoi parlarmi dei personaggi, come il soldato coloniale e alcuni simboli che ricorrono nel tuo lavoro?
John Madu: L’Africa è ancora in una situazione post-coloniale, il nuovo colonialismo legato all’occidente che ci influenza anche culturalmente, a questo si riferisce il personaggio ricorrente del soldato coloniale. Mi piace cambiare la narrazione ufficiale però, metto il soldato in situazioni che la Storia non ha consentito.
Senza pantaloni e sospeso a mezz’aria in ‘Fine Goods make the World go round’…
John Madu: Sì, salta dallo spavento!
I clown invece sono un’aggiunta recente al mio lavoro, nel contesto del circo e della mascherata. Quel naso rosso, uno dei miei colori preferiti, mi piace proprio! I girasoli sono un riferimento a Vincent van Gogh Nel mio lavoro ricorrono anche le Ghana-must-go bags, che raccontano di migrazioni, di movimento. Erano tipicamente portate dagli immigrati del Ghana in Nigeria negli anni ’80. In tutti i paesi del mondo, non solo in Nigeria, sono soprattutto gli immigrati ad avere quelle borse, per questo sono chiamate diversamente in ogni paese: valigia turca in Germania, a Trinidad e Tobago Samsonite della Guyana, Chinatown Tote in America.
La hurricane lantern, lanterna anti-vento, appare in molti dei miei dipinti, allude ancora una volta ai problemi energetici. Uso spesso, metaforicamente, la figura di Grace Jones con il suo look punk, per rappresentare una femminilità forte, è uno dei miei personaggi preferiti sin da quando ero bambino.
Lagos è oggi un centro artistico internazionale, pieno di spazi d’arte. Quali sono i luoghi che trovi più interessanti, dove ti piace passare il tempo?
John Madu: C’è un posto chiamato Boulevard, in riva al mare, dove gli artisti che espongono non sono professionisti, motivo per cui lo trovo interessante: si vedono cose originali. Frequento anche i mercatini d’artigianato. Mi piace guardare gli artigiani lavorare, osservare le loro tecniche. C’è un’intensa ‘club life’ a Lagos cui prendo parte, anche questa m‘ ispira.
In Nigeria metà della popolazione ha meno di 19 anni. Ritieni che l’arte sia un mezzo efficace per parlare alle giovani generazioni di questioni importanti riguardanti la società?
John Madu: L’arte è davvero il futuro. E sta crescendo molto velocemente. I giovani viaggiano, studiano all’estero e tornano, e c’è anche una forte cultura musicale. In questo momento, siamo in uno spazio di transizione creativo, c’è molto fermento. I social media sono sicuramente stati un fattore cruciale in questa esplosione di creatività. Le persone possono vedere in tempo reale quello che succede in tutto il mondo. Il governo non ci sta aiutando molto ma si sta interessando a questo fenomeno, sanno che i giovani creativi hanno potere perché hanno una vasta audience, e questo ha potenzialmente anche una rilevanza politica.
Qual è l’obiettivo, come artista, che ti sei posto per il futuro?
John Madu: Soprattutto desidero che il mio lavoro entri nelle collezioni giuste e circoli in mostre istituzionali. Non sono interessato a questioni di denaro, ma piuttosto a che il mio lavoro finisca in mani giuste, e che in futuro possa entrare nella storia dell’arte.
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