Il mio incontro con il lavoro di Francesco Totaro è stato intuitivo, cauto e rivelatorio.
Basato sull’analisi del volume Diptychon | Dittici Dialogici, edito da Vanillaedizioni in occasione dell’omonima mostra personale a cura di Francesca Di Giorgio presso La Giarina arte contemporanea di Verona, è sfociato in un racconto che necessariamente doveva partire da lontano, dagli anni della formazione e della tecnica che hanno portato alla visione, o viceversa, per arrivare all’entanglement.
Questa parola, legata all’ambito della fisica quantistica, potrebbe sembrare quasi abusata oggi che spopolano le connessioni tra arte e scienza, conseguenza del massiccio supporto delle attuali tecnologie.
In questo caso però non si tratta di una moda, bensì di un metodo saldamente radicato e di una concezione matura che ha fatto dell’entanglement stesso un segno necessario, sotteso a una produzione complessa e stratificata che mantiene una propria coerenza estetica, offrendo al pubblico diversi gradi di consapevole meraviglia.
La sua ricerca parla di alchimia, anche se lui non l’ha chiamata proprio così, quell’arcano percorso che, attraverso certi stadi di coscienza, conduce l’essere umano alla consapevolezza di essere parte integrante del mistero del tutto.
Francesco Totaro, con la collaborazione di Sandro Bicego, ci accompagna nel viaggio attraverso i suoi dittici, sotto il segno dell’entanglement.
I link alle fonti e ai riferimenti si trovano in fondo all’intervista.
Dopo la maturità artistica a Messina, ti sei trasferito a Bologna per proseguire la tua formazione in Accademia.
Quali cambiamenti ha portato con sé questo passaggio e quali atmosfere, incontri e opportunità hanno influenzato il tuo modo di fare arte?
Francesco Totaro: Bologna e il caleidoscopico immaginario legato alla città delle due torri hanno rappresentato nella mia giovane mente vogliosa di conoscenza, l’equivalente di quello che il punto di fuga rappresenta per una costruzione prospettica. Le linee tracciate dalla mia fervida immaginazione convergevano inevitabilmente in direzione di quei luoghi che per me erano ancora un territorio inesplorato.
Una delle immagini legate a quel periodo che mi piace ricordare, è la gioia che provavo quando mi venivano recapitati gli agognati vinili ordinati per corrispondenza ai MAGAZZINI NANNUCCI di via Oberdan, il negozio di dischi più antico d’Italia, che all’epoca rappresentava un punto di riferimento all’avanguardia, ben oltre i confini regionali. Un luogo che assumeva contorni mitici nei miei pensieri e che sarebbe diventato la mia prima “tappa”, una volta imboccati i portici di via Indipendenza, lasciandomi alle spalle la stazione centrale di Bologna e molto altro…
È stato in questo modo, assecondando un impulso germogliato in me fin da giovanissimo, che mi sono trovato catapultato nell’Emilia Romagna degli anni Ottanta, nel pieno fervore delle energie creative delle avanguardie artistiche – dai filmaker ai fumettari, passando per i videoartisti e i pubblicitari – così come descritta nelle pagine del suo indimenticato cantore, Pier Vittorio Tondelli.
Negli anni in cui Bologna rappresentava la capitale culturale italiana, ho iniziato a frequentare i luoghi chiave nei quali si poteva entrare direttamente in contatto con le nuove tendenze artistiche e musicali, a partire dalla GAM – la Galleria comunale d’Arte Moderna alla Fiera, con i suoi splendidi volumi espositivi progettati dall’architetto Leone Pancaldi – fino ad arrivare al Kinki Club Underground – il locale che dal 1985 al 2005 ha rappresentato ininterrottamente l’avanguardia del movimento House italiano.
Un momento molto particolare è stato l’emozionante opening della mostra Arte di frontiera – New York graffiti, curata da Francesca Alinovi, che attraverso il proprio lavoro critico era riuscita a sintetizzare la potenza e il valore del Writing – che allora in America annoverava tra i suoi esponenti Keith Haring, Jean Michel Basquiat, Kenny Scharf – facendo conoscere al pubblico italiano questa cultura underground d’oltreoceano.
In quell’effervescente clima culturale, caratterizzato da un grande dinamismo – e da altrettanto violente contraddizioni – si andava progressivamente consolidando il mio rapporto con quella che nel frattempo era diventata la mia “patria adottiva”. L’atmosfera generale, dentro e fuori dall’Accademia, era contraddistinta da un forte senso di empatia e di gratitudine. Le serate nei club, gli eventi e le esposizioni inaugurali, in cui venivano presentati importanti artisti locali e internazionali, si susseguivano e la città restituiva quotidianamente un grande bagaglio di stimoli e di visioni “altre”.
Il mio percorso di formazione artistica proseguiva attraverso incontri, confronti, esperienze e sperimentazioni, cercando di partecipare agli appuntamenti più significativi che si svolgevano nelle città disposte lungo la via Emilia – la direttrice che, passando per Bologna, collega Rimini a Milano.
Nel 1996 ho esordito pubblicamente con il mio lavoro a Reggio Emilia, su invito di Stefano Gualdi, partecipando alla collettiva Restate all’erta. Luoghi d’arte sulla Via Emilia, dopo essere entrato a far parte del gruppo di artisti rappresentati dalla galleria San Salvatore Arte Contemporanea di Modena – una giovane realtà, allora esordiente, con cui avrei successivamente intrapreso un significativo rapporto e che, a partire dalla mia prima mostra personale Taste my love, curata da Luca Beatrice, mi avrebbe condotto a partecipare alle più importanti fiere nazionali.
Muovendomi al di fuori dell’Emilia Romagna, grazie alla collaborazione con Enzo Santese che aveva curato una mia personale presso la galleria Nuova Arte Segno di Udine, ho avuto l’opportunità di entrare in contatto con Cristina Morato, direttrice della galleria La Giarina Arte Contemporanea di Verona, con la quale ho instaurato un duraturo rapporto di collaborazione, fondato su una profonda sintonia e una grande stima reciproca.
Il critico d’arte Gabriele Perretta, ideatore della teoria del Medialismo, ti ha dedicato un testo incluso nel volume I mestieri di érgon. Fabric’art: visioni, oggetti, storie della medialità., edito nel 2005.
Come ti senti in questa definizione di artista mediale?
Francesco Totaro: La curiosità è l’energia che alimenta la mia “macchina creativa”. Fedele al credo per cui è necessario muoversi attraverso i materiali piuttosto che privilegiarne fideisticamente uno, la mia attività artistica si caratterizza per la multidisciplinarietà dell’approccio.
Nel mio percorso ho sempre evitato la scelta di un unico mezzo espressivo e quando utilizzo una tecnica tendo a negarne la concezione tradizionale, mettendo in atto una fattualità non dogmatica.
Trovo che la definizione di artista mediale mi possa corrispondere e ritengo che il termine Medialismo – nonostante sia stato coniato fin dal 1993, da parte di Gabriele Perretta, critico e archeologo della contemporaneità – sia tornato più che mai di grande attualità nel contesto della ricerca artistica contemporanea.
Nel 2004, l’anno precedente alla pubblicazione del testo cui fai riferimento nella tua domanda, ho avuto l’opportunità di collaborare con Gabriele Perretta in occasione della mia mostra personale I doppi e i fluidi, che si è svolta presso la galleria La Giarina Arte Contemporanea di Verona, di cui è stato il curatore. In quella occasione è nato un dialogo estremamente stimolante che ci ha dato modo di conoscerci in maniera più approfondita e che ha fatto sì che dedicasse al mio lavoro il testo monografico che ha incluso nel succitato volume I mestieri di érgon. Fabric’art: visioni, oggetti, storie della medialità.
La sua riflessione, ampia ed articolata, parte dal presupposto che la categoria dell’artista si è semanticamente dilatata, superando i confini delle definizioni classiche e che le nuove tecnologie hanno prodotto il frazionamento del sistema artistico, immettendo nella rete tutto il complesso classico dei segni.
L’approccio critico al mio lavoro ha trovato spazio all’interno del suo pensiero attraverso l’individuazione di alcune peculiarità salienti, nelle quali ho ritrovato compiutamente rappresentata la mia ricerca.
Vorrei citarne brevemente un passaggio:
“Totaro (…) servendosi del confronto tra la fotografia digitale e la pittura astratta, tira fuori una sequenzialità tecnica diversificata, che tende a mimetizzare risultato artigianale e alfanumerico. (…)
Facciamo pure l’immagine digitale, ma proviamo anche ad aggiungere qualcosa che la ponga in maniera alchemica su un confine di scettico mistero”.
Nella tua pratica artistica utilizzi il pennello, la fotografia e la grafica digitale.
Come fai dialogare fra loro queste tre diverse modalità operative?
Francesco Totaro: Nel complesso, il mio lavoro si è sempre articolato attraverso l’utilizzo di media espressivi diversificati e il corpus delle mie opere è il risultato di un’esplorazione continua delle possibilità intrinseche alle più svariate modalità espressive e alla loro interazione. Un percorso d’indagine non necessariamente evolutivo, ma fatto di accelerazioni, decelerazioni, deviazioni, scoperte…
Non ho mai posto alcun limite alla sperimentazione e alla ibridazione di tecniche diverse; al contrario, ho sempre ricercato i materiali e i supporti che, al di là delle definizioni classiche, fossero i più espressivi per il messaggio che volevo trasmettere in quel momento, senza che nessuno di questi medium visivi diventasse mai un fine.
La mia ricerca si è espressa nel tempo a partire dalla pura pittura – acquerello e tempera, su supporti polimaterici – per approdare successivamente all’accostamento tra la scultura e la stampa ink-jet su carta fotografica, con l’intervento di resine e acrilici – come nel caso del ciclo di lavori presentati in occasione della mostra personale Taste my love, a cura di Luca Beatrice – e procedere ulteriormente in direzione della stampa digitale su supporti plastici, per la realizzazione di light-box – come per le opere esposte nella mostra personale 01, curata anch’essa da Luca Beatrice.
Un’ulteriore e significativa tappa del mio percorso espressivo è stata quella dell’utilizzo della photo-pittura digitale – realizzata tramite la stratificazione di pellicole stampate ad ink-jet ed applicate su forex – accostata a sua volta alla pittura tradizionale, acrilico e smalto su tela – come per il corpus di lavori esposti in occasione della mostra personale I doppi e i fluidi, curata da Gabriele Perretta (già citata rispondendo alla domanda precedente).
Ritengo che questa sorta di mescolamento continuo delle carte, sottraendo le cose dal loro ambito più normale e rassicurante, implichi e sia espressione stessa di un’idea dell’arte estremamente fluida, senza pregiudizi e senza barriere.
Attualmente la mia pratica artistica si è focalizzata sull’utilizzo in parallelo di modalità operative che si pongono agli antipodi dello spettro delle tecniche definite classicamente: la pura pittura acrilico su tela, da un lato; la foto-grafica digitale stampata su lastra di alluminio, dall’altro. Il dialogo fra queste diverse modalità operative avviene in maniera lineare, in quanto espressione del graduale processo generativo dell’opera.
Nella comune accezione critica la fotografia è il mezzo più adatto a rappresentare la realtà, la foto cattura la sensazione di un attimo per restituirla come un momento di eternità. Quello che a me interessa però, non è la resa formale o contenutistica dello strumento, ma il fatto che sia un mezzo, un supporto sul quale poter intervenire successivamente, un “foglio di carta” da impressionare.
La grafica digitale, realizzata con l’uso esclusivo del mouse, è la modalità attraverso la quale compio questo processo di appropriazione, invadendo l’immagine fotografica con segni ed interventi diversificati. La foto diventa un pretesto su cui inscenare una fluttuante marea di soffuse e variegate forme quadrangolari – rappresentazione del piano akashico, l’etere – che a sua volta fa da sfondo, avvolgendola, alla forma grafica monocromatica che si lega al soggetto specifico dell’opera. Nei lavori più recenti ho introdotto un ulteriore intervento grafico gestuale, una serie di sottili elementi lineari tracciati con segni piuttosto netti, con i quali evoco il concetto dell’intreccio delle linee che ci connettono gli uni agli altri, l’entanglement.
Ho voluto identificare il risultato di questo processo, superando per l’appunto le definizioni classiche e ricorrendo all’utilizzo del neologismo “photo-grafica” che ritengo restituisca con sufficiente chiarezza ed immediatezza l’idea dell’interazione delle modalità operative su cui si fonda.
Proseguendo, la photo-grafica digitale dialoga a sua volta con la pittura tramite la giustapposizione dei rispettivi manufatti, accostando i supporti sui quali sono impresse le rispettive figurazioni in modo che le superfici di entrambi, rivolte verso il fruitore, siano collocate sul medesimo piano di profondità, in stretta relazione.
L’immagine complessiva dell’opera si compie attraverso il concorso dei diversi supporti su cui i segni scorrono senza soluzione di continuità, prescindendo la modalità operativa con cui sono stati realizzati – sia esso il pennello tradizionale che stende il colore acrilico sulla tela tesata dal telaio ligneo, piuttosto che il mouse che traccia i suoi percorsi sull’immagine fotografica digitalizzata.
Con l’ultima mostra DIPTYCHON | DITTICI DIALOGICI alla galleria La Giarina di Verona presenti una produzione centrata sulla forma del dittico come dialogo, sottolineato anche dalle parole che scandiscono il percorso espositivo.
Perché questa particolare scelta?
Francesco Totaro: Utilizzo da diversi anni la forma espressiva del dittico, ponendo in generale grande attenzione al rapporto dialettico che intercorre tra il supporto ed il contenuto – o potrei dire anche tra significante e significato, se volessimo esprimerci prendendo in prestito un’espressione propria dell’ambito della Linguistica.
Nel caso specifico del corpus di opere esposte alla galleria La Giarina di Verona, in occasione della mia ultima personale DIPTYCHON | DITTICI DIALOGICI che si è appena conclusa, l’intero progetto espositivo è basato sul serrato dialogo digitale/analogico che trova forma nei dittici e nei polittici, realizzati attraverso la giustapposizione della pittura su tela e della photo-grafica digitale stampata su lastra di alluminio.
Ho voluto esprimere la mia visione creativa in forma apertamente diadica – ponendo da un lato, la finta immagine del mondo, ossia quella dedotta attraverso la nostra esperienza sensoriale; dall’altro, quella reale generata dal pensiero – per mezzo di elaborati che, nella loro unitarietà, vogliono simbolicamente trascendere la separazione fra pensiero e materia, ponendosi al di là della dicotomia che caratterizza il pensiero occidentale moderno e che ci ha resi estranei a noi stessi.
Quello che mi interessa mostrare è l’interconnessione tra l’individuo e l’etere anche nella “povera” quotidianità contemporanea e tecnologica, in particolare, riferendomi all’idea di Mente Universale, secondo cui il reale esperibile è intimamente connesso e noi stessi ne siamo i co-creatori – anche se inconsapevoli, nella maggior parte dei casi…
Ciò che indago – partendo da figure prese dalla realtà metropolitana, decontestualizzate e immerse in un pulviscolo di rarefatte forme geometriche – sono una serie di accadimenti attraverso i quali rappresentare le azioni potenzialmente esprimibili all’interno del campo delle possibilità – campo akashico.
La mia ricerca è fortemente influenzata dai testi sugli studi che mostrano le connessioni tra la meccanica quantistica, la programmazione inconscia e, più in generale, le potenzialità creative della mente.
Attraverso l’andamento binario delle sale, mi sono posto l’obiettivo di ristabilire una sorta di simbolismo contemporaneo, costruito attorno a temi assoluti che si configurano come veri e propri “epicentri tematici”.
Sulla base di questa considerazione ho scelto di accompagnare la presentazione dei miei lavori con il supporto di alcune parole specifiche, esplicitate attraverso la collocazione di grandi lettere posizionate su diverse porzioni di pavimento delle sale espositive. I termini che ho utilizzato, anch’essi in forma diadica, sono per l’appunto l’espressione dei focus indagati dalle opere ivi collocate.
HARMONIE/DISSONANZ (armonia/dissonanza), AKASHA-FELD (campo akashico), NATUR/KAPITAL (natura/capitale), HERZ/HIRN (cuore/cervello) sono i 4 focus indagati in occasione della mostra. Ce li racconti?
Francesco Totaro: La mostra è stata concepita come una grande installazione, la cui narrazione si sviluppa all’interno di un percorso scandito in sezioni, attraverso il quale si può essere guidati per mezzo della scansione di un QRCode.
Il focus indagato attraverso i lavori che sono collocati nella prima sala della galleria è sintetizzato attraverso il binomio antinomico HARMONIE/DISSONANZ (armonia/dissonanza).
I diversi soggetti sviluppati nelle singole opere presentate in questa sezione, propongono nel loro insieme due modelli culturali contrapposti: quello machista e patriarcale – oppressivo e violento – e quello femminile, incentrato sui concetti di materna accoglienza e reciprocità.
L’intento è quello di portare l’attenzione sui processi attraverso cui si generano le antinomie tra contesti caratterizzati da un’armonica convivenza e quelli segnati da soprusi e prevaricazioni, prendendo una netta posizione in merito – azione, questa, che viene simboleggiata a livello figurativo dalla mano che porge un cervello stilizzato, raffigurata nella parte centrale del polittico esposto in questa sezione.
Laddove i condizionamenti e le “credenze” continueranno ad essere anteposti all’acquisizione di consapevolezza e all’autodeterminazione – indispensabili per fare germogliare un nuovo progetto sociale fondato sul rispetto e l’inclusione, andando oltre le differenze di etnia, genere ed orientamento – non potremo essere in grado di contrastare gli integralismi e le violenze.
Il secondo focus indagato, AKASHA-FELD (campo akashico), è strettamente correlato al significato di Akasha, una parola sanscrita che significa “etere”. Nella filosofia indiana rappresenta la quintessenza, una sostanza fisica eterna, impercettibile e che tutto pervade: l’utero da cui tutto emerse e in cui, infine, tutto sarà riassorbito.
È considerato il primo e più importante dei cinque elementi fondamentali, i cui restanti quattro sono rappresentati nelle opere collocate nella corrispondente sala – WASSER (acqua), FEUER (fuoco), LUFT (aria), ERDE (terra).
Il campo akashico è un concetto imprescindibile per compiere una riflessione sul tema della connessione e della memoria collettiva – nel cosmo e nella coscienza – attraverso il quale acquisire definitivamente la consapevolezza del fatto che ogni nostra azione lascia un’impronta indelebile nello spazio che occupiamo e che la terra è un pianeta con dimensioni e risorse finite.
L’antinomia NATUR/KAPITAL (natura/capitale) rappresenta l’epicentro tematico della terza sezione che raccoglie attorno a se un gruppo di lavori che includono l’opera di maggiori dimensioni dell’intero corpus, l’unica a non presentare nella parte pittorica una figura umana, ma la raffigurazione di un albero dal forte portato simbolico, il Ginkgo biloba – la cui resilienza e la cui capacità di cambiare sesso nel corso della propria vita, gli attribuiscono un valore paradigmatico in riferimento alle tematiche indagate in questa mostra.
Compiere una riflessione sul potere creativo della mente e sul delicato sistema di relazioni attraverso cui siamo connessi, non può prescindere, anche in questo caso, dal porre l’attenzione sulla dimensione spazio-temporale nella quale compiamo le nostre azioni quotidiane e sull’impatto da esse generato.
Le condizioni emergenziali in cui versa il pianeta – risultato di una tragica visione che antepone gli interessi speculativo-finanziari di stampo capitalistico, a quelli della difesa dell’ambiente e dell’equilibrio naturale – dovrebbero motivarci fortemente a muoverci in direzione dell’acquisizione di concetti quali rivoluzione gentile e decrescita felice.
Il quarto focus HERZ/HIRN (cuore/cervello) indaga il binomio antinomico per eccellenza – ragione e sentimento – proponendo una visione secondo cui i due termini non dovrebbero essere intesi come antitetici, ma, al contrario, come elementi ricongiunti nell’atto finale di ritorno a quella sostanza fisica eterna ed impercettibile, da cui tutto si è generato.
Per fare ciò, ho scelto di veicolarne il messaggio attraverso una sola opera – un unicum rispetto alle restanti sezioni del percorso espositivo – in cui affronto il tema della maternità e del principio della vita e che ho collocato nella sala ipogea, il “grembo spirituale” della galleria.
Come si inserisce il concetto di entanglement, che la curatrice Francesca Di Giorgio suggerisce come “senso profondo di interrelazione fra le cose”, in questa narrazione?
Francesco Totaro: Questa narrazione, per quanto complessa o fantasmagorica possa apparire, ha alla base un’affermazione estremamente semplice – ma rivoluzionaria, al contempo – pronunciata da colui che viene unanimemente considerato il più importante fisico del ventesimo secolo, Albert Einstein: “Il campo di energia è l’unica realtà”.
Quando Francesca Di Giorgio ha approcciato il mio lavoro, vi si è immersa con grande passione e per me è stato un piacere condividere con lei il pensiero generativo che stava dietro alle opere.
Alcuni dei testi al cui studio mi sono dedicato ormai da diversi anni, offrono una visione sorprendentemente coerente di un universo interconnesso e di una concezione dell’essere umano in cui la mente ed il corpo sono un concentrato di potere pulsante connesso al loro ambiente, in costante interazione con questo mare di energia.
La meccanica quantistica ha già dimostrato che non esistono né il vuoto né il nulla. Secondo il principio di indeterminazione elaborato da Werner Heisenberg – uno dei padri della fisica dei quanti – nessuna particella si trova mai in uno stato di quiete assoluto, ma è in un moto continuo, dovuto alla presenza di un campo energetico fondamentale che interagisce costantemente con tutta la materia subatomica.
La cosiddetta “energia vitale” esiste e questo mare di energia virtuale sottile è il terreno d’origine dei pacchetti d’onda che vediamo come materia.
Il mondo – o meglio, l’universo – è un grande scenario in cui tutto è direttamente e intimamente interconnesso.
Partendo da questo assunto è facile comprendere come si possa anche affermare che ci troviamo in un luogo in cui il cambiamento di un singolo sistema implica il cambiamento degli altri.
L’entanglement quantistico (in inglese “groviglio, intreccio”) è proprio questo fenomeno, in cui lo stato di due o più sistemi fisici dipende dallo stato di ciascun sistema – anche se spazialmente separati.
Questo “senso profondo di interrelazione fra le cose” apre uno scenario in cui si configurano infinite possibilità di combinazioni e nel quale la coscienza di ognuno di noi assume un ruolo chiave nella creazione della realtà percepita.
Il nesso tra queste teorie e la narrazione espressa attraverso le mie opere, sta nel fatto che con il mio lavoro cerco di spostare l’attenzione sul potenziale potere di cambiamento che è già di per sé insito nelle cose stesse e nelle relazioni attraverso cui sono interconnesse – a condizione che se ne diventi consapevoli…
A proposito della connessione tra arte e scienza, tra digitale e analogico, tra virtuale e reale, che cosa pensi della crypto art?
È un mondo che ti attira, che potrebbe far parte della tua visione dell’arte come approccio, come prodotto, come mercato?
Francesco Totaro: L’attività artistica che svolgo è prima di tutto basata sullo scambio empatico, sulla capacità di coinvolgere emotivamente chi fruisce le mie opere, cercando di trasmettere un messaggio in cui possa immedesimarsi il maggior numero di persone.
La mia ricerca creativa si basa sul presupposto che arte e scienza rappresentino un binomio inscindibile – del resto sarebbe praticamente impossibile immaginare la scienza senza le immagini: gli scienziati come gli artisti cercano una rappresentazione visuale del mondo.
La continua innovazione in ambito digitale ha prodotto la nascita di questa specifica categoria d’arte applicata alla tecnologia blockchain che consente di acquistare, vendere e collezionare opere d’arte digitali in maniera decentralizzata, una sorta di nuova di frontiera nel mondo dell’arte.
In questo momento, la crypto art – includendo tutte le forme artistiche che prevedono la digitalizzazione di un’opera fisica o la creazione di un’opera digitale – sta scardinando i canoni classici di fruizione delle opere.
Il cambiamento non sta tanto nei meccanismi di proprietà dell’opera, ma nel mercato dell’arte che sta affrontando importanti trasformazioni, non essendoci più garanzie fisiche. Le transazioni stesse non avvengono più con i sistemi classici – tra le mura della galleria – ma si sono spostate sulle piattaforme digitali specifiche, utilizzando nuove monete virtuali…
Per quanto mi riguarda, la possibilità di creare un prodotto alternativo – la cui unicità è garantita dal sistema blockchain – è certamente un tema che ha stimolato la mia curiosità e la voglia di approfondirne i meccanismi: da un lato, per la popolarità e la diffusione senza precedenti acquisita in breve tempo; dall’altro, perché la mia ricerca artistica gravita da sempre attorno al binomio digitale/analogico.
Anche in questo caso però – anzi, più che mai in questo ambito specifico – la sinergia tra l’artista ed il pool che viene coinvolto nel percorso emersivo della propria visione progettuale è fondamentale e va costruita con la dovuta cautela. Con assoluta discrezione, posso comunque anticiparti che alcune possibilità concrete potrebbero delinearsi nel prossimo futuro…
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Francesco Totaro: Arte crittografica a parte… Innanzitutto, vorrei godermi appieno la lettura di questo piacevolissimo scambio su ArTalkers.it, per il quale ti ringrazio.
Come ho già avuto modo di dirti quando abbiamo iniziato questo dialogo, ho trovato la tua proposta molto stimolante perché mi ha dato la possibilità di toccare i diversi piani della mia ricerca, sviluppando una vera e propria narrazione che, partendo dal mio bagaglio esperienziale personale, arriva ad illustrare l’immaginario creativo sotteso ai miei lavori.
Namasté!
Dopodiché, passando ad un piano più prosaico, mi concederò un breve break dopo il tour de force della presentazione del volume pubblicato da Vanillaedizioni – per mano di Francesca Di Giorgio – in occasione della mia ultima personale DIPTYCHON I DITTICI DIALOGICI svoltasi presso la galleria La Giarina Arte Contemporanea di Verona, di cui lei stessa è stata la curatrice.
Colgo l’occasione, per ringraziare Cristina Morato – direttrice della galleria – e gli amici, gli addetti ai lavori e i collezionisti che hanno visitato la mostra, confermando la loro fiducia nel mio lavoro.
Nel mese di luglio verrà inaugurata la mia prossima mostra personale DITTICI SINCRONICI | IL NON ANCORA NELL’ADESSO presso il Museo del Presente di Rende (Cosenza), con la doppia curatela della critica e storica dell’arte Mariateresa Zagone e del critico e curatore del museo Roberto Sottile – ideatore della rassegna Intrecci Contemporanei, all’interno del cui contesto si svolgerà l’evento.
Il corpus di opere che sarà esposto è costituito da gran parte del mio ultimo ciclo di lavori presentato nella personale che si è appena conclusa a Verona, attraverso un nuovo allestimento espressamente ideato per gli spazi del museo che includerà un importante realizzazione inedita – di cui, magari, avremo modo di parlare nel prossimo futuro.
Il catalogo digitale, che conterrà il doppio contributo critico dei due curatori, sarà direttamente consultabile anche sul mio sito, a partire dal giorno di apertura della mostra – Opening, giovedì 21 luglio, ore 19.
Dopo il periodo estivo, in autunno, prenderò parte ad un nuovo progetto espositivo curato dal critico, pubblicista e docente di Estetica presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, Valerio Dehò, che ho avuto il piacere di incontrare di recente, ma in merito al quale non posso ancora dare ulteriori dettagli, se non che si concluderà nei primi mesi del prossimo anno.
Per il momento – un po’ per “pudore”, un po’ per scaramanzia… – mi fermerei, sei d’accordo Alice?
Ringrazio Sandro Bicego per la sempre preziosa collaborazione.
FONTI e APPROFONDIMENTI: - sito web ufficiale dell'artista Francesco Totaro (link) - sito web ufficiale della galleria La Giarina arte conteporanea, Verona (link) - catalogo: Francesco Totaro. Diptychon | Dittici Dialogici, 2022, Vanillaedizioni (link) - libro: Gabriele Perretta, I mestieri di érgon. Fabric'art: visioni, oggetti, storie della medialità, 2005, Mimesis edizioni (link)
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