Con questa serie di dipinti Alejandro Campins, che ha al suo attivo mostre in gallerie, musei e collezioni in tutto il mondo, desidera mostrare il lato positivo di un evento traumatico, la Rivoluzione Culturale Cinese, che attraverso la diaspora ha determinato la diffusione del buddismo tibetano in Occidente. L’artista nei suoi quadri cerca l’essenza e le potenzialità nascoste nei luoghi; l’idea di trascendenza guida la sua visione metafisica che traduce la potenza di questi paesaggi in immagini serene, ferme nel tempo.
Nelle fessure della storia, Campins ricerca bellezza e armonia anche quando queste appaiono come il loro contrario. “Mi sento attratto” – ci ha raccontato in questa intervista – “dai luoghi che hanno una carica spirituale, emozionale e storica molto forte, che hanno trasformato mentalità e sfidano il nostro concetto di tempo e spazio”.
Il tuo incontro con il Tibet e la tua pratica del buddismo tibetano come hanno influito sulla tua ricerca come artista?
Alejandro Campins: non amo molto parlare della mia pratica buddista quando parlo di arte, perché non voglio che un argomento personale e importante venga male interpretato, o scambiato per un ‘feticcio’. Da undici anni pratico la meditazione e questo ha molto influenzato il mio modo di lavorare, di vedere l’arte e affrontare la pittura. Chi conosce la pratica della meditazione sa che questa presuppone un lavoro di relazione costante con la natura sia della mente che dello spazio. In modo più o meno volontario, credo che questa relazione si manifesti nella mia pittura, dove lo spazio è informazione e l’informazione è spazio.
Durante la presentazione della mostra, hai spiegato che in questa serie di dipinti associ tecniche prospettiche occidentali a quelle della tradizione tibetana, dove la prospettiva è resa con piani sovrapposti.
Alejandro Campins: mi ha sempre molto interessato il modo in cui culture o tradizioni diverse rappresentano un’immagine e un’idea. L’ idea della prospettiva, di un punto di fuga, che nasce anche dall’Italia, ha formato la rappresentazione occidentale. Nella rappresentazione tibetana l’idea di prospettiva è diversa, a piani sovrapposti.
In Tibet ho capito che questo ha a che fare con il paesaggio reale. Dovunque fossi, la percezione dello spazio, così come del tempo, era totalmente differente. L’idea di combinare le diverse prospettive, che in questa serie è evidente, vuole riferirsi anche all’occidentalizzazione del buddismo tibetano. Questo ha che fare con l’invasione da parte della Cina, e con la diaspora tibetana che diffuso il buddismo nel mondo.
Hai parlato di impermanenza e atemporalità e dell’idea della morte come concetti importanti nella tua ricerca. Come intrecci questi concetti nel tuo lavoro?
Alejandro Campins: sono le idee di base per mettere a fuoco le mie serie di dipinti. Ricerco sempre luoghi dove in qualche modo si manifestino l’idea d’impermanenza e atemporalità. M’interessano i concetti di principio e fine, di rappresentare la morte non come qualcosa di definitivo, ma al contrario come inizio, una nuova tappa. Colleghiamo sicurezza e felicità a ciò che è impermanente. Non siamo capaci di legarle invece a quello che è permanente. Mi piace rappresentare la fragilità delle cose colte nel punto intermedio fra vita e morte.
Mi ha colpito una metafora che hai usato in occasione di una mostra a Detroit, che paragonava i tuoi quadri all’acqua sporca che resta dopo aver fatto il bucato. Ti riferivi alla pittura come processo di purificazione?
Alejandro Campins: sì mi ricordo che in quell’occasione mi chiedevano perché i miei quadri erano pessimisti, per via del tema [siti industriali abbandonati di Detroit, n.d.a.] e i colori scuri. Ma l’idea di fondo era tutto il contrario. Come dicevo poco fa, m’interessa la fragilità dei luoghi che sono carichi di emozioni e di storie forti. Ma la cerco attraverso una percezione totalmente aliena da temi di morte e depressione.
La mia metafora era una spiegazione della mia visione di quei luoghi, che cercava il lato positivo attraverso una sorta di depurazione, come quando si lava qualcosa per renderlo di nuovamente bello e mostrare il suo potenziale.
Ci sono punti di contatto fra Cuba e Detroit, e questo si collega al mio interesse nell’idea di circolarita’, d’inizio e fine. È interessante come il passato di Detroit, che poi ha creato la sua decadenza, [la de-industrializzazione del settore automobilistico n.d.a.} è ora il presente di Cuba.
Moltissime delle auto che sono un elemento caratteristico della vita urbana di Cuba sono auto d’epoca costruite negli anni cinquanta a Detroit, un fatto dovuto all’embargo perché dalla rivoluzione del 1959, a Cuba è stato impossibile importare automobili. [anche oggi è molto costoso per via della tassazione molto alta per gli stipendi cubani. La stragrande maggioranza d’auto d’epoca sull’isola è diventata una sua peculiarità n.d.a).
Quando hai deciso di concentrarti sulla pittura del paesaggio? Hai descritto la tua infanzia a Manzanillo, la nebbia mattutina, l’orizzonte visto dalla tua casa su una collina come elementi che ti hanno formato come pittore. La linea dell’orizzonte infatti sembra strutturare la composizione di molti dei tuoi dipinti.
Alejandro Campins: mi ha sempre interessato il paesaggio perché pur essendo un soggetto che può apparire molto tradizionale, rispetto agli altri generi offre maggiore libertà. Non ha canoni, è libertà totale, rispetto alla figura umana ad esempio. Il paesaggio ha tre elementi che cambiano costantemente: terra, orizzonte e cielo.
Questi elementi li pongo in funzione dell’idea: l’orizzonte basso enfatizza l’elemento spirituale; se è più alto quello terreno. Allo stesso tempo m’interessa l’orizzonte come illusione, in costante cambiamento a seconda del nostro movimento e mi piace come ha occupato una posizione importante nella storia dell’arte, dalle pitture rupestri, al Rinascimento. Tiziano fu uno dei primi artisti ad avere abbassato la linea d’orizzonte per dar risalto alla figura umana.
Lo storico dell’arte americano WJT Mitchell, che ha scritto molto sul paesaggio, sostiene che il paesaggio in pittura contiene sempre un aspetto ideologico. Cosa ne pensi?
Alejandro Campins: Paesaggio reale e rappresentato sono due cose distinte. Il paesaggio reale condiziona, costruisce e trasforma la cultura e l’ideologia, è responsabile della mentalità di un’epoca e di una civiltà e, viceversa, la cultura e l’ideologia trasformano il paesaggio. Quindi si’, concordo con questa opinione. Ma paesaggio rappresentato è anche una visione molto personale, in un certo senso romantica.
Che cosa ti colpisce in un paesaggio, cosa fa scattare il desiderio di dipingerlo?
Alejandro Campins: mi sento maggiormente attratto dai luoghi che hanno una carica spirituale, emozionale e storica molto forte, luoghi e paesaggi che hanno trasformato la mentalità e che in qualche modo sfidano il nostro concetto di tempo e spazio.
Hai uno sguardo diverso quando dipingi, fotografi o disegni?
Alejandro Campins: sì, sono tre linguaggi distinti, dove l’idea di tempo funziona in modo differente. L’immagine della fotografia non ha tempo, la velocità di otturazione di un secondo. La fotografia è un momento di osservazione, che chiaramente deve catturare un momento interessante. La pittura ha il tempo dell’esecuzione che contiene il pensiero, l’energia, uno stato d’animo. La fotografia e il disegno li considero come un diario di viaggio, un po’ come facevano i pittori romantici.
Mi piace disegnare dal vero, oppure appena arrivato in studio, il disegno è un mezzo molto libero, al contrario della fotografia, per registrare impressioni. Tutto questo processo è importante nel mio lavoro. Potrei scaricare le immagini da internet, ma ho una relazione diversa con la rappresentazione: m’interessa viaggiare, conoscere la gente, il clima, la luce e l’energia di un luogo, fondamentali al momento di generare un’immagine.
Non uso i social media. Non che abbia nulla in contrario, ma il problema che sento è che con i social si perde il rispetto dell’immagine. Per me questa relazione invece è importante per arrivare a un fine: cercare di trattenere il tempo.
Ti consideri un pittore più metafisico o romantico?
Alejandro Campinas: entrambi. E di più!
Come costruisci i tuoi dipinti? Mi parli brevemente del processo?
Alejandro Campins: alla fine di tutto il processo di preparazione con fotografia e disegno ho in testa un’immagine, che però non riesco mai a tradurre esattamente nel quadro! La composizione finisce per essere un po’ differente, ma non mi dispiace, non amo essere schematico. Non mi piace lavorare sulla tela bianca, quindi parto da un colore scuro e lavoro dall’oscurità verso la luce. È un processo stratificato, a tappe, dall’astrazione alla figurazione, dal generale al particolare, come se dipingessi il tempo e lo spazio.
Osservati da vicino, i tuoi quadri sono come sporcati da piccole macchie e grumi di colore, che creano una distrazione visiva molto intrigante.
Alejandro Campinas: al principio è stato un fatto accidentale, ma poi ho finito per incorporarlo come parte dell’opera. Ora è per metà accidentale e per metà intenzionale. Lo spazio per me è un personaggio, e m’interessa dargli protagonismo attraverso la materia, creare un movimento dello sguardo, di superficie e profondità. Questi piccoli dettagli supportano quest’intenzione.
La figura umana non compare quasi mai nei tuoi dipinti. Hai affermato che ti piace che la pittura sia narrativa e la figura umana in qualche modo limita la narrazione.
Alejandro Campins: voglio una pittura narrativa dove la figura umana non sia protagonista come forma. Con la forma umana, o animale che sia, la storia si svela immediatamente. Mi piace che s’intuisca la presenza umana senza renderla manifesta, è una specie di sfida.
Lo stesso vale per i dettagli, che non abbondano nei tuoi quadri.
Alejandro Campins: quelli lascio che sia lo spettatore a metterli.
C’è un paesaggio in particolare che vorresti esplorare in una futura serie di dipinti?
Alejandro Campins: una serie che ho immaginato ma non ho mai sviluppato, un grande tour dei vulcani. Ma un viaggio del genere prenderà parecchio tempo.
Fonti e approfondimenti: Alejandro Campins,"Distancia Interna" GALLERIA CONTINUA San Gimignano fino al 15 maggio 2022. Sito di Alejandro Campins GALLERIA CONTINUA
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