Sfida vinta alla grande, oggi Galleria Continua ha fama mondiale e sedi in tre continenti. Fa meno clamore il lato no-profit del progetto, con rammarico del presidente di Associazione Arte Continua Mario Cristiani. Eppure l’Associazione è stata ed è fondamentale in questa Success Story toscana. Nel 1996 prende avvio la prima edizione di “Arte all’Arte. Arte Architettura Paesaggio”, progetto decennale (1996-2005) che ha portato in borghi e cittadine toscane 89 artisti della comunità internazionale da tutti i continenti a creare opere site-specific, alcune divenute permanenti tramite donazioni.
Nel tempo l’Associazione ha allargato gli orizzonti invitando, con il progetto Arte x Vino = Acqua, artisti internazionali a disegnare etichette per esclusivi vini italiani, venduti all’asta per realizzare impianti idrici in aree del pianeta problematiche. Ha realizzato progetti in altre regioni, ad esempio ARTEPOLLINO, per valorizzare il patrimonio ambientale e culturale del territorio del Parco Nazionale del Pollino. Recentemente ha contribuito ad organizzare una serie di Webinar sulle città del futuro, ha installato a Prato l’opera SHY di Antony Gormley, e l’opera “Abete” di Giuseppe Penone in Piazza della Signoria a Firenze, in concomitanza con la mostra dell’artista presso le Gallerie degli Uffizi.
In occasione della celebrazione dei 25 anni di “Arte All’Arte” a San Gimignano lo scorso settembre, abbiamo intervistato il presidente Mario Cristiani per parlare dello spirito che muove l’Associazione, dei suoi progetti e del suo futuro.
Vorrei iniziare dal tuo intervento nella tavola rotonda organizzata per la celebrazione dei 25 anni di “Arte all’Arte. Arte Architettura e Paesaggio” a San Gimignano. Hai affermato che Associazione Continua e Galleria Continua insieme hanno creato un modello tra profit e non profit che ha rovesciato gli schemi. Puoi approfondire?
Mario Cristiani: La nostra attività è nata nel 1990 con questi due nuclei, Associazione e Galleria, contemporaneamente. È abbastanza inusuale, almeno in Italia, dove ci si orienta verso l’una o l’altra attività. Oppure il no profit nasceva spesso per coprire il profit, confondendo le due situazioni e mistificando le missioni diverse per le quali le due attività nascono. Averle tenute distinte in modo chiaro e trasparente, era ed è un modo per aderire ad uno standard poco in uso in Italia, meno confuso e più internazionale.
Nella maggior parte, le associazioni no profit in Italia devono arrabattarsi senza fondi, con il rischio di dipendere quasi completamente dalle scelte o dai cambi di gestione delle amministrazioni pubbliche. Le istituzioni private invece sono sempre soggette al sospetto d’agire con secondi fini. In Italia si fanno cose eccelse, ma proprio per una mancanza di chiarezza sui fini e sulle economie, spesso si corre il rischio di essere ritenuti poco credibili in Italia e a livello internazionale.
Quindi è importante avere due missioni e due modalità di operare distinte dal principio, bisogna far tesoro di quello che possono insegnarci i paesi anglosassoni.
La responsabilità sociale d’impresa fa crescere tutta la comunità, diminuisce la relazione di dipendenza fra politica e impresa, e viceversa il tentativo da parte delle imprese di fare lobbying e condizionare in modo occulto le politiche pubbliche, così viene a prendere una forma evidente che può esser controllata e organizzata.
Per quanto mi riguarda, la parte no profit della nostra impresa è sempre stata fondamentale, importante, e irrinunciabile.
Mi sono formato a Scienze Politiche e in Sociologia del Lavoro, la mia militanza politica risale a quando ero giovanissimo. Sono sempre stato sensibile ai problemi legati alle ingiustizie sociali e al rispetto delle minoranze, e alle forme di alienazione individuale e collettiva. Il fallimento del comunismo ha lasciato irrisolte, ma evidenti, alcune questioni che pretendeva di risolvere. Il capitalismo nonostante il grande sfruttamento di risorse e di persone, pur risultando migliore del comunismo sovietico è incapace di diminuire le distanze sociali e l’alienazione individuale.
Il mio interesse nell’arte pubblica è anche stato un modo di cercare delle vie alternative che permettessero la partecipazione della collettività e la crescita individuale e collettiva, attraverso opere d’arte visiva installata alla vista di tutti i possibili passanti da un determinato luogo.
Come avete costruito un rapporto di fiducia che vi ha permesso di sin dall’inizio di lavorare con grandi artisti?
Mario Cristiani: Antony Gormley, Sol Lewitt, Anish Kapoor, Jannis Kounellis, Carsten Holler, Michelangelo Pistoletto, Pascale Marthine Tayou, Daniel Buren, oggi artisti della Galleria, hanno iniziato a lavorare con L’Associazione. Con i curatori chiamavamo gli artisti che potevano lavorare con la massima libertà ai loro progetti, e questo, insieme al fatto che non avessimo scopi di lucro, ha sicuramente permesso agli artisti di valutare la sincerità del nostro amore per il loro lavoro.
Da questa esperienza pratica sono nate le nostre relazioni personali forti con gli artisti che hanno capito la nostra passione.
In seguito con lo strumento Galleria Continua siamo riusciti a dar una continuità alle iniziative che le azioni dell’Associazione avevano avviato.
Là dove gli artisti e noi ci siamo trovati in affinità, quello che poteva esser un rapporto occasionale è diventata una continuità di relazione, il che ci ha permesso di poter finanziare con la nostra parte di proventi altri progetti di altri artisti e di altre città del mondo.
L’approccio di Lorenzo, Maurizio e mio, come forse hai potuto intuire dai nostri discorsi, è molto diverso. Ma è stato soprattutto aver tenuto insieme queste differenze che ha reso forte la curiosità verso di noi.
La nostra doppia attività è diventata il Motore di quello che noi siamo oggi.
Personalmente devo molto ad Antony Gormley, che già artista affermato con opere in musei di tutto il mondo, credette subito nel progetto, regalando sette sculture alla città di Poggibonsi a cui se n’è aggiunta un’altra, che mi ha donato dopo la sua bellissima mostra agli Uffizi i e che recentemente abbiamo donato insieme alla città di Poggibonsi. Le sculture erano ricavate da sei calchi di cittadini di Poggibonsi e uno di una persona che aveva visto un annuncio per mettersi nudo per l’arte sulla pagina della Repubblica nazionale. Furono poi disseminate in punti diversi dell’abitato. Opere che già allora valevano 180.000 sterline l’una (oggi quasi il triplo).
Antony fu l’unico di tutti i partecipanti che cercò un’interazione con la gente, mandando dei questionari e chiedendoci di parlare veramente con i cittadini e partecipando a delle assemblee pubbliche. Aveva capito che eravamo in difficoltà, sia con i fondi che con e con il personale, e che io personalmente facevo compilare i questionari ai cittadini. Ci fece arrivare due assistenti dall’Inghilterra ad aiutarci per fare le interviste. Alla fine, nonostante fosse luglio e la città fosse avviata a svuotarsi, riuscimmo a realizzare milleduecento interviste in un mese.
Per i progetti dell’Associazione, in particolare per Arte all’Arte, vi siete molto orientati verso artisti internazionali. Venticinque anni fa era una scelta inusuale, ancora eravamo agli albori della globalizzazione dell’arte. Perché questa scelta?
Mario Cristiani: L’idea era quella di chiamare artisti che almeno a livello di visibilità potessero confrontarsi con questi luoghi magici dei borghi toscani. Se il confronto deve essere con il Ghirlandaio, ad esempio, bisognava invitare chi avesse una speranza di sostenerne il confronto. Inoltre la questione era ed è, che oggi i nostri artisti del passato grazie al turismo culturale sono artisti internazionalmente conosciuti.
È stato questo un modo di praticare le teorie Glocal che avevo avuto modo di conoscere frequentando gli incontri che facevo con il gruppo dei verdi della Regione Toscana, dove al tempo lavoravo, con Edward Goldsmith.
Fra i tanti progetti dell’Associazione, ultimamente avete lanciato una raccolta fondi per la riforestazione dei boschi bruciati intorno a Colle Val d’Elsa.
Mario Cristiani: il concetto di base di queste raccolte fondi, è che siamo organismi, e che abbiamo bisogno di nutrire sia il corpo che la mente. Se l’arte è ossigeno per la mente, abbiamo bisogno di ossigeno per il corpo, altrimenti sopravviviamo solo pochi minuti. La raccolta fondi per la riforestazione dei boschi di Colle Val D’Elsa fa seguito al progetto Arte x vino = acqua, che si collegava alla campagna ONU del 2003, anno mondiale dell’acqua, dove il concetto era lo stesso.
Il vostro progetto è nato in un piccolo centro, e tu hai molto insistito sui binomi città/campagna, opposto a quello oggi più in uso di centro/periferia.
Mario Cristiani: La città e importante perché stratifica la storia e le conoscenze, unisce le generazioni. Nelle piccole realtà però ci sono risorse intellettuali che nelle grandi città scomparirebbero. Per questo ho sempre insistito sull’importanza di ribaltare la questione fra centro e periferia, che sono termini della stessa qualità di modo di vivere nello spazio, e proporla invece per città e campagna, in cui la modalità di vivere è qualitativamente differente e non paragonabile negli stessi termini in cui si possono misurare le cose con lo stesso paradigma.
Per fare un esempio, il discorso intorno a centro e periferia ha due dimensioni, spaziale e temporale. Per cui, se si ragiona in termini temporali, non confrontarsi oggi con la questione di cosa significa il ‘centro’, ciò che viene realizzato oggi è essere la periferia di un altro tempo.
Se invece si ragiona in termini spaziali, alcuni centri, faccio l’esempio di Poggibonsi dove sono cresciuto, sembrano le periferie di città più grandi. Il processo di modernizzazione ha creato una linea di continuità in alcuni luoghi. Luoghi che sono diventati un effetto quasi senza un’origine. È evidente che questo crea alienazione, sofferenza individuale e problemi sociali.
La nostra cultura si sta orientando sempre di più verso un’integrazione delle discipline. Questo è lo spirito della serie di webinar per ripensare la città del futuro alla luce dei cambiamenti socio-ecologici in atto, che l’Associazione Continua ha promosso insieme al Comune di Prato, e all’Ordine degli Architetti della Provincia di Prato. Me ne puoi parlare?
Mario Cristiani: Tornando alla città del futuro, la scala di progresso dell’occidente è arrivata al limite, l’idea si è compiuta e c’è bisogno di altre idee. Anche l’animale più stupido protegge il futuro dei propri figli, noi con tutta la nostra cultura dovremmo trovare delle soluzioni!
È bellissimo vedere come la riforestazione urbana, ad esempio, è stata proposta per riportare la natura in città. Ma ogni progetto naturalmente va affrontato con equilibrio, per perché si rischia di aprire dei problemi per chiuderne altri.
Avete anche parlato di fabbriche d’aria all’interno di luoghi industriali, mi spieghi di cosa si tratta?
Mario Cristiani Stiamo lavorando ad un progetto all’interno di una fabbrica a Prato. Non è un luogo dismesso, è una fabbrica attiva dove operai e dirigenti passano la maggior parte del loro tempo, La Fabbrica dell’Aria® è un progetto di Stefano Mancuso, professore di arboricoltura generale e etologia vegetale dell’Università di Firenze.
In pratica, l’aria viene prelevata dall’ambiente e depurata attraverso un contenitore dove c’è una grande concentrazione di piante. L’aria viene a contatto con la loro parte fogliare, prima di essere espulsa nell’ambiente, purificata, e mantiene la temperatura ideale perché viene prelevata all’interno dell’edificio. Inoltre Tobias Reberger creerà un’opera all’ingresso della fabbrica che si apre sulla strada, e verrà creato anche un bar.
Che cosa rende un’opera d’arte pubblica inclusiva e convincente, come s’interpella un pubblico che non è abituato all’arte contemporanea?
Mario Cristiani: Deve reggere la prova del tempo, avere un senso così profondo da non poter essere rifiutata. Anche per questo abbiamo deciso di portare in questi luoghi artisti che hanno la statura per poter reggere il confronto con la storia. Gormley, nonostante i suoi lavori installati a Poggibonsi fossero figure ‘pixelate’, quindi di lettura non immediata per tutti, è riuscito a trovare un punto di equilibrio, a comunicare.
Poi c’è il fattore continuità nel tempo, Arte all’Arte era un progetto a scadenza annuale, nelle stesse città con amministrazioni pubbliche che per il solo fatto di esserci davano credibilità al progetto. E ci permettevano di diminuire l’impatto durissimo che alle volte la cittadinanza ci avrebbe dimostrato.
Durante un webinar, hai toccato un punto nevralgico di un problema politico ‘strutturale’, cioè che la politica non affronta il tempo lungo mentre l’arte è nata, ‘per dare forma al tempo.’ Com’è possibile una conciliazione fra le due?
Mario Cristiani: La politica dovrebbe essere in grado di affrontare il tempo lungo se fosse adeguata, e al di sopra di individualismi, egoismi e super narcisismi. Il mondo dell’arte invece è un sistema che ha trovato al suo interno un modo di superare questi individualismi e di riconoscere e accettare sempre, alla fine, i migliori, quelli in grado di affrontare il tempo. Ha trovato un metro che avevo sperato trovasse la politica, ma non è stato così.
Concludo tornando a citarti: hai detto che da ragazzo volevi fare la rivoluzione culturale. In una certa misura di averle realizzato la tua?
Mario Cristiani: Ovviamente era una battuta, mi riferivo ad altre rivoluzioni culturali… No, ancora la mia rivoluzione non l’ho fatta, forse quando farò le case popolari per gli artisti…
Nel mio piccolo però, credo che anche i progetti di Arte all’Arte siano piccoli atti di rivoluzione. L’arte è quel valore bilanciato fra materiale e immateriale, che può permettere di ridistribuire risorse, vedi ad esempio Arte x Vino = Acqua, in modo che tutti abbiano un vantaggio, consensualmente. Una rivoluzione ‘dolce’, la violenza proprio non mi appartiene, è il primo nemico dell’essere umano.
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