L’ 11 marzo 2021 l’opera di Mike Winkelmann, al secolo Beeple, realizzava in asta da Christie’s $ 69.346.250 bruciando due record: il prezzo più alto mai registrato per un’opera digitale e il maggiore in un’asta online. Dal giorno dell’assalto del capitale a una nicchia ancora sconosciuta a molti, i Non Fungible Token o NFT, scalavano la cronaca con conseguente tsunami di commenti e previsioni di addetti ai lavori e non.
Del corrente dibattito sugli NFT abbiamo parlato con Chiara Braidotti, curatrice e redattrice artistica che collabora con la Fondazione MAXXI e Quodlibet come assistente editoriale. Nel 2018, Chiara si è avvicinata alla scena della Crypto art sviluppando poi seminari e workshop per esplorarne il significato, l’evoluzione e la traiettoria di mercato come docente ospite presso l’Università degli Studi di Udine. Il suo interesse per la blockchain l’ha portata a unirsi al team del MoCDA, Museum of Contemporary Digital Art per promuovere una comprensione più profonda del genere criptato sin dai suoi primi giorni.
Vorrei iniziare domandandoti di fare un po’ di chiarezza spiegando a grandi linee cos’è la tecnologia blockchain, che cosa è un NFT e come è associato alla blockchain.
Chiara Braidotti: la blockchain può essere definita come un registro digitale decentralizzato in cui vengono raccolte le informazioni relative alle transazioni che vi avvengono. Bitcoin, attiva dal 2009, è stata la prima blockchain e tutti conosciamo il peso della sua criptovaluta attualmente. Per la crypto art, la tecnologia di supporto più usata è Ethereum, su cui si appoggiano gallerie come SuperRare, KnownOrigin o AsyncArt. Vi sono naturalmente alternative green, in crescita anche alla luce delle critiche sull’impronta ecologica di questa blockchain, che resta comunque la principale per la versatilità dei suoi smart contract, i “contratti intelligenti” che permette di programmare.
Un NFT, ovvero un Non Fungible Token, è un codice crittografico univocamente associato all’opera digitale che identifica. Nel caso di SuperRare, quando l’artista vi carica un’opera, lo smart contract della galleria genera questo codice non fungibile sulla blockchain Ethereum e lo trasferisce nel portafogli digitale del suo creatore, il suo wallet; nel mentre, il file dell’opera vera e propria, ad esempio un’immagine o un’animazione, viene caricato sulla rete peer-to-peer IPFS (Inter Planetary File System), anch’essa decentralizzata, che riesce meglio a supportarne le informazioni. L’immagine dell’opera può essere scaricata o visualizzata su diversi supporti – chiunque la può osservare, ma solo uno ne è il vero proprietario: chi ne possiede l’NFT.
Al momento dell’acquisto è nuovamente lo smart contract a regolamentare lo scambio tra NFT e cryptovaluta (o valuta nazionale, su alcune piattaforme): solitamente in una manciata di secondi, la somma pattuita passa nel wallet dell’artista mentre l’NFT viene trasferito in quello del collezionista, che ne è il nuovo proprietario e potrà venderlo a sua volta. Lo smart contract viene programmato con lo scopo di regolare, eseguire e documentare automaticamente azioni anche future, offrendo ad esempio all’artista la garanzia di ottenere royalties sulle vendite delle sue opere anche nel mercato secondario se queste avvengono nella stessa galleria.
L’esplosione del fenomeno crypto dopo l’asta record di Beeple sembra avere diviso in due il mondo dell’arte. Molti pensano che si stiano riproducendo vecchi sistemi e valori (pochissimi guadagnano moltissimo). Vista da questa prospettiva la percezione generale del nuovo fenomeno è quella di una speculazione finanziaria. C’è invece chi pensa che una volta stabilizzata la bolla, si creerà un sistema nuovo, realmente decentrato: che siamo quindi davanti a una vera rivoluzione. Qual è la tua opinione in merito?
Chiara Braidotti: purtroppo i dati dicono che dalla famosa asta di Beeple, artista digitale di grande seguito approdato però solo di recente nel mondo della crypto art, l’arte legata a questa tecnologia si è avvicinata ancor di più a certe dinamiche poco felici del mercato tradizionale. Attualmente, almeno su SuperRare, circa il 18% degli artisti maggiori controlla l’80% del mercato in quanto a vendite mentre addirittura il 6% dei collezionisti è responsabile per l’80% degli acquisti.
Stiamo assistendo a una virata del mondo dell’arte “tradizionale” e della finanza verso il metaverso. Molti oggi vogliono abbracciare questo salto in avanti tecnologico verso un futuro digitale, reso più vicino al quotidiano a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. Rispetto alla crypto art, al di là delle polarizzazioni del mercato attuale, ho assistito agli inizi del fenomeno, quando gli artisti erano felici che un’opera si vendesse per qualche dollaro! Allora si percepiva davvero il carattere rivoluzionario di ciò che stava accadendo.
Il valore, al principio, era nel rapporto reciproco, e questa realtà esiste ancora, ma al momento non fa notizia. Difficile dire che direzione potrà prendere un eventuale assestamento. In parte, spero che spegnendosi la febbre per la novità si ristabilisca un ambiente più democratico.
Puoi parlarmi brevemente delle origini della crypto art italiana, della comunità? Quali sono i canali attraverso cui si muove?
Chiara Braidotti: la parte più interessante della comunità italiana è il senso di condivisione. La crypto art è nata come esperimento di artisti e creativi provenienti dagli ambiti più disparati, dal mondo dell’arte tradizionale come da quello del graphic design, dell’illustrazione, dell’arte generativa o della ricerca scientifica. Attivi fin dai primordi e aperti a un discorso internazionale, molti di loro partendo da un angolo dell’Italia come il Friuli, hanno saputo cogliere e sfruttare da subito la novità della crypto art, contribuendo a sostenere le piattaforme visionarie che hanno reso accessibile la tecnologia per supportarne lo scambio.
In generale, l’ecosistema crypto si muove in parte attraverso Telegram, ma probabilmente sono Twitter e Discord i maggiori canali di scambio d’informazioni. In ogni caso, dialogo e proliferazione di idee sono aspetti cruciali di questo fenomeno.
Esiste un collezionismo italiano interessato agli NFT?
Chiara Braidotti: oltre che sul piano artistico, l’Italia è stata presente nel mondo crypto fino dagli inizi anche rispetto a collezionismo, ricerca e divulgazione: uno dei primi collezionisti, che non nomino per riserbo, è d’origine italiana, mentre figure come Massimo Franceschet hanno certamente contribuito alla community offrendo il loro punto di vista tra arte e scienza.
Per quanto riguarda il collezionismo, nei primi tempi alcuni collezionisti, in gergo chiamati whales, balene, non sempre avevano una formazione artistica, i loro portfolio spaziavano dal gaming ad altri tipi di collezionabili. È difficile capirne il profilo, ce ne sono certamente di legati alle cryptovalute che vedono gli NFT come un altro asset.
In ogni caso, più che nell’ambito tradizionale, piuttosto mediato, moltissimi artisti si mettono in campo anche come collezionisti, perché la tendenza al supporto reciproco e alla comunicazione diretta è molto sentita. Almeno da parte dei cosiddetti OG, gli Original Gangsters, i primi membri attivi che si sono davvero spesi per la community, interessati a supportare i propri colleghi e spesso a rendere davvero accessibile la loro arte, come nel caso di Mattia Cuttini in ambito italiano.
Fra i vantaggi del sistema blockchain applicato agli NFT sono stati citati: la decentralizzazione che permette una maggiore libertà dal monopolio delle grandi gallerie (sempre che il mondo crypto resti decentralizzato), la possibilità per gli artisti di ottenere royalties, la possibilità di creare edizioni digitali limitate, e la creazione di piattaforme condivise per artisti. Vuoi aggiungere qualcosa?
Chiara Braidotti: senza dubbio questi sono tra i maggiori vantaggi. Rispetto alla decentralizzazione il discorso resta delicato, occorrerà vedere in che direzione si svilupperanno mercato e regolamentazioni, ma anche l’accesso stesso alla tecnologia.
Aggiungerei che gli NFT permettono di tracciare inequivocabilmente provenienza e proprietà di un’opera o altro asset digitale, aspetti importanti nella determinazione del suo valore. Contrariamente a questo, l’autenticità resta un problema aperto e non sono mancati casi in cui il lavoro di altri fosse rimaneggiato e messo in vendita da terzi. Da un lato alcune gallerie curate si sono attivate per contrastare questi eventi, che però non mancano, esattamente come nel mercato dell’arte tradizionale, specie alla luce della crescita attuale. Dall’altra si è aperto un filone dedicato a remix e una sorta di nuova Trash Art.
Tornando ai vantaggi, un punto cruciale sono certamente le royalties che gli artisti continuano ad ottenere sulle vendite delle loro opere nel mercato secondario. Trovo che questo aspetto sia tra i più rivoluzionari rispetto al panorama tradizionale, anche perché tale richiesta è venuta proprio dal basso, dalla comunità. Alcuni artisti con Matt Kane in testa e alcuni collezionisti che li hanno supportati – in parte paradossalmente contro i propri interessi –, si sono mobilitati ottenendo l’ascolto delle gallerie, portando le maggiori a stabilire nei loro smart contract lo standard del 10% di royalties agli artisti per ogni vendita delle proprie opere successiva alla prima.
La possibilità di creare edizioni digitali limitate è il punto cardine della crypto art, che può dare a un’immagine digitale la dignità di una vera opera d’arte, resa unica, eterna e collezionabile tramite la tecnologia blockchain.
Potrei continuare a lungo l’elenco, ma termino con un appunto su un altro possibile vantaggio: l’anonimato, la possibilità di usare pseudonimi, altra caratteristica della comunità crypto. Se da una parte può creare sospetto, dall’altra rappresenta una grande risorsa quando si pensa che, almeno all’inizio del fenomeno, permetteva al collezionista di concentrarsi sull’opera e non sul nome, con un sistema più favorevole a quelle categorie svantaggiate dal mondo dell’arte tradizionale, che distribuisce le risorse in modo non sempre democratico.
Uno degli argomenti avanzati dai detrattori è che la crypto art “non è arte”. In effetti, l’estetica della crypto, almeno nella maggioranza dei casi e Beeple ne è un esempio, al momento sembra essere legata a mondi lontani dal mainstream digitale d’arte come lo conosciamo, più vicina invece al design e al mondo del gaming. Puoi commentare? Pensi che i due mondi potrebbero nel tempo contaminarsi o resteranno separati?
Chiara Braidotti: il dibattito su cosa sia o non sia arte sarà sempre presente – e attuale! Se consideriamo il potere dell’arte contemporanea di riflettere e farci riflettere su ciò che accade, la crypto art, al di là della sua estetica, è senz’altro un’espressione aderente al nostro quotidiano. Rispetto al successo, in una certa misura dobbiamo accettare che ciò a cui viene attribuito valore risponde a dinamiche di mercato che sono presenti nostro malgrado in ogni aspetto della vita. Sono anche il risultato della crisi attuale: il movimento crypto ha iniziato a guadagnare sempre maggiore slancio dallo scorso anno con la pandemia, quando tutto si è spostato sul digitale, soprattutto a livello di socialità, un livello molto importante per la comunità crypto.
I primi NFT che hanno contribuito a stabilire lo standard a livello di smart contract strizzano l’occhio alla gamification, al concetto di tratti rari o comuni, e sono CryptoPunks e CryptoKitties. Molte opere crypto mantengono un forte legame col mondo tecnologico che ne ha permesso la proliferazione e prediligono spesso soggetti e temi autoreferenziali legati alla comunità o a visioni fantascientifiche del futuro. A livello di estetica, almeno su SuperRare sembrano prevalere il gusto per il 3d e l’animazione, ma non mancano lavori digitali elaborati a partire da opere fisiche.
All’inizio le gallerie erano essenzialmente luoghi virtuali che permettevano lo scambio delle opere crypto. Dalla metà dello scorso anno, le maggiori piattaforme hanno però avviato un lavoro simile a quello che ci si aspetta da una galleria d’arte tradizionale. Oltre alla promozione, hanno contribuito a creare informazione e organizzare mostre – per lo più decentralizzate, nei diversi mondi virtuali del metaverso – spesso in collaborazione con altre istituzioni come il MoCDA, Museum of Contemporary Digital Art.
Un altro segnale viene da alcuni nomi importanti dell’arte digitale, diciamo, “riconosciuta” che oggi vediamo avvicinarsi agli NFT, appoggiando il loro carattere più diretto di comunicazione fra artista e collezionista. Ad esempio, Kevin Abosh, la cui ricerca artistica era legata alla blockchain prima che nascessero le piattaforme crypto, ha creato su OpenSea una serie di lavori, ma troviamo anche NFT di artiste come Claudia Hart, Lorna Mills o ancora Yoshi Sodeoka. Vedremo nei prossimi mesi chi si porrà a favore e chi contro, e chi riuscirà a sfruttare meglio le peculiarità di questo medium, come può essere ad esempio l’arte programmabile.
Infatti, questo è altro aspetto molto interessante della crypto art, la possibilità di acquistare arte programmabile, che muta nel tempo.
Chiara Braidotti: un esempio interessante di arte programmabile sono le opere presenti sulla piattaforma Async Art, nata nel febbraio del 2020, che ultimamente ha lanciato anche tracce musicali. Qui le opere sono presentate sia in forma di “Master”, ossia l’opera completa, che di “Layer”, livelli su cui possono lavorare anche diversi artisti e che nel complesso costituiscono l’immagine del Master. La primissima creazione lanciata su Async raccoglie i contributi di 22 Original Gangsters e si ispira al Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Ogni Layer creata dagli artisti può mutare nel tempo, subendo, fra le altre, trasformazioni cromatiche, di scala e posizione. Altre opere sono legate ad avvenimenti esterni alla piattaforma stessa. Ad esempio, l’opera Right Place & Right Time (Bitcoin Hourly Price Offset) dell’artista e programmatore americano Matt Kane è composta da 24 Layer sincronizzati con la volatilità del prezzo di Bitcoin nelle 24 ore precedenti. Per la complessità e il carattere visionario, questa pietra miliare del mondo crypto ha dato l’avvio ad un progetto decennale, Bitcoin Volatility Art, che la vedrà generare a sua volta 210 NFT nel corso dei prossimi anni su una diversa piattaforma, blank.art.
Guardando queste opere possiamo ripensare in qualche misura all’arte programmata degli anni ’60, a figure come Olivetti e al legame tra creatività e tecnologia. In generale, tra i predecessori della crypto art possiamo trovare anche l’arte concettuale: le opere di Sol Lewitt ad esempio davano istruzioni su come realizzarle, quasi fossero dei proto-algoritmi.
C’è una crescente preoccupazione per le emissioni di gas serra associate alla nuova tecnologia crittografica. La seconda cryptovaluta più popolare al mondo, Ethereum, sta tentando di passare da un sistema che consuma quantità enormi di energia (proof of work) a un sistema più eco-friendly (proof of stake). In un dibattito acceso alcuni artisti e organizzazioni hanno lanciato iniziative NFT sensibili all’ambiente e continuano anche le discussioni sui modi per compensare l’impatto negativo del collezionabile digitale sull’ambiente. Come ti posizioni in questo dibattito?
Chiara Braidotti: questo è certamente un argomento delicato e urgente. Da un lato sappiamo bene che ogni azione, anche legata al mondo dell’arte canonico, ha un impatto ecologico: spostamenti di persone, voli, allestimenti. Per quanto riguarda la blockchain, al momento la difficoltà e la natura dispendiosa del mining, dell’estrazione di cryptovaluta, rappresentano una delle garanzie di sicurezza del sistema e del valore stesso della valuta. La speranza è che progresso e ricerca permettano di risolvere questo problema e vi sono giovani e promettenti artisti come Luca Donno che si stanno impegnando anche nello studio del problema. Non ho la risposta a quando questo succederà, in ogni caso si spera di vedere presto la versione 2.0 di Ethereum.
Ci sono molte piattaforme dove acquistare crypto art, ed è difficile orientarsi fra le diverse tecnologie. Non sono mancati i ‘furti’ dai wallet, a NFT che dovrebbero essere collegati stabilmente a URL che invece reindirizzano gli utenti a siti che non ospitano più l’opera d’arte rappresentata dall’NFT. Pensi che il sistema sia ancora relativamente instabile in questo senso? Si arriverà a una maggiore omologazione e sicurezza?
Chiara Braidotti: sicuramente manca ancora un passaggio per l’inter-operabilità dei dati, e per permettere di tracciare il mercato in modo completo e capirne meglio il funzionamento. Mettere a sistema tutti i dati provenienti delle diverse blockchain e piattaforme per arrivare a questa soluzione non è semplice.
Per rispondere alla seconda parte della domanda, anche in questo caso bisogna parlare di un dopo Beeple… C’è stata la corsa all’oro, si sono moltiplicati i volumi di scambio, gli inviti di piattaforme, gli account, anche falsi. Alla nascita del movimento era più facile tracciare il mercato, le speculazioni e le eventuali concertazioni sospette, ora è più complicato. È lecito pensare che in un prossimo futuro non manchino gli strumenti per rendere questa realtà più democratica e sicura senza però comprometterne la varietà.
La maggior parte degli artisti che beneficiano del boom improvviso sono uomini, riflettendo dinamiche di vecchia data e una mancanza di diversità di genere nel campo dell’arte orientata alla tecnologia. Ma proprio nel campo della crypto sono sorte alcune piattaforme di artiste che hanno fatto rete per reagire a questa situazione. Puoi parlarmene?
Chiara Braidotti: a mio avviso anche grazie all’anonimato alcune artiste o persone non binarie hanno avuto la possibilità di gestire la propria identità in modo più libero, dichiarandosi oppure no alla community. Un gruppo di artiste, fra cui cito Sparrow Read, Gisel Florez e Angie Taylor, hanno supportato la creazione del collettivo Women Of Crypto Art (WOCA) un ambiente inclusivo che accoglie chiunque s’identifichi come facente parte della sfera femminile. Molti progetti hanno valore artistico e altri sociale. Recentemente WOCA ha lanciato il progetto The Arcana Crypto Tarot, che presenta un mazzo con le 22 carte dei Tarocchi interpretate da 22 artiste del collettivo, tra cui alcune italiane. L’opera, presente su Async, “estrae” ogni giorno per l’osservatore una nuova combinazione di tre carte, accompagnandolo nella lettura del suo quotidiano.
Un’altra comunità che vorrei nominare per il suo carattere inclusivo è DADA.nyc, una delle prime piattaforme collaborative in cui persone da tutto il mondo parlano attraverso disegni. Qui non si pongono problemi di autenticità delle opere NFT, dal momento che il dialogo avviene disegnando con gli strumenti offerti dalla piattaforma, e una parte importante del progetto è volta allo sviluppo di una nuova idea di economia, cosiddetta “invisibile”.
Vorrei concludere con una tua breve previsione sul futuro della crypto art.
Chiara Braidotti: ovviamente credo che la crypto sia qui per restare, ma è un momento difficile per avere una prospettiva chiara e fare pronostici, il futuro si sta scrivendo in questo momento.
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