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Un po’ Rita Vitali Rosati. Intervista all’artista

Emiliano Zucchini intervista l’artista Rita Vitali Rosati. Nove domande per approfondire la sua arte e il suo pensiero.

Conosco personalmente Rita Vitali Rosati dal 2011, in quel periodo mi ero appena trasferito nelle Marche (per poi tornare a Roma tre anni più tardi) e spesso capitava di incontrarci a Casa Sponge Artecontemporanea, al MUSINF, al Palazzo del Duca di Senigallia o in altri luoghi marchigiani artisticamente attivi. Nel 2017, per la rivista Segno, Rita ha curato un ciclo di interviste dal titolo “Lo stato di salute dell’artista” rivolto ad alcuni artisti italiani, tra gli invitati a rispondere chiamò anche me. Oggi voglio iniziare questa intervista con una di quelle domande.

La tua vita nella scena artistica, e non solo, è in presa diretta?

Rita Vitali Rosati: Diversamente da quando avevo compilato questa domanda che tu per gioco mi rimandi (era il 2017), il contesto odierno vede invece un panorama in filigrana, estremamente rarefatto, in cui ogni possibile scenario, artistico o meta-artistico è stato soppresso. Da una epidemia mortifera manipolata dai media e catapultata sul palcoscenico della vita per generare psico-drammi-collettivi e reazioni di massa. Essere in presa diretta non è più una condizione parallela agli accadimenti della vita quotidiana, funzionante e senza alcuna bacchetta magica si è trasformata in indiretta e inutile. È stata così ostacolata, amputata ogni opzione per la presenza notarile di soggetti politici affiancati da squadroni armati della loro infallibile verità venduta dalle case farmaceutiche, criminali e folli. Ne è conseguito un silente azzeramento di progettualità nell’arte e di investimenti nel quotidiano risucchiati da un enigma travestito come in un romanzo di E. Allan Poe, indecifrabile, perché oscuro.

Il mio atteggiamento è vigile, attento, come altrettanto distratto, per nulla incline all’ipnosi somministrata da questa dittatura del terrore. Da questa corsa suicida verso il nulla.

Rita Vitali Rosati, un po’ Rita un po’ Selvaggia, 2019

Tornando al titolo del tuo ciclo di interviste appena citato, qual è, secondo te, lo stato attuale di salute dell’artista nel tempo attuale?

Rita Vitali Rosati: La vita è già un luogo altro dell’immaginario, addobbato come in un film con tende eleganti, esagerate e una teoria di luci ridondanti, sparate sulla scena, calde e avvolgenti perché il sogno possa prendere posto invadendo lo spazio. Questa è la dimensione nella quale mi intravedo, come artista, perché la mia entità sia veicolo, più che strumento, e partecipazione, anche collettiva, dei fenomeni legati all’ispirazione, dove la realtà, perdendo il suo peso specifico e il suo principio di accettazione, abdichi in favore della rêverie. Se questa sia la condizione attuale dell’artista e della sua componente salutare non lo so individuare così con la facilità con cui mi è stata posta la domanda. Questa ultima rientra in quella griglia interpretativa indicata da Perretta e nominata “Fantasociologia” dove il denominatore comune è l’arte e l’incognita è tutto il sistema complesso composto da critici , artisti e per ultimo da un mercato autoritario, egemone. Una bella comparsata di soggetti, un po’ birichini, tutti, in un gioco scambievole delle parti, tutti provvisti di radar autonomi, sfidare con l’immaginazione le migliori profezie.

Ma agli impiegati-artisti (così definisco quel pulviscolo di soggetti con valigetta 24 ore e agenda in mano) poco rimane della duchampiana trasgressione che fa vincere la corsa del tempo: poco di quell’anarchico afflato intravedo nelle sorti delle giovani promesse votate alla gloria effimera per vagabondaggio d’intenti e rifiuto endemico della fatica e le sue succursali (!). …(ho fatto di tutto per non risponderti: spero di esserci riuscita).

Rita Vitali Rosati, la mia divina Commedia, 2017

Essendo stata in passato grafica pubblicitaria hai avuto modo di capire le dinamiche spesso ingannevoli del marketing, è stata questa una delle scintille della tua espressione artistica?

Rita Vitali Rosati: Giuro, giuringiuretta che Carosello è stato lo spot degli spot che ha accompagnato la mia infanzia e che ho rincorso con curiosità, affascinata dalla tiritera degli “headline” meglio che dalle cantilene delle favole con principesse, re, ranocchi e streghe cattive. Storie surreali che sono entrate nelle case degli italiani come il Caballero di Paulista e la sua bella Carmencita che Armando Testa, visualizzatore globale -lo definisce G. Dorfles- nell’immediatezza comunicativa fa dire al cavaliere misterioso: “bambina, sei già mia, spegni il gas e vieni via”… Poi sono cresciuta e munita di buon ottimismo e altrettanta umiltà ho risposto a un richiamo subliminale entrando a far parte del mondo dell’advertising. Senza perdere di vista il mio interesse primario, l’arte, ma imparando ad affinare quella filosofia creativa che legata a uno stile rende riconoscibile il soggetto artista. Usando la comunicazione. Non per vendere un prodotto, meno che meno commerciale, ma per imprimere una forza migliore, quella della comunicazione, dove le immagini, le foto sono il veicolo dell’idea, del pensiero nella sua progettualità. Per spiegarmi meglio e rendere comprensibile il mio pensiero faccio riferimento all’ottimo libro di Adriano Altamura “La vera storia della fotografia concettuale” che, nella premessa, indica come punto nodale la progressiva smaterializzazione dell’opera d’arte. Processo dovuto ad un aspetto anestetico assunto partendo da un’ impostazione esclusivamente mentale eludendo, pertanto, esperienze percettive, sensoriali, emozionali. Questo stato di cose ha cambiato il modo di leggere e interpretare l’arte. Ho spostato così l’attenzione del fruitore da un contesto legato alla tradizione a quello alternativo, nel mio caso quello dell’informazione. Dando vita, paradossalmente a finte campagne pubblicitarie (nel senso ironico e autoriflessivo di un’arte pubblicitaria realizzata- usando le figure della retorica- da un’artista che pubblicizza il suo lavoro attraverso un lavoro che diventa ambiguamente pubblicitario, quindi promozionale, artistico e caratterizzante). In un interscambio tra le qualità estetiche dell’arte e quelle della pubblicità. Perché tutta l’operazione possa assumere una valenza propositiva forte è fondamentale evitare ogni mercificazione dell’opera editoriale: quella che appare, con un format, sulle riviste, che fa parte di un segmento principale del mio lavoro nel circuito dell’arte.

Desidero precisare che la mia non è un’avventura da videogame. E’ stata ed è tutt’ora una dura lotta contro il trend delle classifiche, quelle che determinano l’audience migliore, suffragate da comportamenti gonfiati, falsi e retorici, senz’altro da combattere come la vacuità dei tanti e le bruttezze di molti. Il mondo è un grande magazzino abitato da personaggi che si sentono iperpotenti, tali da influenzare i più deboli che rimangono pertanto alla mercè di ogni controllo, subendolo. Come un decoder che filtra gli ammiccamenti di chi proclama “anchiocelhofatta”!!! Retaggio delle leggi del marcketing.

Rita Vitali Rosati, Passionflower, 2008

Tra le opere che hai realizzato, ce n’è una in particolare che ritieni la tua bandiera?

Rita Vitali Rosati: Quelle che risultano come opere-ossessioni, mi sento di rispondere. Ma l’interrogativo è quasi ipnotizzante e ho un fermo immagine nella mente. Rimbalzano e si sorpassano come in una corsa senza ostacoli, perché i veri ostacoli sono le troppe domande che ci poniamo, forse ho troppe ossessioni nella testa, l’aria è consumata, a conti fatti sembra che l’ultima opera superi la precedente ma poi ti accorgi che è un finto traguardo, è tutto finto, il giro di giostra è già iniziato, l’importante è che non sia la giostra sbagliata, che non inciampi nel gran salto per acciuffare il gran premio, perché è di questo che si tratta, vero? L’arte è una domanda, non è un viatico per moribondi, io ho una predisposizione compulsiva a interrogarmi. Perché è difficile dare risposte, essere complici di tutto un alfabeto umano.

Rita Vitali Rosati, Charlie’s Angels, 2011

L’evoluzione tecnologica nel corso degli anni ha agevolato la tua produzione artistica?

Rita Vitali Rosati: Partendo dal concetto espresso da Leonardo, che l’arte è una cosa mentale, era insito il pensiero fondamentale che l’opera in se per se non aveva, non ha bisogno di nessun soccorso, di nessuna stampella per essere realizzata: già le sole mani sono insufficienti rispetto alla complessità dell’ opera da realizzare. Il mio percorso artistico viene da un passato costruito giorno dopo giorno da un’esasperazione delle procedure manuali, dall’abc delle discipline artistiche, dalla loro conoscenza, dal loro attraversamento. Il primo mezzo che ha creato un trait d’union tra l’arte e la tecnologia è stata la fotografia, per arrivare poi al mezzo cinematografico. Il potenziale con cui accedere ad altri panorami esplorati dal web è astronomico: considero che la stravaganza a cui porta l’eccesso di un mezzo diventa tout de suite anche un limite, o perlomeno esclude quei passaggi in cui l’intervento umano risulta pari a un optional. Nutro un rifiuto endemico nei confronti della tecnologia: lascio questo compito al mio maGnifico (come pronuncia George Clooney) collaboratore, il quale si sgola suo malgrado per indottrinarmi. Quello che ritengo fondamentale è l’ottimizzazione delle capacità creative, delle risorse rivitalizzate nel nostro personalissimo circuito fatto di conoscenza. La sola televisione prima e il complesso mondo di internet odierno favoriscono il proliferare di immagini già strutturate, confezionate, saltando il passaggio che è quello legato all’assimilazione dei concetti e dei contenuti, atrofizzando quella che è una precisa capacità di apprendimento e quindi di sintesi.

Rita Vitali Rosati, Mirror, 2010

Un’opera irrealizzabile che vorresti creare ma che per impedimenti “logistici” non sei mai riuscita a realizzare?

Rita Vitali Rosati: Un’opera irrealizzabile, subito dopo essere affiorata alla mente, stazionare nelle zone del subconscio per presto farvi ritorno, deve rimanere tale per rendere giustizia a quella forza, per niente gravitazionale, che è l’intelligenza. Diverso è pensare a un Capolavoro difficile da realizzare, anche se è possibile il fatto che, declinare l’offerta, ci consegna a un De Profundis istantaneo. Rimangono solo i desideri, inevasi, le opere quando sono solo omissioni lasciano spazio al sogno. Scrivevo un giorno (di tanto tempo fa) a un amico che non fa più il critico d’arte: “Non ho nessun asso nascosto a d’uopo, nessuna virata improvvisa in extremis. C’è silenzio in casa. Leggo l’editoriale – quelli che si dimettono non se ne vanno mai – Ava come lava – You are the champion, e poi? Anche gli amici un po’ strabici mi suggeriscono di guardare al futuro ancora con fiducia. Io continuo a spiare dal buco della serratura”. Ma per catturare un sogno, non certo un premio.

Rita Vitali Rosati, Di nome Romano, 2017

In un’intervista radiofonica nel 2013 hai dichiarato, analizzando l’opera “I’m allergic too” di essere allergica all’idiozia umana e al pressapochismo (allergia condivisibile). Cos’è invece che ti allieta e non ti rende allergica?

Rita Vitali Rosati: A volte, le vicende che ci piombano addosso appaiono come ombre perpetue che alterano i contorni della nostra stessa fede, di quel mondo che vorremmo salutare come nuovo, popolato di soggetti che vivacizzano questo “alberghetto” che è la vita. Non sempre gli incontri tra individui diversi sigillano quella bontà d’animo attraverso la quale beneficiare delle migliori premesse e promesse. Sto parlando di concetti che, elaborati dalla nostra mente – amicizia, empatia, intelligenza – rimandano a determinate entità costruite dalla nostra coscienza, dalla nostra capacità visiva e dal nostro linguaggio. Con gli anni che ho appiccicati addosso ho sempre più chiaro chi sono gli italiani e chi sono i cretini: a ogni cretino abbino una fisionomia. Ho un fiuto particolare, senza scomodare il Lombroso, basta uno sguardo, addirittura distratto a un politico di turno, uno a caso, il ministro di un qualche cosa… per acchiappare al volo il fastidio virale che emana per capire senza troppe esitazioni da chi e da che cosa prendere le distanze. Va da sé che tutto quello che mi rende partecipe delle gioie del creato o a fatica mi allieta è l’esatto esattissimo contrario di quanto ho espresso finora. Il bestiario umano non lascia scampo, e mi reputo ottimista.

Rita Vitali Rosati, Sancta Sanctorum, 2015

I recenti Lockdown e le drammatiche vicende di questo “assurdo” periodo storico quale impatto hanno avuto sul tuo lavoro?

Rita Vitali Rosati: Quando leggo Lockdown ho da subito un vivace borbottio intestinale. Considero l’uso di termini stranieri, estranei al nostro lessico abituale, inutile e fuorviante, tendenza da limitare per un senso di riverenza ai padri della nostra lingua come del resto della nostra cultura (anche se il fastidio prodotto deve fare i conti con le diverse importazioni agevolate nei secoli). Detto questo, per rispondere alla tua domanda con le giuste argomentazioni devo introdurre un pensiero diversificato che tratteggi i nodi salienti di questo temuto e drammaticamente catastrofico periodo di guerra non solo geopolitica ma tra le democrazie, quelle legate al mercato e alla supremazia del mercato stesso, con le sue leggi planetarie. Sono in atto dei capovolgimenti radicali ed estremi ben espressi in un saggio editoriale dell’economista francese Jaques Attali, dal titolo profetico “Breve storia del futuro” dato alle stampe nel 2006. Nella vasta teoria dei diversi accadimenti, tutti collegati da precise leggi che la Storia non solo prevede ma indirizza, sono inclusi cinquant’anni di mutamenti climatici, irreversibili, e le progressive aspettative del nostro rapporto con la natura non resistono all’accelerazione dell’ambiente, risultando sempre più imprevedibile. Antropocene è un termine coniato negli anni ’80 a cui è legato questo attuale segmento geologico del quale l’uomo è fabbricante malsano di tutte le potenziali catastrofi in atto. Non ultima, appunto, questa ancorata al Coronavirus e a tutte le sue diaboliche conseguenze. Nel carosello, a tratti felliniano, dei sopraggiunti DPCM non è stato dato spazio, nel nostro ex Belpaese, a un lungimirante, indulgente “si salvi chi può”, perché nel bombardamento assordante di news e contro-news, l’equidistanza le une dalle altre non ha trovato scampo nelle menti super piatte degli italiani, azzerate da un agonico terrore. La sintesi, per arrivare a una conclusione, sorvolando Orwell e altri scrittori, saggisti e attivisti della penna, ci invita a delineare uno scenario alternativo, forse strabico, tenendo presente che se la vera maledizione mondiale è la stupidità umana, la verità incontrovertibile è la presenza del virus dalla notte dei tempi, da quando fece la sua apparizione sulla terra con l’arrivo di comete con intenzioni non proprio celestiali, vagando nello spazio come un vampiro dopo il Big Bang. Io mi trovo in una posizione di attesa, inanimata perché obbligata all’immobilità ma distante dal tutto percepito come una messa in scena male orchestrata e come risposta alla sfida epocale nel senso che credo di non credere a tutto l’attivismo totalitario politico-sanitario e ai suoi padroni; continuo a inseguire la mia Musa che si diverte a giocare a nascondino, guardando non troppo meravigliata dalla finestra della mia casa, consapevole che l’artista è colui che resiste e si impegna ad andare sempre e solo controcorrente, spinto da un credo forte, solido, in un cielo avaro ma non di stelle, i piedi ben saldi sulla terra “vagamente rotonda”. (Ci vuole il caos nella testa per produrre una stella danzante.)
Eugenio Montejo, “La lenta luce del tropico”, edizioni Le lettere
Jaques Attali, “Breve storia del futuro”, Fazi editore
Adriano Favole “Occhio all’Antropocene. L’uomo minaccia la vita” Corriere della Sera, la Lettura, 21/05/2017.
Valdo Vaccaro “No vaccini no vaccini e no vaccini”

Rita Vitali Rosati, Lascia che il lutto dorma nel suo letto, 2011

Cosa stai combinando attualmente e cosa combinerai “domani”?

Rita Vitali Rosati: Questo termine “combinando/combinerai” lo interpreto come un invito a produrre disgressioni e ameni sollazzi per i quali ho un’ innata attitudine. Scrivevo infatti un giorno a commento della mia auto-definizione-proclamazione “Meglio del tonno insuperabile” che… “tra le miserie politiche e lo spending review, un peccatuccio trans-veniale autocelebrativo è l’antidoto per diventare portatore sano di una terapeutica risata. Per distrarci indirizziamo il cuore e i migliori sentimenti verso il gioco e le sue inusuali applicazioni, con la vocazione irrefrenabile che, da quell’infanzia non ancora abbandonata, non abbiamo adottato alcuna distanza”. Con questa dichiarazione che descrive come arrendevoli anche gli spocchiosi di ogni casta e grado mi consegno, come “genio di nicchia” alla multi platea d’arrembaggio, come il Titanic contro l’iceberg. Così “combinata”, nemmeno con un “gratta e vinci” è possibile trovare, considerato l’espandersi dell’universo, il bandolo della matassa, quella più aggrovigliata dei miei pensieri. Rimane salda in me la convinzione che, al di là di certe e improbabili e momentanee progettualità, quella che mi fa sentire parte attiva del cosmo è il desiderio di armonia corale con il tutto per lasciare un segno se pure minimo di autenticità, di fede verso l’arte, nei confronti dell’umanità.
Quasi una vendetta.
“Un po’ di luce, come un barlume/ ci riconduce allo splendore” (Ezra Pound).

Rita Vitali Rosati
Marzo 2021

FONTI e APPROFONDIMENTI:
- sito ufficiale Rita Vitali Rosati

Emiliano Zucchini

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  • Una Grande Artista, Affascinante, Surreale, Geniale….Una Donna, un Mito! Poche parole che condensano l’espressione di una personalità poliedrica, ironica, pungente, attenta ad ogni sfumatura che delinea il cambiamento della realtà in cui tentiamo di vivere.