Una riflessione profonda sul proprio essere: così Riccardo Guarneri descrive un cammino artistico intonato a una pittura raffinata e meditativa, a lenta percezione. Carta e acquarelli hanno un ruolo importante nell’opera dell’artista fiorentino: una monografica intitolata Le Carte alla Galleria L’Incontro di Chiari, raccoglie fino al 22 novembre 2020 una ventina di dipinti realizzati su carte d’Arches, opere vibranti d’effetti atmosferici, cromatici e luminosi.
Attivo sulla scena artistica dalla fine degli anni cinquanta, dopo un debutto nell’informale Guarneri orienta la sua ricerca, nei primi anni sessanta, verso una poetica dove la luce ha un posto centrale. Improntate ad un abbassamento percettivo, le opere di questo periodo sono chiare, la superficie spesso trattata a matita. Dalla metà degli anni sessanta la composizione è scandita da elementi geometrici: ma è una geometria ambigua, che stuzzica la percezione, mettendo in dubbio la struttura razionale delle forme.
Nel ’66 partecipa alla sua prima Biennale di Venezia, e la sua pittura acquista evanescenze luminose, con effetti di rarefazione. Segue un’intensa attività espositiva in Italia e all’estero negli anni settanta, quando il suo lavoro viene spesso accostato alla corrente della Pittura Analitica. Negli anni ottanta prevale una vena lirica e romantica : sfumature e macchie d’acquerello si sovrappongono a segni e grafie in giochi di trasparenze.
Dagli anni novanta, le geometrie s’ alternano a momenti di libertà cromatica e compositiva, palesando una grande ricchezza iconografica pur nell’assoluta coerenza linguistica. A riconoscimento a questo percorso fortemente identificativo, giunge l’invito di Christine Macel nel 2017 a prendere parte alla 57a Biennale di Venezia Viva Arte Viva, a cinquant’anni dalla prima partecipazione. Abbiamo ripercorso con il Maestro alcune tappe della sua ricerca.
Ha spesso dichiarato che carta e acquarelli le sono particolarmente congeniali. Perché ama lavorare su carta?
Riccardo Guarneri: Nel mio lavoro uso prevalentemente l’acquarello che sulla carta esprime potenzialità molto superiori a quanto sia possibile su tela. Ogni carta infatti ha un suo sapore, una diversa pregnanza.
In passato ha affermato di essere affascinato dalle chine dei maestri Zen. La pittura, come Lei la intende, è una forma di meditazione?
Riccardo Guarneri: La definizione di meditazione non mi si attaglia, ha una connotazione eccessivamente ‘religiosa’. Piuttosto definirei la pittura come una riflessione profonda del proprio essere.
Le opere esposte in mostra, sembrano condensare diverse fasi del suo lavoro…
Riccardo Guarneri: In generale, lavoro su variazioni minime e in questo senso mi definisco ‘bachiano’. Nelle carte mi lascio andare maggiormente, quindi le differenze fra una carta e l’altra sono dovute più al modo di pitturare diverso che al trascorrere del tempo.
Negli anni ottanta, nelle opere su tela, pur mantenendo la mia cifra stilistica, iniziai ad inserire delle macchie leggere, quasi monocrome, continuamente vibranti, applicando sulla tela, con un processo laborioso, una carta di riso giapponese. Alla grafite si sostituiva un acquerello ‘maculato’.
In un testo che accompagna l’esposizione in galleria, Francesco Mutti scrive: “Alle fondamenta della mostra risiede una certezza assoluta e condivisibile benché, al momento, abbia ancora necessità di essere chiarita: Riccardo Guarneri non è un artista analitico”.
Eppure nel tempo diversi critici hanno visto nella sua opera contiguità importanti con la Pittura Analitica. Dalla metà degli anni 2000, con il rinnovato interesse critico sull’Analitica, lei partecipa a numerose collettive insieme a pittori che fanno parte di questa corrente . Quale la sua opinione in proposito?
Riccardo Guarneri: Iniziai a fare una pittura analitica già negli anni sessanta, come era evidente nei quadri che esposi alla Biennale di Venezia nel 1966. Nessuno allora parlava di “Pittura Analitica”, che ancora non esisteva come vero e proprio movimento, che si affermò negli anni settanta. Come anticipatore di una tendenza analitica fui poi inserito in tutte le principali mostre del movimento.
Tornando al testo di Francesco Mutti, gli ho spiegato che non mi sento rigorosamente analitico perché le etichette a me non interessano. Sono analitico ma anche lirico, poetico, pittorico, qualità emotive che l’ortodossia analitica non contempla.
Lei è pittore e musicista. Che rapporto hanno pittura e musica nel suo percorso artistico?
Riccardo Guarneri: Ho cominciato a suonare musica classica e in seguito mi sono dedicato al Jazz. Per guadagnare qualcosa da ragazzo suonavo nelle sale da ballo. Contemporaneamente iniziai a dipingere, ero decisamente più attratto dalla pittura, che trovavo meno tecnica della musica, più creativa.
Musica e pittura sono per me forme d’arte che si combinano benissimo, entrambe possiedono ritmo, musicalità, effetti di trasparenza, sensazioni, immagini e silenzi…
Ascolta musica quando dipinge?
Riccardo Guarneri: Sempre. Ascolto tutti i generi, dal jazz alla musica barocca e quella classica. Non ascolto l’opera, perché un po’ troppo invadente…
Alla fine degli anni 50, Lei viaggia nel nord Europa, esponendo prima a Düsseldorf e in seguito in molti altri paesi.Che cosa l’attirava dell’ambiente artistico rispetto a quello italiano?
E per quanto riguarda il paesaggio, la luce? Ha parlato del paesaggio nordico come fonte d’ispirazione…
Riccardo Guarneri: Suonando in un’orchestra avevo iniziato a girare il nord Europa: Germania, Finlandia, Danimarca, Olanda. Dal momento che già dipingevo, erano gli anni dell’informale, strinsi amicizia con diversi pittori, frequentavo i loro studi.
A Düsseldorf conobbi Otto Peine, Gerard Hoeme, Peter Bruning, Winfred Gaul, Hansjorg Glattfelder ed altri… In Finlandia, dove mi ero recato in primavera, mi avevano molto colpito la luce, il ghiaccio, il colore del mare: probabilmente li ho interiorizzati.
L’ambiente artistico era cosmopolita, sperimentale. Niente di fiorentino, anche se in quell’epoca a Firenze non mancavano pittori che facessero cose interessanti, chi in campo informale, chi concettuale, chi con la fotografia…
La mia linea di lavoro, i miei quadri bianchi fatti solo di grafite non avevano allora un grande riscontro a Firenze. Fortunatamente il mio lavoro era riconosciuto da critici e colleghi di Milano e Roma, che mi dimostravano la loro stima.
Nel 1963 con Giancarlo Bargoni, Attilio Carreri, Arnaldo Esposto e Gianni Stirone, costituì il Gruppo Tempo 3 che allora si poneva come “terzo tempo” della pittura astratta. Quanto durò quell’esperienza?
Riccardo Guarneri: Era il momento dei gruppi, e dietro suggerimento di Eugenio Battisti formammo Tempo 3, che significava il terzo tempo dell’astrattismo: il primo tempo era l’arte concreta e il secondo l’informale. Organizzammo diverse mostre, soprattutto a Genova da dove proveniva la maggior parte degli altri componenti del gruppo.
L’esperienza durò un paio d’anni, poi ciascuno andò per la propria strada, ma vi furono dei ritorni con alcune mostre in gallerie.
Ha più volte citato l’Esistenzialismo come influenza sulla sua pittura, sugli equilibri delle geometrie, sull’insinuare all’interno del quadro un dubbio percettivo per orientarne la lettura in senso metafisico. Potrebbe commentare?
Riccardo Guarneri: Tutti noi giovani in po’ acculturati in quel periodo eravamo immersi nella cultura esistenzialista, nelle opere di Sartre, Gide, Camus e Kierkegaard. Inoltre essendo musicista, personalmente ero anche invaghito dell’ambiente parigino, delle canzoni di Edith Piaf, di Juliette Grecò…
Nessuno di noi aveva le certezze assolute delle generazioni che ci avevano preceduti, nel mio caso dei pittori astratti che credevano nei punti fermi della geometria, c’era un dubbio, sempre: il quadrato era ‘quasi’ un quadrato, il rettangolo ‘quasi’ rettangolo…
Il vuoto è riconosciuto come uno degli elementi chiave nell’arte delle avanguardie del Novecento, e continua ad esserlo oggi. Come definirebbe il concetto di vuoto in pittura?
Riccardo Guarneri: Il vuoto è uno spazio che s’interpone continuamente al pieno, quindi è l’elemento che determina la costruzione, la composizione e il ritmo di un’opera. Così è in letteratura, o nella musica, che non sarebbe possibile senza i momenti di stacco.
Dalla sua pratica emerge una linea molto coerente: ha mai dubitato sulla direzione da prendere? Ad esempio, ha raccontato che fu messo un po’in crisi dall’acquisto di alcune carte pregiate alla fine degli anni settanta: …cosa successe dopo questo momento d’incertezza?
Riccardo Guarneri: È vero, il mio è stato una percorso molto coerente e non ho mai dubitato sulla direzione da prendere, malgrado alcuni dei miei conoscenti e compagni di strada a volte mi esortassero a farlo. Mi bastava la stima dei critici e degli amici pittori che mi seguivano.
Riguardo alla seconda parte della domanda: avevo acquistato delle bellissime carte di cotone fatte a mano, le mettevo sul cavalletto e non riuscivo a decidermi per paura di rovinarle. Ma fu un momento: decisi poi di sciuparle, e passai all’azione.
Nel 2000 realizza un mosaico per la stazione della metropolitana Lucio Sestio a Roma. Come fu questa esperienza?
Riccardo Guarneri: Nel 1996 fui invitato da Piero Dorazio, ideatore e curatore dell’iniziativa, a creare un bozzetto per il progetto Arte Metro Roma che prevedeva la realizzazione di diversi mosaici d’artista, un museo diffuso nella metropolitana romana.
Dorazio aveva indicato alcuni dei nomi di coloro che considerava allora gli esponenti di spicco della pittura italiana e internazionale. Il mio bozzetto fu poi trasformato in mosaico da una ditta di Ravenna: vidi il mosaico per la prima volta il giorno dell’inaugurazione, e rimasi molto ben impressionato: era bello, sembrava si muovesse quando era colpito dalla luce.
Ha detto di “sentirsi addosso il tormento della tela”. Continua ad essere tormentato dalla pittura?
Riccardo Guarneri: Quando si mette una tela bianca sul cavalletto c’è un certo timore iniziale, ma ‘tormento’ è decisamente eccessivo, ho pronunciato quella frase molto tempo fa. In realtà non sono affatto tormentato, anche perché lavorando sulle variazioni non inizio un quadro senza sapere quello che farò.
Ecco, mi può capitare l’imprevisto: non lavorando a olio ma ad acquerello non ho la possibilità di correggere un errore e se qualcosa nel quadro mi da noia, devo magari ripeterlo in un altro punto della tela per equilibrare la composizione.
Quanto è difficile capire quando un quadro è finito e quanto tempo lascia ‘sedimentare’ un’opera prima di considerarla terminata?
Riccardo Guarneri: Molto tempo, i quadri che termino in un anno sono relativamente pochi. La sicurezza che un quadro sia finito è rara, e a volte mi capita addirittura di riprendere in mano dei quadri che da parecchio tempo consideravo finiti.
Lei ha affermato: “Penso che ci sia la necessità di dare valore non alla ridondanza e alla spettacolarità, alla superficiale sciocchezza, ma a quello che ha un valore profondo, sensibile, che tocca l’interiorità” Sono parole che al di là del riferimento al valore della pittura come lei l’ha intesa e praticata, sembrano allargarsi all’ attualità in generale.
Riccardo Guarneri: Ho insegnato per parecchi anni, anche all’Accademia, e nel mio studio vengono molti giovani studenti d’arte. Devo dire in un periodo in cui predomina lo ‘spettacolo’, che può anche essere piacevole ma che lascia il tempo che trova, molti giovani artisti in controcorrente con i tempi apprezzano molto la mia pittura.
Se dovessi fare una critica al presente è la mancanza di ricerca, di una memoria storica, per cui molto spesso si copia, e a volte senza nemmeno sapere di farlo…
Fonti e approfondimenti Sito dell'artista Galleria L'Incontro
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