Turi Simeti. Opere 1960 – 2020 è il titolo dell’antologica in corso alla Dep Art Gallery di Milano, curata da Demetrio Paparoni e visitabile su appuntamento fino al 22 dicembre 2020.
Più che presentare il Maestro (per questo vi lascio un paio di approfondimenti in fondo all’intervista), vorrei soffermarmi sulle sensazioni che possono nascere da una forma, sempre la stessa, e dalle sue infinite declinazioni nello spazio dell’opera.
Mi è capitato spesso di restare a osservare le opere di Turi Simeti, camminando avanti e indietro davanti a ogni singola tela o a un gruppo di tele a volte dello stesso colore, ma ognuna con un’atmosfera decisamente unica.
Ogni opera ti viene incontro come un’aurora che avanza e vira nella sfumatura di sé stessa.
Le tele di Turi Simeti sono corpi aggettanti e creano uno spazio di luci, ombre e colore, che si muove insieme al tempo e vive insieme all’osservatore.
In 60 anni di carriera, dopo aver vissuto un panorama artistico mutevole che ha attraversato un ricco palinsesto di istanze socio-culturali e decisivi cambiamenti epocali, la verità delle opere di Turi Simeti è rimasta immutata, ma non immobile.
Nei giorni scorsi ho telefonato direttamente al Maestro.
Ricorda come si è approcciato alla forma dell’ovale e, soprattutto, perchè non l’ha più abbandonata?
Turi Simeti: Io l’ovale me lo sono trovato davanti un giorno, e il giorno dopo l’ho rifatto io. Il giorno dopo l’ho fatto ancora, finché è diventata una cosa davvero mia, e ho continuato negli anni.
All’inizio del mio percorso, quando ancora facevo il pittore, ho cominciato a disegnare questa forma con interesse sempre maggiore per le sue caratteristiche. L’ho studiata in tutte le sue angolazioni e migliorata fino a quella che per me è la perfezione.
In rilievo nelle tele, ho continuato a immaginarla e costruirla nello spazio.
Lei ha studiato Legge. Crede che questo abbia in qualche modo contribuito a indirizzare la sua sperimentazione, dai primi approcci romani alla fase di maturità artistica e oltre?
Turi Simeti: Direi di no. Più che altro, decisivo per la mia ricerca è stato il vedere il lavoro degli altri, quello che loro stavano facendo in quel momento.
Questo mi ha sollecitato molto a provare a cimentarmi nel campo della creazione artistica in prima persona.
Ho conosciuto e frequentato Burri e tanti altri artisti, mi invitavano nei loro studi per mostrarmi i loro ultimi quadri. Soprattutto questa è stata la spinta che mi ha portato ad andare avanti.
Io sono nato in Sicilia e sono andato a Roma dopo le scuole, ma per lavorare, non per fare il pittore. Invece lì, inaspettatamente, ho incontrato i grandi artisti nelle gallerie più importanti, e mi sono imbevuto di tutto fino a quando ho deciso di muovermi io, e mi sono mosso con successo.
Sono stato invitato a partecipare a una mostra a Milano e lì ho incontrato amici come Castellani, e ho deciso di lasciare Roma per cominciare il lavoro qui a Milano.
Poi ho vissuto un po’ in giro. Sono stato a New York e a Rio de Janeiro, dove ho conosciuto la mia attuale compagna e ho trascorso più tempo.
Dopo che siamo rientrati a Milano, hanno iniziato a cercarmi molte gallerie da tutto il mondo e così ho fatto mostre in Europa, in America, in Asia, dappertutto.
I primi ovali del 1962 erano bianchi o neri, solo successivamente ha esplorato le potenzialità del colore.
Nel processo di creazione che porta dall’idea alla sua realizzazione, oggi nasce prima il colore o la struttura dell’opera?
Turi Simeti: Vero, all’inizio mi interessava solo la forma.
Allora, prima c’è la costruzione, poi la disposizione. Parto dal telaio in legno, faccio tagliare secondo progetto e poi costruisco la struttura. Da lì viene fuori la composizione, l’orientamento, l’altezza eccetera… e alla fine i colori.
Scelgo il colore a seconda del lavoro che ho fatto o che farò, del progetto dell’opera. E se sbaglio colore, a volte lo cambio.
La forma non cambia il colore.
“Evitare lo strappo” è il titolo del testo di Demetrio Paparoni che accompagna questa mostra antologica alla Dep Art Gallery di Milano. Riguarda il modo in cui tende ciascuna tela per ottenere il rilievo.
Durante la creazione, come si pone di fronte al rischio della rottura?
Turi Simeti: Io costruisco in rilievo in avanti e indietro, con dispositivi positivi e negativi. Cerco di realizzare quello che ho pensato e di passare dall’idea all’opera. Dello strappo non mi preoccupo. Ho decenni di esperienza, ormai non sbaglio più. Conosco molto bene i materiali che utilizzo e so fino a che punto posso spingermi. A volte capita di andare lievemente oltre, ma basta annullare il processo e ricominciare da capo, fino a migliorare l’operazione che per me deve essere perfetta.
Il corpo dell’opera quindi è quello che vediamo o quello che sta dietro la tela?
Turi Simeti: È quello che si vede davanti, non c’è dubbio.
Ci sono dei lati, c’è un dietro, ma l’opera va osservata nelle sue sfumature.
Si è confrontato anche con la scultura “tradizionale”.
Come cambia la relazione con lo spazio ambientale e con la materia?
Turi Simeti: Ci sono stati dei tentativi, il monumento a Gibellina e qualcosa con il bronzo, che ho sempre commissionato a livello tecnico e materiale, occupandomi dei progetti e dei dettagli esecutivi.
I rilievi sono presenti in tutte le mie tele.
I rilievi esistono già senza bisogno che ci sia la scultura.
Non mi interessava il confronto con altre materie, come il bronzo, che delegavo a maestranze specializzate.
Mi interessava l’esecuzione tecnica del progetto, il procedimento, il risultato del procedimento.
Nel mio lavoro è implicito: la tela è la scultura.
Faccio delle sculture con la tela.
Le mie superfici hanno dei rilievi positivi e negativi, la tela si muove, si alza, si abbassa, seguendo la base che ho preparato io.
In un’intervista del 1980 dichiara:
“… modificare con un intervento minimo una superficie in modo che perda ogni misura di neutralità, e creare una presenza […] il silenzio dello spazio proposto è un’ipotesi di perfezione proiettata oltre la tela.”
Può condividere una riflessione sui suoi 60 anni di carriera?
Turi Simeti: Il mio lavoro disegna lo spazio.
Queste cose che faccio vivono nello spazio, si attaccano al muro col chiodo e trovano un loro spazio vitale. Se sono riuscito bene nel lavoro, non ci sono problemi.
Lo spazio è quello che ho, quello che ho creato e che ho circondato nei limiti della tela.
Ci sono dei rapporti di vita nell’opera e nel luogo in cui deve vivere.
FONTI e APPROFONDIMENTI - Turi Simeti. Opere 1960 - 2020, a cura di Demetrio Paparoni | Dep Art Gallery, Milano: 8 settembre - 22 dicembre 2020 (link) - Archivio Turi Simeti (link)
Installation view: Turi Simeti. Opere 1960 – 2020, Dep Art Gallery, Milano
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