Classe 1995, Ado Brandimarte è un giovane scultore, fresco dell’Accademia di Macerata, impegnato nel recupero estetico e concettuale di processi di creazione che lo stesso artista definisce “anacronistici”: ovvero la realizzazione di sculture dove ogni step sia affidato all’analogia di un lavorio manuale fatto in bottega. Un lavoro che esula dal flusso temporale iper-veloce a cui siamo costretti a muoverci e che si avvale del fascino del recupero di tecniche antiche con il loro bagaglio iconografico senza tempo. E questo fascino – che ogni statua concepita dall’artista dispiega fuori e dentro – si materializza nell’anima poetica delle forme negative da cui traggono vita.
Nella tua produzione artistica è forte il legame con la manualità dei materiali e delle forme. Nell’opera “Suoni di costruzione” sottolinei, appunto, la dimensione sonora che accompagna la creazione e che ne costituisce il fascino. Perché pensi che sia importante recuperare l’aspetto concreto della creazione?
Ado Brandimarte: Non so esattamente quanto la manualità sia importante per gli artisti, di certo posso dire quanto lo sia per me. Raccontando forme, suoni e profumi del processo artigianale parlo della mia identità, ritrovo molti flashback della mia infanzia vissuta nella bottega di mio nonno, dove assieme alle moderne attrezzature potevo trovare i trapani a manovella del mio trisavolo. In quel luogo tutto era scultura, dalle pareti alle chiavi inglesi ottenute tagliando lastre dei più vari metalli di recupero. Ricordo casse piene di vecchi strumenti, ogni oggetto viveva infinite vite, ad esempio una vecchia lima spezzata e consumata veniva affilata per diventare uno scalpello. Più raramente gli artigiani del paese si riunivano per accendere la forgia e dare sembianze radicalmente diverse a qualunque scarto: il rapporto con la materia era totale. Un giorno davanti ai miei occhi involontariamente nonno spezzò un’incudine con una martellata; mi disse che nel secondo dopoguerra fabbricavano le loro attrezzature fondendo anche i metalli più improbabili, molti recuperati smembrando un grosso aereo tedesco da carico collassato al suolo sulle loro montagne.
Molti lavori come “Artemide (#2)” e “Afrodite” sono realizzati con la tecnica della “formatura”, operazione in cui crei un calco in gesso di opere già esistenti. Ma nel tuo caso si tratta di un processo particolare perché la materia non va a intaccare l’originale. Come realizzi le tue “formature”?
Ado Brandimarte: Nel Neoclassicismo, la diffusione di copie in gesso dei capolavori dell’antichità diventò un fenomeno internazionale e di massa, queste potevano essere ottenute con diversi processi. Spesso per non intaccare l’opera, la scelta ricadeva sulla difficile formatura a tasselli: un calco a decine e decine di pezzi, da scomporre e ricomporre come un puzzle. Alcune copie erano ottenute facendo uno stampo sopra l’originale, altri invece erano calchi fatti sopra altre riproduzioni.
Per ottenere un calco composto solamente da due parti, come nel caso di “Artemide (#2)” ed “Afrodite”, non avrei potuto non intaccare l’originale. Quindi ho scelto di modellare a mano delle repliche in argilla ispirate agli originali classici, in modo da estrarre la terra ancora morbida dal calco, distruggendone così la forma. Già da qualche anno ho iniziato a conservare alcune anatomie semidistrutte e deformate, solo per il loro fascino. L’anno scorso in laboratorio, invece, ne ho capito il valore. Ho gettato e ripreso quattro o cinque volte una di queste figure nel secchio dell’argilla da riciclare, poi tutto è stato chiaro… L’azione dell’estrarre la terra fresca dal calco ha un’origine antichissima, mai stata raccontata e vicina ad esser persa, insieme all’avanzare della tecnologia 3D. Mi sono affezionato così tanto a quel frammento anatomico che ne ho fatto una replica in bronzo, in modo da rendere immortale la memoria di questa parte del procedimento scultoreo. Delle altre forme figlie di quell’azione ho eseguito dei calchi in gesso mai esposti, su cui sto ancora ragionando. Credo che manchi qualcosa: sto valutando la possibilità di dargli concettualmente valore con la foglia similoro, ma anche la possibilità di applicare questo strato metallico solo sui piedistalli mi mette in dubbio. Il basamento è il mezzo utilizzato per portare le opere alla portata del nostro sguardo; credo che dargli valore significherebbe focalizzare l’attenzione sull’azione dell’esporre questi frammenti.
Perché copiare forme del passato al giorno d’oggi è un’operazione ancora valida? Non credi che la copia dell’immaginario classico possa essere un valore ormai perduto, legato al concetto di “far bottega”?
Ado Brandimarte: Credo che non abbia senso riproporre i valori estetici antichi. Nel mio caso la copia che modello o scolpisco è uno strumento transitorio per produrre altro, mostrare quelle tecniche nate e morte nelle botteghe degli artisti del passato. Ho provato a fare calchi di ritratti figurativi o studi anatomici dal vero, ma l’effetto appare povero di un’aura che invece gli è conferita dalle posture e dalle espressioni dei capolavori dell’antichità, non solo ellenica. Al di là di questo, anche lo stampo si differenzia leggermente da quelli realizzati dagli scultori del passato. Le mie formature infatti sono trattate con attenzione maggiore di quella necessaria al suo scopo di produrre positivi; anche la parte esterna dei miei negativi, infatti, subisce una revisione estetica che sarebbe inutile ed effimera per un negativo da utilizzare in laboratorio. Reputo quest’ultima fase estetizzante e decorativa un’operazione concettuale, necessaria per consentire la trasformazione da elemento produttore a prodotto stesso.
Nell’opera “Two sides of you” metti a confronto la forma piena con il suo relativo vuoto, in un gioco di esterno e interno, contenuto e contenitore. Diverse sculture sono create mostrando il loro negativo, ovvero il vuoto contenuto in una statua; “Formatura ornamentale” ne è l’esempio più calzante, quasi fosse più importante mostrare l’essenza celata…
Ado Brandimarte: In certi casi nelle mie sculture c’è un legame con la spiritualità. Mostrare il vuoto generato da una figura significa farne percepire la presenza nella sua assenza.
Ricordo il mio stupore nell’eseguire una delle prime formature: una volta pulito il negativo rimasi colpito dall’effetto ottico del calco, che appariva perfettamente in positivo. Pensai “questa sensazione non merita di morire in laboratorio”. Racconto questo flashback perché l’opera “Two Sides of you” è composta da due forme vuote, mi riempie di positività sapere che l’inganno ha colpito!
In un tua riflessione pubblicata su Arshake affermi che il particolare periodo del lockdown abbia dato la possibilità agli artisti di seguire un andamento più naturale – se vogliamo “biologico” – contrastando la velocità dettata dal digitale nel quale l’antroposfera va sgretolandosi come una cometa. Qual è secondo te il tempo dell’arte? Credi che sia una dimensione differente dal tempo della vita?
Ado Brandimarte: Credo che non ci sia una risposta valida per tutti i tipi di arte, sicuramente in epoca pre-covid, il tempo della vita aveva un ritmo accelerato rispetto a quello dell’antichità. Chi come me svolge delle pratiche “anacronistiche” utilizzando le tecniche tradizionali, potrebbe certamente trovarsi in una dimensione temporale differente da quella dettata dalla vita.
Al di là di questo, voglio precisare di non essere un tecnofobo: il digitale e la ricerca tecnologica sono delle grandi opportunità per il genere umano. Vi spoilero di aver già in cantiere dei calchi realizzati tramite stampante 3D.
Hai collaborato alla realizzazione di vari monumenti in giro per l’Italia. Ha ancora senso per te realizzarli in un momento storico in cui si decide di abbatterli poiché non rispecchiano più i valori attuali?
Ado Brandimarte: I monumenti possono essere divisi in molte categorie, e credo che si possa tranquillamente dire che molte di esse non dovrebbero esistere. Senza giudicare i valori che nel recente o remoto passato hanno spinto a creare delle opere monumentali, credo di parlare con il consenso di tutti i lettori dicendo che queste dovrebbero necessariamente essere progettate da artisti, e ciò solitamente non avviene. In Italia, inoltre, non esiste una commissione per valutare tali progetti: se questa si venisse a creare con artisti e curatori scelti in base al loro curriculum, forse potremmo avere la speranza di avere una nuova fioritura dell’arte monumentale.
Ideologicamente parlando sono convinto che esistano valori immortali e in quel caso sono a favore della loro monumentalizzazione. Mi viene in mente l’inaugurazione del mio “Monumento alle vittime del terremoto di Accumoli”, in cui rimasi positivamente ferito dal significato simbolico che quella presenza materica suscitava nelle persone, tra il ricordo ed il legame; per qualcuno forse anche un mezzo di contatto.
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