Fondazione Modena Arti Visive (FMAV) dedica a Davide Quayola, visionario media artist fra i più riconosciuti nel panorama contemporaneo, la prima personale in un’istituzione italiana. Il titolo Quayola Ultima Perfezione, s’ispira a ‘Le Vite’ di Giorgio Vasari, testo fondante dell’idea canonica di perfezione nella storia dell’Arte occidentale.
Dialogando con i Maestri del passato l’artista, romano di nascita e residente a Londra, riflette su come la tecnologia cambia il nostro sguardo sul mondo, e sulla connessione sempre più simbiotica fra uomo e macchina.
Al FMAV Quayola rivisita iconografie classiche con “l’occhio disinteressato della tecnologia”. Attraverso l’uso di software personalizzati e complessi algoritmi, analizza e scompone gli aspetti iconografici e narrativi delle opere di grandi maestri e pur conservando l’imprinting dell’originale, restituisce nuove visioni ed estetiche in sintonia con le sensibilità del presente.
A cura di Daniele De Luigi e prodotta in collaborazione con la galleria Marignana Arte di Venezia, la mostra raccoglie una video installazione, una sequenza di sculture ed opere su carta.
Il titolo della mostra s’ispira all’idea di “ultima perfezione” intesa come raggiungimento dell’eccellenza, che ricorre nelle “Le Vite” di Giorgio Vasari, per descrivere l’opera di grandi artisti. Come si relaziona il tuo lavoro con questo concetto? Hai spesso parlato di “errore della macchina’ come valore significativo per il tuo lavoro, e questo sembra contraddire il concetto di perfezione…
Quayola: Il titolo della mostra è in un certo senso ‘ironico’. Il mio lavoro infatti non è affatto legato alla ricerca della perfezione assoluta, ma alla ricerca un nuovo tipo di linguaggio e di canone estetico, una sorta di ‘nuova perfezione’ legata all’impossibilità della macchina di creare e calibrare la perfezione in senso canonico, come noi la conosciamo.
Tutte le mie opere possono essere considerate come documentazioni di un processo. Tipicamente infatti il mio lavoro non si focalizza su un singolo oggetto finito, ma si articola in serie di oggetti che raccontano uno stato transitorio, formulando delle ipotesi sulle infinite possibilità che riguardano un determinato tempo. Anche questo mio modus operandi contraddice l’idea canonica d’oggetto perfetto, che non esiste neppure in una scala temporale.
Come ad esempio le sculture esposte qui a Modena?
Quayola: Si, queste sculture raccontano in modo evidente un aspetto temporale, e la combinazione di forze opposte, un aspetto che trovo affascinante e che esploro nelle diverse sfaccettature del mio lavoro. La macchina tenta di raggiungere la perfezione della forma classica senza mai riuscirvi, ma nel tentativo rivela delle geometrie, dei linguaggi formali completamente nuovi.
Cerco una sorta di ‘purezza’ fra lo strumento, cioè la tecnologia che viene esplorata, e l’estetica finale: il mio non è mai a un lavoro di design in senso tradizionale, teso all’ abbellimento di un’immagine, ma la coerente rappresentazione di processi. È la risultante, da me calibrata, di centinaia di migliaia di immagini. La sorgente creativa di questi lavori sono i non finiti Michelangioleschi, i Prigioni, a mio parere apoteosi dell’oggetto che racconta la storia della propria creazione e la scoperta attraverso un tragitto, metafora perfetta per raccontare il mio modo di lavorare.
In un lavoro che sembra essere il fulcro concettuale della mostra, rileggi l’iconografia dell’ Adorazione dei Magi, di Sandro Botticelli, traducendola in codici, uno “stream of data information”. Accanto, collochi la descrizione del quadro fatta da Vasari.
Quayola: Si, questo lavoro riassume il concept della mostra. Due intelligenze osservano un artefatto e ne parlano in modo completamente diverso. Da una parte vediamo un’affermazione poetica ma in un certo senso imprecisa, nel senso che manca dell’informazione necessaria al fine di riprodurre l’opera stessa. Dall’altra una lunga serie di codici e coordinate generati da una ‘computer vision’, che effettivamente descrivono la matrice dei colori, la densità e tutta una serie di caratteristiche di questo dipinto, senza tuttavia fornire alcun dettaglio su cosa esso rappresenti: attraverso questi codici, il dipinto può essere riprodotto quasi fedelmente. Penso sia affascinante il fatto che noi ci troviamo nel mezzo fra questi due poli opposti.
Mi sembra un commento forte su come la tecnologia sta cambiando il nostro modo di osservare il mondo.
Quayola: Come era stato ipotizzato dall’inizio dell’era tecnologica, i computer sono diventati progressivamente strumenti di massa, e in questo percorso anche noi siamo cambiati.
Al di là della tematica esplorata in questa mostra, dove attraverso l’utilizzo di altre logiche, altri “occhi” io osservo alcune pratiche artistiche tradizionali, tutto il mio lavoro riflette sul fatto che parallelamente all’evoluzione dei mezzi tecnologici anche noi stiamo cambiando, cambia il modo di pensare e di osservare, l’immaginario e il modo di razionalizzare il mondo.
Penso ad esempio a Google Maps, a come ci muoviamo nello spazio con una prospettiva analitica che aumenta i nostri sensi: lo diamo ormai per scontato, ma questa è una visione che non ha precedenti.
La macchina quindi diventa una protesi dei nostri sensi…
Quayola: Questo è lo spunto interessante. Le macchine sono brave a risolvere alcuni problemi e noi altri, due mondi che parlano lingue diverse e s’integrano l’un l’altro. Dalla collaborazione nasce l’opportunità di nuove scoperte e nuove estetiche.
Al di là di questo, è interessante poter riflettere sullo strano ‘distopico sublime’ che ne scaturisce.
A questo proposito, hai menzionato in un recente talk il tuo interesse per le diverse estetiche che scaturiscono dalle sempre più numerose macchine che con diversi obbiettivi guardano il mondo per altre macchine. In sostanza si generano immagini che nulla hanno a che fare con l’occhio umano. E’ un campo di ricerca che t’interessa?
Quayola: si, assolutamente. Esiste un ambito, la così detta “Nuova Estetica”, che si occupa di immagini prodotte da macchine non per l’uomo ma per altre macchine, di linguaggi ed estetiche completamente nuovi. M’interessa ciò che queste immagini possono suggerire all’artista di oggi.
Alcune tecnologie che utilizzo per osservare certi soggetti sono state sviluppate per estrarre dati e informazioni da dinamiche che non hanno nulla a che vedere con l’arte: per la sorveglianza, oppure per la guida autonoma o le deformazioni strutturali in ingegneria.
Con l’aiuto di queste tecnologie mi sono calato nei panni del pittore impressionista, domandandomi che cosa succede se esse vengono utilizzate per la rappresentazione del paesaggio.
A proposito di paesaggio, l’interpretazione della natura attraverso apparati high-tech (le tue scansioni a laser, ad esempio) che ne evidenziano le complessità, fa forse parte di un recente cambiamento del paradigma culturale che riconosce nel mondo naturale forme d’intelligenza complessa altre dalla nostra?
Quayola: come accennavo prima, qualsiasi dispositivo che aumenta la nostra percezione ci fornisce una risposta diversa sul mondo circostante. Il mio obbiettivo non è quello di creare delle dinamiche per riavvicinare uomo e natura, anche se riconosco che oggi questa è una necessità.
Piuttosto, la relazione del mio lavoro con la natura ha una connotazione storica, s’inserisce nella tradizione della rappresentazione del paesaggio, che diventa, come d’altronde l’iconografia classica, un soggetto di confronto e un pretesto per esplorare nuove estetiche.
Questo tipo d’operazione, da una parte familiare dall’altra completamente nuova, può farci riflettere su dove stiamo andando, sulla nostra relazione con la tecnologia.
L’ artista Trevor Paglen ha proposto la definizione “seeing machines” più inclusiva rispetto a ‘video’ e ‘fotografia’, per descrivere le immagini ormai pervasive dei tanti “seeing devices” ai quali accennavamo poco fa, insieme ai meta-data digitali. Vorrei un tuo parere sulla definizione proposta da Paglen.
Quayola: Nel mio lavoro utilizzo una terminologia ancora più generica ma a mio avviso più calzante, che è quella di “cattura-dati”. Per un computer, fra una matrice di pixel e un foglio Excel non c’è alcuna differenza sono entrambi matrici di dati; quando catturo immagini, faccio un video o una scansione 3D immagazzino dei dati, li osservo e li manipolo attraverso sistemi appositamente sviluppati, poi segue una selezione dei risultati piu’ interessanti. Nel mio caso quindi è limitante parlare di ‘fotografia’ che costituisce un punto di partenza, non di arrivo.
Le definizioni che hai menzionato, così come l’idea di ‘Nuova Estetica’, non corrispondono a un movimento con un’identità critica, ma semplicemente definiscono il carattere estetico di una nuova generazione di immagini al di là dell’ambito artistico, un contesto in cui viviamo più che un framework creativo.
Pensi che allo stato attuale l’apparato critico per l’analisi di questi nuovi scenari sia adeguato o ancora tutto da costruire?
L’ apparato critico si sta costruendo e si vede una maggiore maturità da parte di istituzioni, pubblico e artisti, che cominciano a padroneggiare nuove dinamiche e nuove estetiche.
Hai sviluppato un nuovo software durante la quarantena, in relazione a suono e immagine. Potresti darmi qualche anticipazione?
Quayola: In realtà è una collezione di software, ai quali ho lavorato durante la quarantena, come parte di una ricerca iniziata un paio d’anni fa. In particolare ho lavorato a dei sistemi per controllare suono e immagine in contemporanea, che è poi scaturita in una sonata per pianoforte.
Il suono è una componente importante nel tuo lavoro…
Quayola: sì, lo è sempre stato, da parecchi anni lavoro sulla relazione fra suono ed immagine. Ma in questo lavoro il suono diventa l’opera stessa. Generalmente suono e immagine, nel cinema ad esempio, sono generati attraverso sistemi separati, e l’uno è prioritario rispetto all’altro.
Per generare suono ed immagine nello stesso momento, negli anni ho sviluppato un sistema di controllo con tre software separati: un motore grafico che controlla i dipinti, che rientrano nella mia ricerca sulla tradizione pittorica, calibrati con migliaia di parametri, degli arpeggiatori costruiti per controllare le tastiere e un sistema di gestione di questi dati, che calibrano e modulano i numeri e distribuiscono questi parametri ai vari sistemi.
Terrò un concerto il 4 ottobre al Teatro Argentina a Roma nell’ambito di Romaeuropa Festival, ed è in lavorazione un film per documentare questa linea di lavoro.
Quanto è difficile trovare fondi e strutture adeguate per realizzare progetti se si lavora con apparati heavy-tech?
Quayola: nel mio caso, apparati “heavy” anche in senso letterale! Ovviamente è molto difficile. Come è difficile fare l’artista. Anche fare il medico non è facile, ma forse se s’intraprende medicina si è più preparati all’idea di ingoiare rospi per almeno un decennio…
È comprensibile e giusto che non possano esserci fondi per finanziare tutti i progetti complessi e costosi che vengono proposti. In Italia, forse, è ancora più difficile. Detto questo, bisogna scalciare e combattere in un mondo iperconnesso. Nel mio caso, relazionarmi con il sistema dell’arte a livello globale è stato molto importante, se mi fossi limitato all’Italia o a Londra, molto di ciò che ho fatto non sarebbe stato possibile.
Fonti e Approfondimenti: - sito ufficiale di Davide Quayola(link) Quayola Ultima Perfezione - a cura di Daniele De Luigi - sede: FMAV - Palazzo Santa Margherita, Sale Superiori. Corso Canalgrande 103, Modena. - date: 18 settembre 2020 - 10 gennaio 2021 - orari: Mercoledì, giovedì e venerdì: 11-13 / 16-19; sabato, domenica e festivi: 11-19 25 dicembre 2020 e 1 gennaio 2021: 16-19
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