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MIART 2020 digital edition: focus EMERGENT

In occasione di questa digital edition di Miart 2020 mi sono focalizzata sulle proposte delle gallerie italiane partecipanti alla sezione EMERGENT, curata da Attilia Fattori Franchini.

Più che una vera selezione, si tratta proprio di un’intervista al buio perché l’ho realizzata senza avere nessuna informazione su che cosa avrebbero presentato le gallerie: me ne assumo tutte le responsabilità.

Come sapete, i galleristi hanno mantenuto una sorta di silenzio stampa più o meno rigoroso fino al debutto della fiera online, per mantenere l’esclusività della vip preview.
Anch’io, come voi, ho scoperto le proposte leggendo le risposte a questa piccola indagine.

Le gallerie d’arte che si occupano di promuovere esclusivamente la ricerca delle generazioni più recenti non sono tantissime, ma neppure così poche.
Però bisogna conoscerle per seguirle.
E bisogna sapere anche che in questo contesto il concetto di “recente” è abbastanza elastico e si riferisce ai nati dagli anni ’70 a tutti i ’90, con un’attività di ricerca che ha avuto quindi inizio nell’arco temporale degli ultimi 20 anni.

Da questo punto di vista, lo spaccato italiano presenta una buona quantità di ricerche anche di qualità, ma da chi sono sostenuti questi promettenti artisti?
Le nostre piazze riescono a offrire riscontri adeguati?
In quale misura avviene la fuga dei cervelli in questo settore, lato artista e lato gallerista?
Oggi non risponderemo a queste domande, anche se sarebbe interessante provare a delineare meglio questa nicchia di sempre maggiore interesse.

Alle gallerie italiane partecipanti alla sezione EMERGENT ho posto la stessa domanda:

Potete raccontarci il progetto che avete presentato per Miart 2020 Digital Edition a sostegno dell’arte contemporanea emergente?

In ordine alfabetico, rispondono le gallerie che hanno risposto al mio appello.


@ A plus A, Venezia

In una fabbrica di palloncini abbandonata, gli ex-impiegati hanno perso le loro identità.
Seduti in cerchio nel vuoto dello stabilimento, come se fossero in una assemblea sindacale permanente, prendono uno alla volta la parola in senso orario.

Come in un circolo vizioso le loro parole ricordano il teatro assurdo e crudele di Samuel Beckett:
A: Il mio corpo è vuoto. Tutto entra ed esce. Il mio sé è quasi privo di valori.
B: Anche io. Sono come un palloncino.
C: Credo che per noi sia molto importante andare a votare.
D: Okay, per cosa votiamo?
E: Votiamo per qualcosa su cui possiamo essere tutti d’accordo.
F: Ok.
A: Va bene.
B: Votiamo per la pace nel mondo.
C: No, quella non mi interessa.
D: Ok votiamo che tutti i bambini degli ex-impiegati della fabbrica possano in un futuro reintegrarsi in una forma di mercato del lavoro non troppo competitivo per espellerli, ma abbastanza stimolante per accompagnarli nella loro crescita.

In questo video non solo i dialoghi ma anche le riprese sono circolari e il lavoro è collocato al centro dello stand.

L’opera di Liv Schulman è un ragionamento sul linguaggio parlato e la sua forza trasformativa.
L’artista vive e lavora a Parigi, ma è originaria di Buenos Aires, vincitrice del 20 Premio della Fondazione Ricard (2018), le cui opere sono state esposte al Pompidou (2019), Reina Sofia (2018) e alla Schirn Kunsthalle (2019).

Liv Schulman: Assemblée générale, 2016 – Video HD, 37 mn

Mentre il visitatore ascolta i dialoghi del video della Schulman viene circondato dagli splendidi disegni di Bob van der Wal.
L’artista ha appena inaugurato una personale negli spazi Etablissement d’en Face a Bruxelles: Belief System of a Cannibal Soul 2. Il giovane artista della Nuova Zelanda, si forma alla Städelschule di Francoforte, dove viene premiato durante il famoso Rundgang annuale del 2017.
I suoi lavori sono auratici e l’artista li intitola study sheets. I grandi disegni su una carta particolare di colore blu chiaro, realizzati tra il 2019 e il 2020, sono costituiti da testi scritti, appunti, diagrammi e immagini che avvolgono l’osservatore.
Il soggetto dei lavori sono la teologia e l’alchimia, le sessualità, le statistiche economiche, il cambio climatico, la pornografia, le chimiche ormonali, le strutture narrative di film e libri e i sistemi di monitoraggio degli algoritmi di Google e Facebook.

Bob van der Wal: study sheets, graphite and ink on paper, (2016 – on going), 118 x 74 cm, Courtesy the artist and A plus A
Bob van der Wal: study sheets, graphite and ink on paper, (2016 – on going), 118 x 74 cm, Courtesy the artist and A plus A
Bob van der Wal: study sheets, graphite and ink on paper, (2016 – on going), 118 x 74 cm, Courtesy the artist and A plus A

@ Galleria Gilda Lavia, Roma

Il progetto della galleria per l’edizione 2020 di Miart sarebbe dovuto essere diverso rispetto a quello attualmente presentato. Una volta appreso che la Fiera si sarebbe svolta esclusivamente in digitale, abbiamo deciso di effettuare questo cambiamento presentando i lavori dell’artista slovacca Petra Feriancová.
L’intento è stato quello di sfruttare al meglio la possibilità di far vedere “fisicamente” le opere, visto che sono parte della mostra personale “Fabvlae”, in corso fino al 4 Ottobre, presso il Museo di Villa d’Este e Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli.

L’esposizione, curata da Andrea Bruciati, si fonda sul tema del percorso, sul paesaggio, sull’idea di itinerario che ognuno fisicamente svolge e sulle possibili associazioni createsi durante questo percorso.

La serie di lapidi in marmo di Travertino, presentate per la Fiera, riportano, incise, alcune frasi che scaturiscono da riflessioni personali dell’artista sul tema della maternità, tematica che viene analizzata nelle sue diverse tipologie all’interno dell’intera mostra.

Dal confronto dell’artista con gli spazi che ospitano le opere, e con la loro storia, nascono i lavori scultorei da noi selezionati per la Fiera; le due sfere (Giove e Saturno), parte di una più ampia installazione, esprimono la volontà dell’artista di sottolineare come l’ambizione dell’uomo si sviluppi costantemente con l’intento di dominare la natura.

Petra Feriancová: Giove, se la terra fosse 6 cm, 2016 – scultura in ferro e pelle, diametro, cm 71,6, 20kg | Courtesy Gilda Lavia | Photo credit Annamaria La Mastra
Petra Feriancová: Balena di S. Lorenzo, 2020 – scultura in creta cotta, cm 80×50 | Courtesy Gilda Lavia | Photo credit Annamaria La Mastra
Petra Feriancová: To become a mother…, 2020 – marmo Travertino inciso, cm 90x76x2, kg 30 | Courtesy Gilda Lavia | Photo credit Annamaria La Mastra

@ Martina Simeti, Milano

La proposta che ho pensato per miart 2020 consiste in un’installazione di opere che declinano l’idea della fragilità e della necessità di protezione da parte degli artisti Sylvie Auvray, Ducati Monroe e Mimosa Echard.

Una tenda di Mimosa Echard, carica di farmaci ed elementi biologici, frontiera porosa tra sano e compromesso.
Una toppa di Ducati Monroe che interviene nello spazio riparando oggetti spezzati dall’uomo.
Un gruppo di maschere/sculture luminose di Sylvie Auvray che filtrano il deforme.

Completano il progetto una serie di oggetti degli stessi artisti in rapporto diretto con il corpo umano, di cui vanno a esplorare le varie stratificazioni: un accessorio da sovrapporre agli indumenti di Ducati Monroe, un monile da indossare a contatto con la pelle e infine, dei calchi di ‘godemichet’ di Mimosa Echard che evocano l’interno del corpo.

È un gruppo di artisti che con modalità diverse ama confrontarsi con il tema della funzione degli oggetti e lo status dell’opera d’arte.

Sylvie Auvray nata a Parigi nel 1974 è un’artista fortemente poliedrica, da tempo si confronta con opere oggetto spesso a cavallo tra l’uso e il non uso, echeggiando un rapporto alterato con la realtà. I suoi lavori sono stati esposti al Consortium di Dijon, 2010, MAMCO di Ginevra, 2012, Musée d’Art Moderne de Paris, 2017.

Ducati Monroe è un duo formatosi nel 2018 con il principale intento di formalizzare oggetti riproducibili. Il piacere, l’erotismo della forma e i processi di produzione, sono materia prima modellabile che descrive il prodotto e che annovera tra le principali produzioni: VETRORICERCA – Fuorisalone Milano; THE MEGA VIEW – Palermo; IT PLAYS SOMETHING ELSE, 70 anni Diadora – Firenze.

Mimosa Echard (Alès, 1986) è una giovane artista francese con una pratica che richiama un tipo di medicina olistica, che mischia i generi e pensa all’essere umano nella sua essenza, come in una forma di regressione verso la materia feconda. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche tra cui, il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris e la Fondation d’entreprise Galeries Lafayette. Ha da poco terminato una residenza d’artista alla Villa Kujoyama di Kyoto in Giappone. Mimosa Echard terrà una personale al Palais de Tokyo di Parigi nel 2021.

Proprio in questa edizione di miart 2020, la giuria ha selezionato un’opera di Mimosa Echard per il Fondo di Acquisizione di Fondazione Fiera Milano, cosa che ci ha fatto molto piacere.
Negli stessi giorni della fiera digitale abbiamo proposto in anteprima in galleria (Via Tortona 4) “Un bout de toi, Salomon”, prima personale dell’artista in Italia.
La mostra riprenderà dal 20 settembre all’11 novembre.

Mimosa Echard: Nymphe, 2015 – Mixed media. 20 x 5 x 4 cm | Courtesy of the Artist and Martina Simeti, Milano | Photo Héctor Chico / Andrea Rossetti
Sylvie Auvray: Collier, 2017 – Golden enameled faience, 75 × 10 cm – Unique | Courtesy of the Artist and Martina Simeti, Milano | Photo Aurélien Mole
Ducati Monroe: Il fascino della divisa – in collaboration with Fabio Quaranta, 2020 – Silver, 9,5 × 12 cm – Limited edition | Courtesy of the Artist and Martina Simeti, Milano | Photo Héctor Chico / Andrea Rossetti

@ UNA, Piacenza

«Il bravo storico è come l’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda».
In questa metafora dello storico Marc Bloch, l’oggetto privilegiato dall’indagine storica non è più il passato in sé, bensì «gli uomini nel tempo», ovvero la «civilizzazione».
Lo storico-orco è il «cacciatore» onnivoro di dati, di tracce e di testimonianze che divengono fonti imprescindibili per la comprensione del presente.

I due artisti presentati da UNA per Miart 2020 – Andreia Santana (1991 Lisbona) e Stefano Serretta (1987 Genova) – partono da un medesimo interesse per le tracce del passato, siano esse artefatti e reperti archeologici (Andreia) o monumenti e immagini (Stefano), analizzando i meccanismi che ne determinano l’importanza e la trasmissione nel tempo, legati molto spesso a interessi politici e ideologici.

Andreia si focalizza sulla cultura materiale, in relazione all’arte e all’archeologia, e sul sistema di funzionamento degli archivi, in rapporto con il presente e Internet, l’immenso archivio che plasma la nostra epoca.
Il suo progetto Outcast Manufacturers riunisce in una rilettura scultorea e installativa anomalie e oggetti scartati o banditi dalla storia, riflettendo sugli interessi culturali e le dinamiche di potere alla base della scelta di ciò che viene archiviato, quindi di ciò che viene consegnato alla memoria.

Andreia Santana: Vessel #3, 2020 – copper , cm 122 x 83 | courtesy UNA | ph. credits Cosimo Filippini
Andreia Santana: Study for stammering tool – Wall corner piece, 2020 – painted steel, 199 x 36 x 0,8 | courtesy UNA | ph. credit Marco Fava

Il lavoro di Stefano si appoggia ad un impianto storico e analitico estremamente rigoroso, che mira ad evidenziare le fragili fondamenta autocelebrative del capitalismo globalizzato e della macchina comunicativa che lo regola, di cui l’uomo è protagonista e vittima allo stesso tempo.
Al centro della sua ricerca c’è la riflessione sul ruolo e l’utilizzo delle immagini nel mondo contemporaneo – sempre in relazione a ciò che rimane del passato e a quello che del presente sarà trasmesso nel futuro – in una continua tensione tra iconoclastia e iconofilia.

Queste tematiche investono la contemporaneità, riflettendo non solo sugli effetti che i meccanismi di selezione hanno sulla nostra percezione del passato, ma anche su quello che del presente verrà trasmesso nel futuro: quali sono le tracce e le immagini dell’oggi che domani verranno utilizzate per interpretare la nostra epoca? Chi decide cosa deve essere perpetuato e cosa invece eliminato? Che ruolo riveste Internet, il grande archivio che nulla nasconde e cancella?

Stefano Serretta: Relapse, 2019 – ink on paper, cm 50 x 70 | courtesy UNA and ph. credits Cosimo Filippini
Stefano Serretta: Relapse, 2019 – ink on paper, cm 50 x 70 | courtesy UNA and ph. credits Cosimo Filippini

Alice Traforti

Founder e Redazione | Vicenza
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2 comments

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  • Mi sembra veramente poco rappresentata l’ arte” emergente”.Sicuramente molti galleristi non erano pronti per una versione online ma ciò non toglie che sia le Fiere d’arte che le gallerie non riescono più ad essere propositive e promotrici di arte, idee e cultura. Ormai si supporta qualsiasi opera con presentazioni e curatela non suffragate da fatti e contenuti. O meglio ci sono contenitori vuoti.

    • Buongiorno Valeria, grazie per il contributo!
      I temi sollevati sono molti, diversi, interessanti e delicati. Meriterebbero tutti un approfondimento.
      Sull’arte emergente a mio avviso assistiamo in generale a una forte discrepanza tra le proposte e le sedi che di fatto se ne occupano con un’ottica di crescita: per le prime c’è una vasta offerta, da cui non sempre viene scremata tutta quella fetta che di fatto non comporta alcuna novità di ricerca; e le seconde non sono in numero sufficiente a portare avanti le nuove generazioni, cosa che presuppone comunque una bella dose di coraggio e responsabilità che dovrebbe esserci da entrambe le parti.
      Per quanto riguarda questa pandemica edizione di Miart, direi che si fanno nuovi tentativi, si impara, ci si confronta, si migliora. Io non me la sento di aggiungere niente in questo momento di passaggio e di difficoltà.
      Certamente il sistema necessita di trovare una nuova forma di dialogo, ma credo che in questo anche il pubblico dovrebbe fare un piccolo sforzo. E qui forse il problema andrebbe affrontato alla radice: l’educazione all’arte viene considerata inutile nella società di oggi.
      Forse basterebbe una selezione coraggiosa e coerente da parte di tutti gli attori coinvolti nell’ottica di non confondere la necessità dell’arte con una decorazione fine a sè stessa, ma mi rendo conto di essere troppo romantica nella speranza che questi tempi difficili possano tirare fuori il meglio da ciascuno di noi.