Il fantastico torna ad essere un topos privilegiato dell’immaginario artistico, uno spazio di libertà per ripensare mondi alternativi, senza trascurare uno sguardo critico sulla realtà del presente. E’ questa la tesi molto attuale proposta da Fantastic Utopias, a curata da Ilaria Bonacossa con la collaborazione di Galleria Continua.
La mostra ha sede negli spazi restaurati dell’Ala Scaligera della Rocca di Angera, sul Lago Maggiore, terzo appuntamento con l’arte contemporanea organizzato nell’ambito di un progetto promosso dai Principi Vitaliano e Marina Borromeo Arese.
Sono esposti i lavori di 15 artisti internazionali: Jonathas De Andrade, Berlinde De Bruyckere, Carlos Garaicoa, Antony Gormley, Shilpa Gupta, Ilya & Emilia Kabakov, Zhanna Kadyrova, Sabrina Mezzaqui, Michelangelo Pistoletto, Ornaghi & Prestinari, Kiki Smith, Hiroshi Sugimoto, Pascale Marthine Tayou, Ai Weiwei, Chen Zhen.
Ne abbiamo parlato con la curatrice della mostra.
Nel titolo della mostra affiora una tensione fra il termine “utopia”, inteso in senso storico come una pulsione positiva verso una realtà migliore, e l’aggettivo “fantastiche”, che al contrario potrebbe indicare una fuga dalle distopie del presente per rifugiarsi in un mondo di fantasia…
Ilaria Bonacossa: Il titolo della mostra s’ ispira da un lato alla sede, la Rocca di Angera, e al richiamo molto forte del luogo verso il ricordo di un mondo fantastico, magico e fiabesco; dall’altro, nasce dal filo rosso che lega il lavoro degli artisti della Galleria Continua: una tendenza all’utopia, l’idea che l’arte in qualche modo possa cambiare il mondo. In tutti i lavori c’è un’apertura al fantastico, ma anche una ricaduta sul mondo reale.
Potrebbe illustrare con qualche esempio?
Ilaria Bonacossa: Gli specchi di Pistoletto, che frantumano la realtà con un richiamo alla favola, allo “specchio delle mie brame” di Biancaneve, o alla scheggia di specchio che entra nel cuore della regina delle nevi.
Tuttavia lo specchio frantumato dell’opera di Pistoletto è anche un filtro interessante per rimettere in discussione la realtà, mentre gli specchi contemporanei d’uso quotidiano, i nostri telefonini, ci risucchiano in un mondo senza sbocchi.
Il bisogno di fantastico che si respira oggi nella società nasce da un disagio. Se prima il genere fantastico apparteneva soprattutto al mondo degli adolescenti, oggi è diventato un genere per un mondo adulto che cerca evasioni da realtà angoscianti: lo testimoniano il successo mondiale di Harry Potter e della serie televisiva Il Trono di Spade, e ancora i quattro premi Oscar per La forma dell’acqua.
Nelle avanguardie del Novecento, la tensione utopica era rivolta principalmente verso il cambiamento della collettività, ora sembra sempre più elaborata da spazi personali, trans-storici e transculturali. Potrebbe commentare?
Ilaria Bonacossa: Oggi prevale l’idea che ‘the personal is political’, ossia che ogni piccola decisione del singolo ha una ricaduta sui meccanismi sociali. Io credo che gli artisti mettano al centro del loro lavoro visioni personali che diventano anche politiche, ma non nel senso di propagandare una particolare idea, piuttosto sono riflessioni legate al concetto di responsabilità sociale.
Nelle opere degli artisti in mostra sembrano ricorrere alcune tendenze, ad esempio la tecnologia nel lavoro di Carlos Garaicoa e di Chen Zhen, la lettura della fiaba e del mito in Sabrina Mezzaqui e nell’opera di Ai Weiwei e Berlinde De Bruyckere…
Ilaria Bonacossa: Esistono dei temi comuni, ad esempio il rapporto inter-specie nel lavoro di Kiki Smith e in quello di Jonathas De Andrade. Nel tappeto jacquard di Kiki Smith Congregation (Girl with forest animale) una figura femminile che sembra quasi un fauno, è legata forse da tracce di lacrime pietrificate, o da semplici sguardi, agli esseri viventi del bosco, in un mondo dove le specie comunicano fra loro.
Amore e morte s’intrecciano nel video O Peixe / The fish di De Andrade, dove il pescatore, con un abbraccio, accompagna il pesce attraverso un rito di passaggio, in parte atto di rispetto e in parte come se ne volesse assorbire l’energia vitale.
La pratica artistica di Ilya& Emilia Kabakov e in un certo senso anche quella di Pistoletto, riflettono ancora in parte grandi utopie sociali. Tendenzialmente, i giovani artisti oggi pensano ancora che l’arte possa avere incidenza sul mondo reale?
Ilaria Bonacossa: Ovviamente dipende dai singoli artisti. Alcuni vivono la propria poetica e pratica attraverso l’idea di responsabilità sociale. Ma anche il fantastico è spesso presente nel loro lavoro. Il ritorno alla pittura a cui assistiamo anche a livello internazionale, testimonia, almeno in parte, un bisogno di fuga dal reale e un desiderio di rinuncia all’utopia, a cambiare il mondo.
Crede che l’approccio critico risulti ‘diluito’ nel pluralismo di pratiche contemporanee sempre più integrate nel sistema economico dell’arte?
Ilaria Bonacossa: Negli artisti che hanno un approccio critico nei confronti della realtà i temi preponderanti sono quelli che trattano di battaglie specifiche più che di massimi sistemi, dall’ambientalismo all’ integrazione dei generi, l’uso delle periferie nelle citta’, ad esempio. In misura minore gli artisti oggi affrontano temi politici come intesi negli anni settanta.
Forse, questo deriva anche dalla chiara consapevolezza di far parte di un sistema economico post-capitalista. Gli artisti percepiscono la contraddizione insita nel fare parte di questo sistema ed essere al contempo “barricaderi”. Ma nelle battaglie specifiche resta comunque la volontà di lasciare un segno.
In mostra due opere mi hanno fatto pensare al particolare rapporto degli artisti nati nell’Est europeo con la storia. Sono l’installazione Second Hand di Zhanna Kadyrova (abiti realizzati con le piastrelle rimosse da uno stabilimento tessile una volta tra i più importanti in URSS) e la piccola scultura Pianista e Musa dei Kabakov, parte del progetto “The Alternative History Of Art” , che comprende opere ‘firmate’ da artisti inventati per riscrivere la storia dell’arte dell’Unione Sovietica dalla fine del diciannovesimo secolo fino al 1933.
Ilaria Bonacossa: Il lavoro dei Kabakov è poetico nel re-inventarsi in un artista ottocentesco, il padre artistico putativo che avrebbero desiderato. Ricreare la sua immagine significa ricreare un pezzo di storia dell’arte dell’Unione Sovietica che è stato cancellato dal realismo storico, e gettare un ponte fra Est e Ovest.
Il lavoro di Zhanna Kadyrova racconta in modo efficace, anche dal punto di vista formale, la violenza di una trasformazione sociale e del sogno industriale socialista infrantosi sulla pelle delle persone, attraverso i suoi abiti di piastrelle prelevate da fabbriche abbandonate che diventano quasi dei fantasmi.
Noi diamo per scontata una storia dell’arte universale, ma fino a tempi anche molto recenti la storia nell’Est europeo era molto diversa.
Il tema della mostra è chiaramente leggibile nel mantello della regina delle nevi di Sabrina Mezzaqui, che cita la protagonista della fiaba di Hans Christian Andersen, o nel pesce volante Feiyu di Ai Weiwei, ispirato a un antico libro di geografia fantastica che Ai Weiwei ha scoperto da adulto, perche’ i racconti fantastici erano proibiti dal regime Maoista. Risulta più difficile ricondurre al tema della mostra il corpo stilizzato e geometrizzato di Antony Gormley…
Ilaria Bonacossa: In qualche modo l’utopia mette al centro l’essere umano che plasma su di sé il mondo. Il lavoro di Gormely ruota intorno all’idea dell’essere umano come misura del mondo, ma nell’astrazione dell’uomo reso forma. In mostra, il corpo steso a terra ridotto a linee ortogonali rappresenta il fluire delle energie, e pone la domanda se veramente l’uomo è ancora al centro dell’universo.
Dal momento che dirige Artissima, oggi una delle maggiori fiere del contemporaneo in Europa, concludo chiedendole: quali supporti pensa sarebbero utili a sostenere il sistema delle gallerie messo gravemente in crisi dalla pandemia?
Ilaria Bonacossa: È un momento molto difficile, un supporto da parte dello Stato sarebbe auspicabile. La Germania ad esempio, ha tagliato di quasi il 50% l’iva sulle opere d’arte fino a dicembre 2020, come misura di sostegno alla filiera delle gallerie e dei mercanti d’arte, filiera che regge tutto il sistema. Questa riduzione potrebbe giovare anche in Italia.
Alcune gallerie importanti hanno potuto continuare a lavorare con il magazzino, ma le gallerie più giovani e più fragili si sono completamente fermate stanno cercando di capire come andare avanti.
Ritiene possibili sinergie fra gallerie e le istituzioni, musei e fondazioni, per sostenere le prime?
Ilaria Bonacossa: Puntare sulle collezioni potrebbe essere strategico in un momento in cui investire su mostre temporanee appare più rischioso. Si potrebbe ipotizzare un fondo per sostenere le acquisizioni da gallerie italiane, non solo necessariamente di artisti italiani, per non cadere nel protezionismo. Il fondo non sarebbe perduto perché creerebbe patrimonio per le istituzioni, arricchendone le collezioni. In quest’ottica vedo una possibile sinergia.
Fonti e approfondimenti: Fantastic Utopias, fino al 27 settembre 2020, Ala Scaligera, Rocca di Angera (VA) Orari di apertura: tutti i giorni dalle ore 12.00 alle 17.30, ultima visita. (In alcuni periodi la chiusura del museo potrebbe subire variazioni, per informazioni sempre aggiornate consultare www.isoleborromee.it) Biglietti: 10 euro adulti, 6,50 ragazzi dai 6 ai 15 anni (bambini gratis)
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