Rapida nel fare di necessità virtu’, la comunità creativa si mobilita in questa strana estate con mostre all’aperto per godere l’arte in sicurezza a contatto con la natura, dove fra boschi e montagne il distanziamento sociale è facilitato.
“Sentieri d’arte”, rassegna ambientata nel Parco Naturale delle Dolomiti, patrimonio naturale dell’UNESCO, inaugura la sua prima edizione con l’invito a scoprire un percorso di sculture e installazioni nei boschi di Cortina d’Ampezzo (BL). Protagonisti della mostra sono Alessandro Ferri (Dado), Federico Tosi e T-yong Chung. La curatela è affidata a Fulvio Chimento e Carlotta Minarelli.
Spunto per “Arcipelago fossile” , titolo della mostra, è la ricchezza geologica delle Dolomiti, che iniziarono a sollevarsi all’incirca 100 milioni di anni fa dal fondo dell’antico Mare della Tetide, a causa dello scontro tra le placche continentali africana ed europea, imprigionando nella roccia un fondo marino ricco di strati di fossili.
L’esposizione si articola attraverso un percorso dove le opere si offrono come ‘reperti’ da scoprire lungo due sentieri: Pian de ra Spines, dove sono allestite le opere di Alessandro Ferri, e il più impervio Gores de Federa, dove sono presenti tutti tre gli artisti.
Patrocinato dal Comune di Cortina, l’evento è organizzato da Associazione Controcorrente di Bologna, Regole d’Ampezzo, Liceo Artistico di Cortina, con il supporto di Quiqueg agenzia creativa di Milano.
Con stili diversi e con poetiche che hanno punti d’intersezione, i tre artisti interpretano temi legati alle particolarita’ del territorio ragionando sui tre regni biologici del creato. Federico Tosi affronta l’aspetto fossile, Alessandro Ferri (Dado) la componente vegetale, T-yong Chung la sfera umana, spirituale e intellettuale. Ecco cosa ci hanno raccontato a proposito della mostra e del loro lavoro:
Alessandro Ferri:
Per Arcipelago Fossile presenti delle sculture, ma il tuo percorso creativo inizia nel mondo writing. Come si relazionano nel tuo lavoro Street Art e scultura?
Alessandro Ferri: diciamo che ho iniziato presto a dividermi fra due ambiti, o meglio due linguaggi: quello della Street Art, in cui sono entrato giovanissimo, e quello dell’arte contemporanea. Ho frequentato l’Accademia di Belle Arti a Bologna e in seguito ho collaborato sia con artisti che con writers, da Cuoghi Corsello a Phase2, Sharp e molti altri. Sono due linguaggi distinti: il writing è un sistema semiotico, vicino al mondo degli stili. L’arte si muove su altri canoni. Mi è poi venuto naturale tradurre la poetica del mondo dei graffiti nel linguaggio dell’arte nelle mie prime sculture, che erano grandi estrusi di graffiti.
C’è un legame con il linguaggio della Street Art nelle sculture che hai portato nel bosco?
Alessandro Ferri: anche questo mio intervento porta parte dell’esperienza urbana in una foresta, perché attraverso dei simboli ho cercato di costruire un dialogo. Ho sviluppato la forma del tarassaco, fiore molto presente in quei luoghi, come se fosse un segno: sia organico, realizzato con delle cime di pino a ricordare un grande cespuglio, che in legno, realizzando un grande fiore appoggiato sul terreno.
E nella grande installazione che hai realizzato su un pedio?
Alessandro Ferri: per la grande installazione a X di ceppi di tronchi d’abete in una radura della foresta (un luogo significativo per gli abitanti perché è stata creata da una frana) ho pensato al tipico segno di chi non sa scrivere, immaginando una persona che nella foresta perde la facoltà linguistica, quindi la propria origine.
Ma nel lavoro sono presenti tanti altri riferimenti: la x esprime un’incognita, quella del bosco, segna un punto d’orientamento in un luogo che non ne ha perché è selvaggio; è un moltiplicatore e una firma. Mi piaceva portare in mezzo alla natura questo simbolo come un archetipo di scrittura umana, in un certo senso. Inoltre l’installazione ricorda il concetto di ‘scalare’, perché per effetto ottico assomiglia ad una scala posta su un pendio. È una forma che richiama anche la struttura, estremamente semplificata, del tarassaco, perché nell’insieme il mio intervento vuole comunque essere un gioco di rimandi.
Ultimamente la Street Art si è impegnata molto su temi ambientali, pensi che possa essere un mezzo efficace per stimolare un dibattito pubblico?
Alessandro Ferri: sarò franco: da un punto di vista puramente del writing, un tipo di approccio sociale non mi appartiene, perché faccio parte di una generazione legata alla ricerca dello stile, mentre le generazioni più giovani fanno un uso più ‘pop’ del graffito. Per me il writing è molto vicino alla musica, è una composizione di note e come la musica evoca stati d’animo diversi, l’unica differenza è che lo fa attraverso delle forme.
Federico Tosi
L’idea di trasformazione sembra essere centrale nel tuo lavoro. Puoi parlarne in relazione alle opere che hai portato nel Parco Naturale delle Dolomiti?
Federico Tosi: in questo lavoro la trasformazione è geologica, fossile. Il panorama che racconto è molto antico: un seme, o fungo alieno, dotato di volontà e di essenza, ha cercato di attecchire sulla terra per colonizzarla, ma ha fallito, collassando. Quello che rimane è il fossile di questa specie.
In passato hai messo in relazione ‘l’impero degli uomini’ sulla terra alla volontà di preservazione che li caratterizza. Puoi chiarire?
Federico Tosi: il paesaggio sulla terra è fortemente umanizzato, ed è caratteristico degli esseri umani preservare ad ogni costo le testimonianze della propria civiltà, come feticci. Ad esempio una pietra scolpita diventa un tempio, che nel tempo crolla e le sue rovine finiscono per essere esposte in un museo. Questo è bello, ma è anche una forma di presunzione. È questa l’attitudine di cui parlo nel mio lavoro: indirettamente, attribuendola al ‘fungo’ di pietra alieno, forma di vita frattale, molto semplificata. Non ci è tuttavia dato sapere, dal momento che questi esseri sono estinti, come si muovessero, che cosa fossero esattamente.
Potremmo fare la stessa fine…
Federico Tosi: è possibile. Il pensiero che oggi traspare del mio lavoro non è molto positivo, come d’altronde non è positivo il momento storico.
A proposito di mondi alieni, il cosmo è un soggetto che hai già trattato nel tuo lavoro.
Federico Tosi: sì, ho creato immagini di galassie realizzate a pennarello e varie volte ho trattato i soggetti da un punto di vista cosmico. C’è una teoria che mi affascina molto, definita ‘panspermia’, secondo cui le componenti essenziali della vita umana, amminoacidi e proteine fondamentali, sono rintracciabili nel pulviscolo interstellare. I meteoriti, attraversandolo, lo intercettano e lo raccolgono, trasportandolo sui pianeti e dando origine alla vita. Secondo questa teoria mediamente i pianeti non sono buoni incubatori, ad eccezione della terra. In effetti tutto quanto proviene da fuori oppure è dentro di noi, è composto della medesima sostanza e si muove nello stesso modo.
Già in passato hai associato vita, morte e natura, ma in modo giocoso. Penso ad esempio, alle tue sculture in resina Rotten Bullshit, coloratissimi cadaverini di uccellini in via di decomposizione.
Federico Tosi: ho pensato di glorificare un momento di morte creando delle anatomie che sono irreali, artefatte in modo da esaltarne la bellezza. Credo ci sia molta estetica nella decadenza e nella decomposizione. Quello che trovo affascinante della morte è che i batteri che in vita proteggono l’essere vivente, nella morte sono i primi a divorarlo. Una forma di opportunismo, come succede all’interno delle società umane…
T-yong Chung
Per Arcipelago Fossile, presenti delle maschere/ritratti da scoprire lungo il percorso espositivo. Come si relazionano al paesaggio delle Dolomiti le tue sculture?
T-yong Chung Il paesaggio in cui ho costruito un percorso site-specific con otto maschere e un’installazione è molto primitivo e selvaggio, una natura che ricorda gli albori della terra e li collega con il presente. In questo habitat ho percepito quanto sia piccolo l’essere umano nei confronti della terra, come un insetto. Contrariamente a quanto noi crediamo, la Terra non ci appartiene e sul pianeta non siamo noi a comandare: lo dimostra il fatto che ci sta mettendo alla prova. Vivendo in città, in un ambiente completamente antropizzato, non percepiamo tutto questo.
Con che criterio ai scelto i personaggi delle tue maschere?
T-yong Chung: personaggi molto diversi, diciamo un campione di umanità, proprio per dare rilievo al fatto che la natura non fa distinzioni fra noi esseri umani: quindi ci sono intellettuali e artisti, come Fernanda Wittgens, Lucio Fontana e Giuseppe Verdi, un pugile di Antonio Canova, e ritratti di persone comuni, da quello di mia moglie a quello di una ragazza africana nostra vicina, solo per fare alcuni esempi.
M’incuriosisce la maschera di Lucio Fontana, dove su estensioni simili a rami fiorisce una moltitudine di occhi..
T-yong Chung: sono gli occhi di diversi personaggi, un omaggio per celebrare un personaggio fondamentale per la storia dell’arte, che ha guardato al di là della superficie, verso la spazialità e il vuoto. Anche se Fontana non c’è più, volevo che lungo il mio percorso installativo si avvertisse la traccia della grande energia che questo artista ha lasciato e che possiamo percepire dovunque, anche quando siamo in mezzo alla natura.
Alcune maschere invece sono la fusione dei ritratti di più personaggi.
T-yong Chung: sì, certo come accennavo prima, la natura è incurante di fronte alle nostre differenze. Ma più di ogni altra cosa, mettendo insieme personaggi di diverso genere e provenienza in una forma che è nuova nel mio lavoro, voglio sottolineare che ognuno di noi è ‘tutti’, e allo stesso tempo è nessuno. Anche se noi percepiamo il contrario, non esiste un io unico al di sotto delle tante maschere e dei tanti ruoli che indossiamo ogni giorno, e non abbiamo la possibilità di conoscere davvero chi siamo. Secondo la filosofia Zen, solo se riusciamo a percepire e raggiungere il vuoto che è all’interno di noi, riusciamo ad entrare in comunione con l’universo.
Anche la natura entra nelle tue maschere fondendosi con questi personaggi, rami d’albero e ossa di animali...
T-yong Chung: ho sperimentato per creare delle forme astratte, fondendo elementi che richiamassero sia la vita che la morte, che in natura fanno parte dello stesso ciclo.
Fonti e approfondimenti: Dal 25 luglio al 2 novembre 2020 Ingresso libero Visite guidate gratuite: Un percorso tra arte e botanica alla scoperta delle Dolomiti con la presenza di esperti botanici e dei curatori della mostra Arcipelago fossile 8 agosto ore 10.30 - Gores de Federa (punto di ritrovo Ponte de Federa) 29 agosto ore 10.30 - Gores de Federa (punto di ritrovo Ponte de Federa) 30 agosto ore 10.30 - Pian de ra Spines (punto di ritrovo entrata Camping Olympia) durata delle visite: 60/75 minuti è vivamente consigliata la prenotazione (numero massimo: 30 persone) Maggiori informazioni sul sito https://www.regole.it/. Info e prenotazioni: museo@regole.it | 0436 8766222
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