La ricerca dell’artista Marco Casentini (La Spezia, 1961) mette in scena l’epica del viaggio e racconta di un sogno americano fatto di luci al neon e cieli al tramonto, dello stesso viaggio che è stato ed è tutt’ora il suo.
Ma le atmosfere che offre allo sguardo degli osservatori non si limitano a tracciare un percorso individuale, piuttosto rappresentano territori interiori che possono appartenere a chiunque vi si immerga.
Infatti, quelle che sembrano essere calcolate combinazioni geometriche di quadrati colorati sovrapposti, sanno parlare direttamente il linguaggio dei sogni, lasciando a ogni soggetto la libertà di sovrapporre il proprio immaginario alle strutture visive che l’artista crea.
Condensando le sue personali suggestioni, egli costruisce una sorta di diario, un inventario o una guida durante il nostro peregrinare tra i lidi terrestri.
Oppure, semplicemente, un “invito al viaggio”.
Alla Rocca di Umbertide, fino al 01 settembre 2020, possiamo vivere l’esperienza della mostra personale Marco Casentini Drive In, in stretto dialogo con le architetture medievali che la ospitano.
Questa alla Rocca di Umbertide è l’ultima tappa, voluta da FerrarinArte e Kromya Art Gallery, di un percorso iniziato nel 2017 in California, al MOAH Museum of Art and History di Lancaster, e proseguito negli anni successivi alla Bocconi Art Gallery di Milano, alla Reggia Reale di Caserta, e al Science and Technology Museum del ASCC Sheikh Abdullah Al Salem Cultural Centre di Kuwait City.
Dove ci porterà, domani, il viaggio di Drive In?
L’arte: per te si tratta di un viaggio, di un luogo o… ?
Marco Casentini: L’arte, per chi la produce, è sempre un viaggio. Un viaggio interiore fatto di ricordi, di emozioni, di esperienze, di vissuti quotidiani che formano quell’incredibile “bagaglio” che ci portiamo dietro, pronto a rivelarsi nell’attimo creativo.
Tutto quello che noi viviamo entra in qualche modo nel processo di invenzione e di strutturazione dell’opera.
Hai vissuto per lunghi periodi e in diverse fasi della tua vita prima a La Spezia, dove sei nato e cresciuto, poi a Lucerna, in Svizzera, dove hai esordito con le prime mostre personali, e tra Milano e Los Angeles nella fase di piena maturità. Ancor oggi vivi e lavori in entrambi i continenti: a Brera insegni, in California trascorri il resto del tempo.
Che cosa ti ha dato in termini di ricerca ciascuno di questi luoghi?
Marco Casentini: La Spezia – e la linea dell’orizzonte che vedevo dalla terrazza dell’appartamento dove vivevo – mi ha dato il rapporto con l’infinito di leopardiana memoria.
La Svizzera mi ha fatto scoprire l’ordine, presente ovunque, nella struttura urbana, nel modo di vivere e di conseguenza anche nell’arte. Da ragazzo ho visto le prime mostre nei musei svizzeri: Max Bill, Richard Paul Lohse, l’ordine del vissuto quotidiano che si rispecchiava anche nell’arte… e poi un artista incredibile, Ferdinand Hodler, con le sue montagne e i suoi paesaggi.
La California del sud, e specialmente Los Angeles, è il territorio che ha semplicemente stravolto il mio modo di lavorare. Stavo attraversando una fase che, dal punto di vista coloristico, anelava all’assenza del colore o, quantomeno, ad un colore legato alla natura.
A Los Angeles la struttura urbanistica è dettata da una geometria rigorosa e semplice.
I colori che si possono incontrare nella struttura urbana della città sono influenzati dal vicino Messico: i turchesi, i rosa, i gialli, sono colori con cui sono generalmente dipinte le case messicane. La popolazione ispanica nel sud della California è vicina al 50% della popolazione: questo ha fatto sì che in qualche modo la sua influenza si sia trasferita anche ai colori dell’architettura.
La luce!!! La luce nella California del sud non ha eguali: è una luce calda, che ti accompagna dall’alba al tramonto, quando il sole si tuffa nel mare di Malibu e il chiarore sembra non voler lasciare alla notte la giornata trascorsa, così i tramonti diventano struggenti, drammatici, in un tripudio di colori.
I titoli delle tue opere alludono spesso a paesaggi, più o meno identificati, o a diversi momenti di luce che si traducono in forme geometriche e atmosfere di colori.
L’assenza di figurazione lascia all’osservatore il compito di individuare il soggetto delle relazioni spaziali, visive, percettive.
In questo senso, si può dire che ogni opera diventa un processo di ricerca di identità?
Marco Casentini: Si, credo e spero che ogni titolo che attribuisco ad un’opera possa suggerire al fruitore un momento di vita o la percezione di un sentimento condiviso.
Ricerca di identità ed autoanalisi si fondono in ogni nuova ricerca, di cui l’opera rappresenta il processo e, nello stesso tempo, la cura.
Nelle tue composizioni, quale aspetto prevale tra la programmazione del risultato estetico e l’intento narrativo, tra la percezione visiva e lo spazio interiore?
Marco Casentini: Non so se ci sia un aspetto che prevale su un altro. Esiste, però, un metodo di creazione dell’opera che è la comfort zone da cui abitualmente parto.
Procedo, infatti, con un fare automatico di “scrittura” dell’opera che mi piace accostare, per fare un paragone, al dripping di Pollock o al processo creativo di Keith Haring: un automatismo dettato dall’esperienza.
Non faccio mai studi sull’opera che andrò a realizzare, tutto è libero come fosse una danza, un’improvvisazione musicale.
L’atto creativo è dettato dall’esperienza e da un’inconsapevolezza di quello che diventerà il dipinto nella sua conseguenza temporale.
Inizio sempre dal disegno delle strutture geometriche, tenendo presente nella mia mente quello che l’opera dovrebbe diventare; un colore, un ricordo, un luogo fanno da connettore interiore tra la percezione visiva passata e quello che l’opera rappresenterà.
Drive In ha girato il mondo, ospite in sedi di diversa tipologia: dal museo al palazzo storico fino al nuovissimo centro culturale, creando ogni volta un dialogo unico con interventi site specific direttamente alle pareti e alle strutture di ciascuna architettura.
La pittura murale è per te una pratica consolidata, penso per esempio al corridoio del primo raggio all’interno del carcere di San Vittore a Milano, ma non rappresenta un passaggio scontato.
Cosa ti ha portato a esplorare la dimensione ambientale della pittura?
Marco Casentini: Mi piace che la mia arte possa cambiare la percezione dell’ambiente.
Hai citato l’intervento che ho fatto nel carcere di San Vittore assieme ai detenuti.
I detenuti erano consapevoli che stavano facendo un lavoro che avrebbe cambiato la loro percezione dello spazio vissuto.
Molte persone che lavoravano all’interno del carcere mi hanno ringraziato più volte per aver cambiato il loro modo di percepire lo spazio lavorativo.
L’arte dovrebbe servire anche a questo: a farti percepire diversamente il luogo che vivi.
Mi piace soprattutto lavorare in luoghi difficili, come gli ospedali, luoghi dove si soffre. L’arte aiuta a cambiare la dimensione percettiva/emozionale dello spazio.
Fino al 1° settembre il progetto Drive In, grazie all’interessamento di FerrarinArte e Kromya Art Gallery, è ospitato alla Rocca di Umbertide, una fortezza medievale ricca di storia e memoria.
Il tema della percezione è centrale anche all’interno di uno spazio così connotato, in cui la lucentezza dell’opera si pone necessariamente in dialogo con i muri segnati dal tempo.
Un altro aspetto interessante è l’approccio alla materia che, oltre ai materiali da te sperimentati (tela, perspex, acciaio specchiante…) deriva anche da interventi di design, come quello sui diversi modelli di automobili che raccontano il viaggio raccontato di Drive In.
Come vivi questa contaminazione?
Marco Casentini: Per me non c’è molta differenza tra dipingere un’auto, un paio di occhiali o un quadro… cambia solo il supporto e il contesto in cui vivrà l’opera.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Marco Casentini: A settembre inauguro una mostra insieme ad altri otto artisti internazionali al Museum Fur Konkrete Kunst di Ingolstadt, in Germania: una mostra in cui sono stai invitati artisti che lavorano anche con lo spazio architettonico. Farò un grande wall paintig lungo 14 metri dove installerò 4 quadri e un tubo dipinto alto 250 cm e largo 60.
Una personale, sempre a settembre, da Brian Gross Fine art a San Francisco e a ottobre una personale alla Heitsch Galerie di Munchen.
E quali invece i sogni per il futuro dell’arte contemporanea?
Marco Casentini: L’artista il sogno lo vive quotidianamente con il suo atto creativo, che serve a far sognare chi questi sogni non li fa…
FONTI e APPROFONDIMENTI: - sito web ufficiale dell'artista Marco Casentini (link) - comunicato stampa della mostra Marco Casentini Drive In, Rocca di Umbertide, 03 luglio - 01 settembre 2020 (link) PER VISITARE LA MOSTRA: La mostra è visitabile fino al 01 settembre 2020. La Rocca di Umbertide è aperta al pubblico da martedì a domenica e nei giorni festivi con orario 10.30-12.30 e 16.30-18.30, chiusa il lunedì. È richiesto l’uso di dispositivi di protezione individuale. Ingresso intero Euro 5, ridotto Euro 3, gratuito per ragazzi fino ad 11 anni. Il biglietto comprende anche l'ingresso al Museo Comunale di Santa Croce. Per informazioni: T. +39 075 9413691, rocca-v@libero.it, www.comune.umbertide.it.
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