In un suo dossier sugli anni ottanta, Stefano Chiodi conclude il suo percorso analitico affermando che: “gli anni Ottanta non sono mai finiti. Da qualunque punto di vista li si osservi, essi appaiono più che mai l’antefatto, l’incubatore del nostro presente(…). Anche per questo, oggi è più che mai necessario tornare a occuparsene”. E’ necessario ripercorrere quei mitici anni Ottanta perché essi hanno decretato il declino delle utopie e delle ideologie e l’entrata decisa, inarrestabile nell’era della globalizzazione, della destrutturazione e virtualizzazione costante del nostro stesso essere, catapultato nel vuoto di certezze, sospeso tra le paure di un futuro sempre più complesso e problematizzato. E’ importante analizzare un periodo denso di fermenti innovativi nel campo delle arti visive, un decennio fondamentale della nostra storia recente e, per questo, mi è parso fondamentale soffermarsi sul clima culturale e artistico di Berlino. A ridosso degli anni Ottanta, Berlino è una metropoli divisa in due da un mostruoso muro, lacerata a livello politico e sociale, ma a Ovest, nel quartiere popolare di Kreuzeberg, diventa per alcuni anni, ferventi e vitali, il centro d’Europa: luogo di sperimentazione creativa e ricerca linguistica, dimensione elettiva delle arti , in particolare musica, cinema e pittura. A Moritzplatz, nel cuore di Kreuzeberg, si ritrova a operare un gruppo di giovani artisti, i cosiddetti “Morritz Boys”, ossia Rainer Fetting, Helmut Middendorf, Salomé, Bernd Zimmer. I componenti del gruppo realizzano una pittura trasgressiva, provocatoria, una figurazione di forte impatto emotivo; essi vivono la pittura come forma, irriverente e dissacratoria, di reazione al contesto sociale, attraverso cui esprimere le esperienze quotidiane, il tema della grande città che vive la devastante e ingombrante presenza del Muro, la dimensione anarchica e chiassosa della Berlino notturna, la forza dirompente della musica, la cultura punk. In una città dove gli spazi per gli artisti giovani erano inesistenti, fondano Galerie am Moritzplatz, uno spazio autogestito, un laboratorio di idee e di libertà in cui dar concretezza pittorica alla loro energia propulsiva e dove dal 1977 al 1981 vengono organizzate 30 mostre tra personali e collettive. Nel 1978, in un ex cinema del quartiere, viene inaugurato il night club “SO 36” che diventa un eccezionale punto di incontro e di ispirazione in cui ascoltare concerti, in cui l’irruenza espressiva della musica punk–rock diventa traduzione visiva nella pittura che, come la musica, “doveva oscillare tra bellezza e dissonanza”(S. Schmidt-Wulffen). Nel 1980, con il loro inconfondibile linguaggio figurativo, i pittori di Moritzplatz escono dai confini della galleria autogestita per esporre, con la mostra Heftige Malerei (Pittura Irruente), alla prestigiosa Haus am Waldsee: è il successo, l’affermazione presso il grande pubblico, ma anche il momento che preannuncia il profilarsi di nuovi orizzonti d’indagine e la chiusura di un’esperienza artistica irripetibile di cui ho cercato di cogliere tutta la forza di temperie culturale in una lunga e densa intervista a due protagonisti di allora, Helmut Middendorf e Bernd Zimmer, proponendone uno stralcio significativo per Artalkers.
La mostra Pittura Irruente alla “ Haus am Waldsee” vi ha imposto all’attenzione internazionale. Che cosa rendeva “irruente” la vostra pittura?
Bernd Zimmer: In primo luogo il colore. Il colore riveste una grande importanza e un significato fondamentale. Infatti, è una pittura non solo “irruente” nel gesto, nella forma o nelle modalità esecutive, ma, soprattutto, nel colore in quanto tale: è il colore lo “strumento-chiave” della nostra pittura.
Helmut Middendorf: “Pittura irruente” significava per noi: grandi formati e dipinti stridenti per articolare i nostri temi, “urlandoli” con la forza dirompente del colore; significava visualizzare “ rumorosamente” ciò che ci interessava e ci toccava direttamente in quel momento. La voce con la quale volevamo esprimerci non esisteva all’epoca nel mondo artistico, né tanto meno esistevano i temi che nei nostri dipinti prendevano corpo.
All’interno del movimento neoespressionista tedesco, venite indicati come Nuovi selvaggi. E’ una definizione che vi appartiene, in cui riconoscete le vostre idee di allora, il vostro modo di essere artisti?
B.Z.: All’epoca, iniziavano a chiamarci “Nuovi Selvaggi” oppure “Giovani selvaggi”. Noi non volevamo avere a che fare con un termine che identificava un’altra realtà artistica a Colonia, né essere etichettati in alcun modo. Proprio per questo, ossia per distinguerci, abbiamo deciso di chiamare la nostra pittura con il termine “irruente”.
H.M.: La parola “heftig” ossia “irruente” è stata un’idea relativamente spontanea; ci è venuta – a Bernd e a me – mentre ci recavamo in macchina verso la “Haus am Waldsee” per incontrarci con Thomas Kempas che ne era il direttore. Lui aspettava che noi gli fornissimo il titolo definitivo per la mostra e il tempo stringeva. Così abbiamo detto: chiamiamola non soltanto “Pittura”, ma “Pittura Irruente”.
Quale era l’identità sociale di Kruezberg al tempo di Mortizplatz?
B.Z.: In quei tempi era un Moloch: un quartiere trascurato, povero, con strade squarciate da buche, poco illuminato e con lampioni rotti. Non c’era tanta differenza con il desolato grigio dell’Est che iniziava subito dopo, al di là del muro.
H.M.: Qui vivevano, in stretto rapporto di vicinanza, gli anziani che vi abitavano dalla nascita, gli operai, gli studenti; quotidianamente si vedevano in giro la squadra degli assistenti sociali e quella delle forze di polizia. Da un lato il quartiere era dominio della sinistra: giovani radicali, pronti, in ogni momento, ad aprire una battaglia in strada, buttando pietre e dando fuoco alle macchine; dall’altro lato era territorio fertile per gli artisti e per l’avanguardia, un contesto vitale di sperimentazione. Tutto questo nel cuore dell’opulenta Berlino Ovest.
Ma il centro pulsante di Kruezberg era anche il leggendario club punk “SO 36”. Quale era la sua importanza? Come e cosa affiora dal ricordo di ciascuno di voi?
H.M.: Per noi era molto importante perché in questo luogo era possibile vivere la musica che, di solito, si poteva ascoltare soltanto da registrazioni o da dischi. Quasi ogni sera andavamo lì per ballare, per muoverci a ritmo frenetico, per ritrovarci con gli amici in un’atmosfera di sonorità esasperate, per discutere.
B.Z. : Nel SO36 abbiamo anche dipinto. Io, negli spazi del club, ho realizzato “1/10 di secondo prima del ponte di Varsavia”, un’opera monumentale di 29 metri per 3 metri; l’ho realizzata dipingendo ininterrottamente per tre giorni e tre notti. Poi ho messo in mostra il dipinto, composto da tre tele, per una sola serata. Per otto ore ho messo in scena la pittura allo stesso modo di un concerto punk; ho chiesto un prezzo d’ingresso per la serata e ho guadagnato dei soldi. Punto.
Ottimo articolo, veramente interessante sia l’incipit che lo sviluppo, leggibile, leggero ma esatto nei contenuti.
Grazie
PS mi sarebbe piaciuto conoscere la misure delle opere nelle didascalie.
Pittura ad alto livello colori bellissimi di grande impatto visivo e psicologico,meritano un posto di prestigio nell’ambito artistico