L’arte non è intrattenimento, nemmeno quando è fatta divertendosi, attraverso i social media.
L’artista Federico Clapis (1987), cresciuto a pane e digital a Milano, in un panorama che si stava velocemente trasformando nel futuro, appartiene alla generazione dei millenials, proprio come me, partecipe consapevole di due epoche culturali: prima e dopo i media di comunicazione istantanea a distanza.
Prima di dedicarsi in maniera esclusiva all’arte contemporanea, Clapis ha spopolato su youtube per parecchi anni, finché nel 2015, con una presa di posizione decisa, ha salutato ufficialmente la sua attività di intrattenimento nel web, rimanendo nel web a fare arte.
Dicevamo, quindi, che ha continuato a fare arte nel web e a usare il web per fare arte.
Se all’inizio si trattava soprattutto di divulgare tele e sculture sulla fragilità e sulle contraddizioni della condizione umana a una fanbase costruita negli anni di youtube, il mezzo digitale ha pian piano invaso anche le modalità di produzione dei manufatti.
La sperimentazione va dalla scansione al modeling digitale per stampare e ottenere sculture di diverse dimensioni, ai meccanismi di tracking per installazioni ambientali, non solo investendo il passaggio dell’immagine online di sempre maggior valore di condivisione, ma arrivando anche a creare filtri ad hoc per social media e fornire così al pubblico la possibilità di partecipare attivamente a una continua evoluzione dell’opera stessa nella sua dimensione virtuale.
Io l’ho incontrato solo nel 2017, per vie traverse, grazie alla condivisione dell’amico di un amico (una cosa così) di uno dei video di “Martina Dell’Ombra” in cui Federico Clapis si presentava come artista. Non sapevo nulla di lui e l’ho trovato interessante da subito.
Ora ho deciso di approfondire la sua ricerca sulla scia della Deep Scrolling Experience dello scorso 18 gennaio 2020, una giornata dedicata al fenomeno della dipendenza tecnologica che si è svolta in Triennale a Milano, e di quello che è il Deep Scrolling Movement, un approccio al digitale fondato sulla necessità di fare entrare l’arte nella vita di tutti i giorni in un clima di detox da tutto ciò che, oltre a essere non necessario, risulta dannoso e fuorviante.
I più curiosi possono trovare qualche bel link in calce all’intervista!
Quali sono le tue fonti di ispirazione in generale e i tuoi riferimenti tra storia dell’arte e proposte contemporanee?
Federico Clapis: Penso che abbia influito molto l’arte dagli anni 50’ in poi per una serie di produzioni che oggi realizzo.
Per quelle opere forse un po’ più esplicative, che sono quelle per cui sono anche più conosciuto, ha influito sicuramente la street art, il desiderio di arrivare in modo efficace, diretto, riportando in vita l’illustrazione.
Dopo aver chiuso la serie degli Eat materia (2009-2010), giungi all’elaborazione di un linguaggio più consapevole con il ciclo degli Actor on canvas (2011-2018).
Qui la tela diventa lo spazio di azione di un mini-me inserito in contesti sempre più rarefatti, dalla riduzione del dettaglio all’uso essenziale del colore, fino al soggetto bianco su campo monocromatico.
C’è un nesso tra questo progressivo processo di riduzione, quasi di pulizia, e il taglio netto con cui ti sei distaccato, nel 2015, dall’attività di intrattenimento che portavi avanti in qualità di youtuber?
Federico Clapis: In realtà il desiderio di asciugare, semplificare e chiarire è sempre stato presente nei progetti a cui mi sono dedicato.
Anche nell’intrattenimento, con il Jump Cut dei video o con la concinnitas della comunicazione, è un aspetto che ho sempre perseguito.
Questo avviene ovviamente anche in un campo in cui la sintesi diventa ancora più essenziale.
Negli ultimi anni ti sei dedicato maggiormente al contatto con la materia, dal bronzo al cemento alle resine, fino all’installazione di oggetti prelevati dal quotidiano, con esiti di dimensione anche monumentale.
La scultura, quindi, tecnica che per antonomasia permetteva di coinvolgere l’osservatore a 360°, nella tua concezione assume spesso la valenza di un pretesto, un ponte per andare ancora oltre e anche per tornare online, a far esprimere direttamente il pubblico di persone coinvolte.
Lo spazio delle tue opere è quindi quello fisico o quello virtuale?
Come si connettono queste due realtà?
Federico Clapis: Lo spazio delle mie opere è principalmente virtuale, motivo per cui, in questo periodo di quarantena, diventa casa mia dal punto di vista espressivo.
Quando lo spazio è fisico, e quindi diventa realtà, è un evento in cui vedo le persone interagire con le opere.
Ma ad oggi il virtuale inteso come digitale rimane preponderante.
L’interazione digitale attraverso i commenti delle persone è il proseguimento dell’opera.
Sebbene la tua produzione più iconica sia centrata proprio sulle innovazioni tecnologiche, le tue opere parlano di relazioni tra le persone, individuali e con l’ambiente.
Un bell’esempio è il progetto Taboo del 2019. Ce lo racconti?
Federico Clapis: Taboo è un’opera realizzata in un materiale elastomerico che ritorna in forma dopo che è stata premuta con le mani.
Nasce dalla scansione laser di una ragazza affetta da una malattia morfogenitica, Marina Cuollo, una lungimirante scrittrice napoletana, che si è prestata a raccontare attraverso questa metafora la barriera tattile con la disabilità.
L’opera è una rappresentazione fedele della scansione laser.
Abbiamo portato il progetto in alcune università e ad alcuni eventi, con la presenza in persona di Marina Cuollo e il risultato è stato molto interessante.
Ho potuto notare come la reticenza con la quale le persone inizialmente interagivano con la scultura andasse lentamente scemando e come contemporaneamente questo consentisse che fossero meno a disagio e prendessero confidenza con Marina stessa.
Parliamo anche di educazione all’arte, di educazione alla tecnologia, di educazione alla persona, in ordine sparso e a distanza di qualche settimana dalla Deep Scrolling Experience, una giornata interamente dedicata al fenomeno della dipendenza tecnologica che hai organizzato lo scorso 18 gennaio 2020 in Triennale a Milano, affiancando l’esposizione delle tue opere con sessioni di yoga, aree di ascolto e talk con esperti filosofi e scienziati.
Federico Clapis: La giornata in Triennale è stata molto interessante e ha reso visibile e fruibile la sinergia tra la mia arte e l’Istituto di Psicosomatica Integrata, grazie al quale sono state offerte sessioni di Yoga e talks.
Erano presenti Maura Gancitano e Andrea Colamedici che hanno portato al progetto il loro contribuito filosofico arricchendo la natura multidisciplinare dell’evento.
È stata anche un’occasione per tutta la mia fanbase di poter vivere finalmente un evento a Milano, cosa che era da tanto che non organizzavo e mi ha dato modo di entrare in contatto con persone e permettere loro di entrare in contatto con i miei lavori.
Sulla parola condivisione.
Come è cambiato per te il senso di questo vocabolo da quando hai reso pubblica la tua ricerca di artista, in quel determinante 2015?
Federico Clapis: La condivisione è parte integrante del mio lavoro e dal 2015 lo è diventata sempre di più, progressivamente.
Direi che ha trovato il culmine della sua espressione dal 2017 quando con l’utilizzo di Instagram ho iniziato ad invitare costantemente l’utente a condividere le sue sensazioni e riflessioni nei commenti, portando questo gesto a diventare estensione dell’opera stessa.
Che effetti sta avendo sul tuo lavoro il nuovo stile di vita imposto dall’emergenza sanitaria globale causata dal COVID-19?
E che cosa sogni per il futuro dell’arte dopo questa esperienza collettiva?
Federico Clapis: In questo momento è di grande inspirazione per me, ho notato che si muovono tante sensazioni e queste trovano subito esigenza di essere espresse, ragion per cui sto partorendo tante opere a tema.
Ho notato oltretutto che sono nate esposizioni virtuali, musei digitalizzati a tema Covid, questo mi fa pensare forse che ero già sulla strada giusta, inteso la strada del digitale.
Non tanto come giusta scelta etica, ma inteso nel senso di pratica, e questo per il futuro mi incentiva a realizzare uno spazio che possa essere vissuto attraverso i visori di realtà virtuale nel modo più fedele e coinvolgente possibile.
Sto pensando ad un nuovo mondo.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Federico Clapis: Come sopra, questi sono i miei progetti per il futuro.
Sto lavorando per il 2021 e se, come credo, tornerà tutto alla normalità, ci saranno tantissime occasioni in cui ci potremo vivere e vedere dal vivo.
FONTI e APPROFONDIMENTI: - sito web ufficiale di Federico Clapis (link) - manifesto Deep Scrolling Movement (link) - Comunicato Stampa: Deep Scrolling Experience, 18/01/2020 - Triennale, Milano (download)
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