Ho incontrato le opere di Claudio D’Angelo (1938-2011 – biografia nei link di approfondimento in calce) all’ultima edizione di ArteFiera, presso lo stand della Galleria 10 A.M. ART di Milano.
Non ho capito subito di che cosa si trattasse, così ho iniziato ad approfondire la ricerca di questo artista rimasto nascosto nelle pieghe del contemporaneo, in provincia di Ascoli Piceno, a osservare il mondo da dentro, a testare infinite possibilità, ad aprire nuove finestre nella realtà senza darsi per vinto, senza trovare definizioni assolute, ma piuttosto continue indicazioni per sentire ancora.
E per tracciarne la memoria su tela.
Il segno di D’Angelo è espressione di necessità, è umano e contraddittorio nella compresenza di oggettivo e soggettivo, programmato ed emotivo.
Inventa spazi futuribili aperti, non del tutto prevedibili e immersi nelle contingenze del momento. Bivalenti e virtuali, mentali e plastici, invadono la realtà ambientale giungendo all’osservatore con strutture e tracce sempre più libere e leggere, intrise di azzurro.
Attraversando mezzo secolo, a cavallo fra due millenni, “D’Angelo ha dialogato con artisti, critici e storici dell’arte da Palma Bucarelli a Giulio Carlo Argan da Nello Ponente a Mirella Bandini, a Enrico Crispolti, a Paolo Fossati mantenendo sempre viva la sua indipendenza poetica e poietica, che dalla progettazione risale necessariamente alla progettualità, con una metodologia di lavoro perfettamente coerente con se stessa, durante tutto il suo percorso artistico.” (dal comunicato)
Parliamo di tutto questo insieme ad Angela Madesani, curatrice della mostra Ipotesi progettuale in corso (a porte chiuse) proprio da 10 A.M. ART, in collaborazione con l’archivio dell’artista.
In quale contesto si origina la necessità del segno nella poetica di Claudio D’Angelo che, dopo un esordio figurativo, formula già nei primi anni ’60 un proprio linguaggio puntuale immerso in un immaginario fatto di pulizia e coerenza?
Angela Madesani: Claudio D’Angelo nasce alla fine degli anni ’30 e come numerosi artisti della sua generazione prende in esame temi quali il segno, lo spazio, il vuoto.
Si occupa del significato stesso della pittura. Ha operato nella più profonda provincia italiana da artista internazionale.
Non a caso già nel 1966 entra in contatto con una grande gallerista come Fiamma Vigo, che ha più gallerie a Firenze, Milano, Roma, e Venezia.
Come si evolve tale linguaggio nelle diverse fasi di una ricerca, dal segno al modulo fino alla sua dissolvenza e oltre, sviluppata in 40 anni di lavoro incessante sui fondamenti dell’immagine?
Angela Madesani: La cosa che mi preme dire a questo proposito è che io non credo che si debba parlare di un’evoluzione del linguaggio, ma di una processualità dello stesso.
Nel suo caso la processualità è basata sul segno, senza mai diventare un lavoro sulla percezione, anche nei lavori che possono sembrare tali.
Il lavoro di D’Angelo è molto coerente. La mostra alla Galleria 10 A. M. Art di Milano è incentrata sui cicli “Ipotesi progettuale”, “Progetto di spazio” e “Analysis situs”, opere che vanno dalla fine degli anni ’60 agli anni ’70. È una rassegna che testimonia la coerenza poetica di un artista che, naturalmente, ha avuto anche le sue ansie, le sue incertezze, le sue paure.
La sua, e qui vorrei ancora una volta ribadirlo, non è mai stata arte optical, cinetica.
Mi piace, inoltre, sottolineare che spesso la parola “analisi” torna nel suo lavoro e questo mi pare significativo.
In questa mostra Claudio D’Angelo – Ipotesi progettuale vediamo un focus particolare sulle opere degli ultimi anni ’60 e quelle dei ’70. Nonostante le apparenze, quella che Claudio D’Angelo genera in questo momento non è Optical Art e nemmeno Pittura Analitica.
In che cosa sostanzialmente si differenzia la sua proposta da queste due a lui parallele?
A me sembrano quasi due momenti costitutivi, rispettivamente di programmazione e analisi, in una dimensione sospesa, oltre la verifica di un progetto per una visione immaginifica più ampia.
Angela Madesani: Penso che Claudio D’Angelo sia sempre stato un libero battitore che ha guardato con interesse a quello che facevano i colleghi, gli altri artisti con i quali è entrato in contatto, ma io non credo che possa essere inserito in un particolare movimento, come ho scritto.
Crea, piuttosto, un suo linguaggio con l’uso del segno. Le forme toroidali, la ripetizione che diventa quasi ritmica, per certi versi musicale, sono un lavoro immediatamente riconoscibile.
Penso che questo lavoro abbia verificato delle ipotesi e abbia aperto molte questioni a partire dalla fine degli anni ’60, sulla sua pittura in primis, ma anche sul fare arte. Quelli sono stati anni complessi, di contestazione, di domande, di verifiche e di ricerche importanti.
Forse vorrei porre la sua ricerca anche in relazione con certi artisti che hanno utilizzato la scrittura, con certa Arte concettuale.
Qual è il concetto di spazio nella poetica di Claudio D’Angelo?
Angela Madesani: Lo spazio è un tema portante nel lavoro di Claudio D’Angelo e torna spesso nei titoli delle sue opere, come “Progetto di spazio” per esempio. L’artista crea anche spazi di luce, che non sono reali, ma immaginari, simbolici.
Nel 1976, quando dà vita ad “Analysis situs”, D’Angelo scrive e analizza il segno come “elemento generativo di uno spazio profondo, intimo” e il suo maggior valore è quello di “far emergere la complessità e la semplicità di un ordine”.
È il segno che genera lo spazio in una trama più o meno fitta. Nella sua ripetizione continua oppure nella sua rarefazione genera spazialità diverse. Lo spazio è spesso vuoto.
In mostra accadono molte cose con la delicatezza poetica di un segno nero su una tela bianca.
Il lavoro ha richiesto tempi lunghi per la realizzazione da parte di D’Angelo, ma necessita anche di pazienza e di impegno da parte dello spettatore, che deve dedicare il suo sguardo alle opere. Credo che in tal modo si possa trovare uno spunto per andare oltre la tela, oltre ciò che si vede per giungere a una sorta di liberazione della mente.
D’Angelo è stato un artista libero.
Nei suoi dipinti non esiste chiusura, ci sono dinamismo, processualità continua, in cui il quadro sembra non trovare né un inizio, né una fine.
Che influenza esercita la tecnologia in un artista di tale calibro?
Angela Madesani: Nel lavoro di D’Angelo secondo me non è importante l’aspetto tecnologico.
L’artista lavora esclusivamente in una compresenza di bianco e nero fino al 1987, quando introduce l’uso del colore limitatamente all’azzurro.
Che cosa rappresenta qui l’azzurro?
Angela Madesani: Nei quadri in mostra l’azzurro è il colore che penetra nella tela, oppure quello delle fotografie, inserite nelle opere, del cielo, del mare… è l’azzurro della natura.
In queste opere non c’è, tuttavia, un ritorno alla figurazione. Le fotografie, opera della moglie Rosanna, evocano e non rappresentano delle situazioni precise. Portano un’idea di apertura e di poesia dello spazio. D’Angelo abitava in un luogo relativamente vicino al mare.
Negli anni ’80 prende avvio anche una sperimentazione su tecnica e materiali. Come si declina e quali esempi possiamo vedere in mostra?
Angela Madesani: La sperimentazione è stata una costante in tutta la sua vita. Claudio D’Angelo è stato uno sperimentatore, un artista che si è sempre posto di fronte al lavoro in modo problematico, come gli artisti intelligenti fanno.
Nel corso degli anni ha introdotto nel suo lavoro materiali nuovi e diversi, però non penso che l’aspetto tecnico sia precipuo all’interno. Penso che si debba guardare all’esito finale, a quella poesia che emerge anche nei lavori più recenti, anzi, che forse nei lavori più recenti è ancora più potente.
In una corrispondenza del 1983, Achille Pace scriveva a Claudio D’Angelo: «Sono tornati indietro e in discesa si cammina con meno sforzo, tu vai avanti quasi in solitudine».
La valenza del suo segno risulta ancora attuale e in salita nel 2020, a distanza di 50 anni dall’inizio delle ricerche “sul limite del visibile”?
Angela Madesani: Claudio D’Angelo è stato un artista solo, ma non si può dire che non sia stato capito. Palma Bucarelli, la grande direttrice della GNAM di Roma, ha comprato Claudio D’Angelo. Il suo non è un lavoro prevedibile, è un lavoro difficile e non così facilmente comprensibile ai più, a maggior ragione, se si pensa che D’Angelo ha operato sempre in una provincia chiusa all’arte contemporanea.
La valenza della sua ricerca sul segno risulta oggi più che mai attuale. Vi è una vicinanza con la musica, con la poesia e lo spettatore è chiamato a osservare, a prestare attenzione.
In un momento come questo, che ci ha insegnato a fare delle pause, un lavoro come quello di D’Angelo è a maggior ragione significativo. La pausa porta riflessione, approfondimento. Ci conduce oltre la superficie e l’apparenza per giungere alla sostanza. Nel suo lavoro è la ricerca dell’essenza dei fenomeni.
Fra qualche mese uscirà un catalogo che dovrebbe contenere anche alcuni importanti contributi critici sulla sua ricerca. Tra i più significativi quello di Paolo Fossati, che ha compreso con anticipo il lavoro di alcuni importanti artisti italiani, tra i quali Sandro De Alexandris e Franco Vimercati. Così è avvenuto per Claudio D’Angelo.
FONTI e APPROFONDIMENTI: - biografia e cv dell'artista Claudio D'Angelo (link) - scheda della mostra Claudio D'Angelo. Ipotesi progettuale, 2020 - Galleria 10 A.M. ART, Milano (link)
Add comment