Dedicata ad uno sguardo sulla pittura contemporanea, Pittura XXI è la sezione speciale e inedita di Arte Fiera 2020, che inaugura quest’anno con la curatela di Davide Ferri. La sezione include 19 gallerie e ventinove artisti, italiani e internazionali.
La pittura è morta, viva la pittura! La dipartita della forma d’arte più antica del mondo, e la sua rinascita, sono state dichiarate più volte di quante si possano contare. Ma il quadro si è dimostrato resiliente, adattandosi ad ogni assalto concettualmente orientato. Oggi piu’ che mai, sembra conoscere un forte interesse da parte di critica e collezionisti.
Pittura XXI si concentra su alcuni aspetti del lavoro di artisti mid-career, particolarmente su quelli che per Davide Ferri, critico e curatore riconosciuto per i suoi approfondimenti sulla pittura contemporanea, caratterizzano i linguaggi più interessanti del nostro tempo.
Come nasce la collaborazione con Arte Fiera, e questo suo sguardo sulla pittura?
Davide Ferri: Arte Fiera è stata la prima fiera che ho frequentato dopo i miei studi universitari, quando iniziavo ad interessarmi d’arte contemporanea, allora era la prima fiera d’arte contemporanea in Italia. Sono legato da un rapporto di stima a Simone Menegoi, che reputo essere il direttore giusto per questa fase di vita della fiera.
Nel 2019 ho curato per la prima edizione di “Courtesy Emilia-Romagna” una mostra che raccoglieva intorno al tema Solo figura e sfondo lavori d’arte moderna e contemporanea provenienti da collezioni istituzionali pubbliche e private della regione.
Quest’anno Pittura XXI raccoglie il lavoro di ventinove artisti importanti, quindici stranieri e quattordici italiani. Due le presenze straniere, Bernhard Knaus di Francoforte e Arcade di Londra.
Con quale criterio sono stati selezionati gli artisti?
Davide Ferri: In accordo con Simone Menegoi abbiamo scelto di lavorare con artisti “mid-career”. Ho chiamato a raccolta artisti con cui ho lavorato in passato, oppure che ho visto ed apprezzato in diverse gallerie. In altri casi ho premiato il lavoro di gallerie che negli ultimi anni stanno facendo indiscutibilmente un buon lavoro di ricerca sulla pittura.
Prima di addentrarci nei dettagli della sezione, può parlarmi brevemente della Sua formazione come curatore? Come nasce l’interesse in particolare per la pittura?
Davide Ferri: Ho una formazione in Storia dell’Arte tutta italiana, anzi emiliana. Dopo la laurea e specializzazione all’Università degli Studi di Parma, ho iniziato a lavorare come curatore, a cavallo fra gli anni novanta e duemila, in un momento in cui la pittura non era più al centro dell’attenzione. Una generazione d’artisti italiani, la mia, viveva il trauma di dipingere dopo gli anni di una pittura muscolare, la Transavanguardia, in cui prevaleva un citazionismo strategico. Al contrario la pittura dopo gli anni ottanta sembrava tenere conto della precarietà e dell’incertezza. Penso, ad esempio, ad artisti come Marco Cingolani, Alessandro Pessoli e Luca Pancrazzi a Milano, Pierluigi Pusole e Daniele Galliano a Torino e Gioacchino Pontrelli a Roma.
In quel periodo era notevole l’isolamento italiano dalla grande pittura internazionale. Questo è in parte legato ad una narrazione dell’arte contemporanea italiana radicata nella contrapposizione fra Arte Povera e Transavanguardia, un lato problematico ma anche affascinante della nostra storia.
A Londra si vedeva dell’ottima pittura in gallerie come The Approach e Sadie Coles, per fare un paio d’esempi. Lo stesso a New York. Artisti molto importanti come Luc Tuymans, Peter Doig, Neo Rauch, Marlene Dumas, John Currin, Elisabeth Peyton, Tal R, erano ancora poco conosciuti in Italia: di fatto, pochi volevano sentir parlare di pittura, e non si sono viste grandi mostre di questi pittori fino a tempi relativamente recenti.
C’è un tema particolare intorno a cui ha costruito Pittura XXI ad Arte Fiera?
Davide Ferri: Non c’è un unico filo conduttore, piuttosto emergono i temi che m’interessano e che reputo importanti nella pittura del nostro tempo.
Può approfondire?
Davide Ferri: Mi ha sempre interessato riflettere su alcuni aspetti della figurazione, una pulsione inevitabile che appartiene a tutti coloro che dipingono. Quando si parla di pittura viene naturale usare ancora le categorie di astrazione e figurazione, anche se ormai si possono considerare obsolete. Da Richter in poi la distinzione fra astrazione e figurazione è diventata molto più complicata, le due categorie sono collassate o hanno confini porosi.
Nel 2015, dopo diverse personali e pubblicazioni, curai con Marco Bazzini La Figurazione Inevitabile, una mostra al Museo Pecci di Prato che in un certo senso mi definisce come curatore. La mostra poneva un problema riguardo al fatto che inevitabilmente la figurazione emerge nella pittura degli artisti della mia generazione.
Nella Figurazione Inevitabile, identificavo due pulsioni: la prima verso una figurazione che nasce come movimento istintivo e involontario da un magma astratto, dove poi idealmente ritorna; la seconda verso una figurazione analitica, una tendenza verso i soggetti ordinari della pittura, i ‘generi’, che tuttavia si pone dei problemi rispetto al senso della figurazione: è il caso di Luca Bertolo, di Beatrice Meoni e Michele Tocca. Anche in molti degli artisti presenti in Pittura XXI mostrano queste tendenze.
Fra questi, vi sono artisti che usano la pittura come supporto all’installazione, che escono dalla cornice?
Davide Ferri: Ci sono diversi casi di pittura che entra nello spazio. Adelaide Cioni, ad esempio, un’artista interessante che lavora con P420 Gallery, presenterà un lavoro di pittura in una proiezione su slide. Il lavoro pittorico di Jonathan VanDyke in mostra da 1/9unosunove, nasce dalla performance, ed ha un modo particolare di relazionare i corpi di spettatore e pittore rispetto al dipinto. I suoi lavori saranno montati su tubi innocenti, già di per sé installativi. Altri artisti entreranno in mostra in forma quasi scultorea. Corinna Gosmaro, in mostra con The Gallery Apart, che lavora a Parigi, dipinge il supporto bidimensionale su fronte e retro, dove il quadro, che non è più spazio organico e coerente di rappresentazione, diventa un oggetto collocato nel mezzo della stanza.
Come emerge la relazione con il paesaggio?
Davide Ferri: Anche questa è una spinta inevitabile, come accade per tutti i generi della pittura. Simon Callery, artista britannico astratto in mostra con la Galleria 1/9UNOSUNOVE, imprime sui suoi dipinti i segni del paesaggio; il paesaggio è nei lavori di Philip Allen e Mark Francis, che lavorano con la Galleria Luca Tommasi.
Si è più volte parlato di morte della pittura, ma nonostante sia stata dichiarata più volte morta sembra oggi godere di ottima salute..
Davide Ferri: Come molti dei nodi che riguardano la narrazione della pittura, andrebbe affrontato e approfondito come problema, non elaborando risposte, almeno questa è la mia prospettiva. L’idea dei cicli di morte e di rinascita della pittura è legata ad un concetto di ‘ritorno all’ordine’ dopo una turbolenza. Ma la pittura è inquieta, problematica, e i pittori sono coloro che più si pongono dei problemi e delle riflessioni rispetto a quello che fanno. Quindi la pittura è a mio parere tutt’altro che un medium ‘ordinato’ e rassicurante, eppure noi continuiamo a parlare di un ritorno ai ranghi.
Se dovesse identificare una tendenza rispetto alla figurazione nella pittura degli artisti emergenti, di una generazione più giovane di quelli che sono nella sezione ad Arte Fiera, quale sarebbe?
Davide Ferri: La pittura degli artisti che oggi hanno dai venti ai quarant’anni, tende spesso verso una figurazione di stampo quasi ottocentesco, che proviene da suggestioni precedenti alla crisi della pittura da cavalletto e alle avanguardie, ovviamente con sensibilità legate al pop, al fumetto o alle serie televisive. C’è un ritorno ad una figurazione più diretta, quasi sfrontata, alla narrazione, che gli artisti della mia generazione evitano. Non c’è la fobia del racconto.
Per concludere, al di fuori dell’Italia, dove sono emerse le istanze più innovative in pittura in anni recenti?
Davide Ferri: Londra resta a mio parere un laboratorio di pittura inesauribile, forse per me il più importante, anche più degli Stati Uniti. Ultimamente anche il Portogallo sta producendo ottimi pittori, insieme a Berlino e Olanda e Belgio.
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