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Annamaria Gelmi: linea, ritmo e spazio dell’immaginazione

Conosco il nome di Annamaria Gelmi (Trento,1943) praticamente da quando mi occupo di arte contemporanea.

Anche se istintivamente lo associo alla sua scultura nel giardino del MART a Rovereto, essendo lei tra le più abili e rigorose scultrici site specific a cavallo tra i millenni, confesso che il periodo che mi intriga maggiormente sono i suoi anni ’70 (poteva essere altrimenti?), quelli che LOOM Gallery offre allo sguardo proprio in queste settimane, a Milano fino al 22 dicembre 2019.

Avevo già avuto occasione di incontrare questo particolare frangente della sua ricerca visiva, ma questa volta il gallerista pone l’accento della mostra nelle pieghe emozionali nascoste in ciascuna linea e in ogni geometria, esaltando le sottili atmosfere che Annamaria Gelmi intrappola su carta, su plexiglas e su acetato.

“Caro Spartaco” si sofferma infatti a ponderare come tratti chirurgici e forme geometriche possano acquisire calore e danzare fino al cuore dello spettatore grazie all’imprinting visionario dell’artista.

Non desidero mettere nero su bianco le sensazioni, meglio affidarsi all’esperienza e avvicinarsi alle opere il prima possibile.
Perciò ecco a voi qualche spunto visivo, le preziose parole dell’artista e un mio caloroso invito alla visita: vi piacerà!

Exhibition view: ANNAMARIA GELMI “Caro Spartaco”, 2019 | Loom Gallery, Milano

L’attuale progettualità della LOOM Gallery desidera approfondire le ricerche fiorite negli anni ’70 in tutta Europa.
Ci racconti come sono stati i tuoi anni ’70, il panorama, le frequentazioni e le esperienze tra Trento, Milano e Calice Ligure?

Annamaria Gelmi: Tornerei indietro di qualche anno ancora, a un periodo davvero considerevole sia per il lavoro che per la mia vita.
Nel 1965 mi sposo con Spartaco, allora studente di sociologia, di origine trevigiana, e nel 1966 nasce nostro figlio Matteo. Matrimonio e famiglia.

Tra il 1967 e il 1968 inizio il lavoro artistico. Ricordo la partecipazione a “Go Home”, una mostra su uno dei temi più discussi del momento, vale a dire l’impegno diretto degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam.

Incontro anche Luigi Serravalli, un personaggio che segnerà per circa un trentennio il mio percorso artistico e soprattutto con cui stringerò una profonda amicizia personale.

Dal 1973 inizio a frequentare Calice Ligure, nell’entroterra di Finale Ligure, famosa nell’ambiente culturale internazionale per via di una comunità artistica impegnata nella ricerca e nella sperimentazione d’avanguardia.

Mi ritrovo pertanto immersa in un clima vivo di fermenti culturali e amore per la produzione artistica mai respirato prima.

Qui conobbi un po’ tutti gli artisti e ci furono anche delle belle amicizie.
Ricordo con affetto Pino Gastaldelli, che faceva giocare mio marito Spartaco nelle partite di calcio “Artisti di Calice contro Artisti di Albissola”.
Il primo artista che incontrai fu Paolo Icaro, poi Scanavino nella sua bella casa, e le sue feste, De Filippi, Brusamolino, Mondino e davvero tanti altri.

Sul fronte della ricerca, in questo periodo avevo iniziato a semplificare al massimo le forme, fino ad arrivare alla geometria pura: la forma e lo spazio erano per me gli elementi base e con essi ho lavorato nello sviluppo della mia opera.
Vi era ogni volta una stretta compenetrazione tra idea (forma – geometria – ritmo) e spazio; l’unione di questi elementi dava la tridimensionalità.

Per me non si trattava semplicemente di forme, non era il quadrato per il quadrato alla Josef Albers, era soprattutto e principalmente una ricerca legata al concetto di spazio, che sviluppavo anche nelle sculture in plexiglas.

I miei lavori di quegli anni erano realizzati attraverso una geometria calcolata in maniera scientifica, tanto che in molti a quel tempo credevano fossi laureata in architettura.
In effetti ho sempre amato il disegno tecnico e mi sono dedicata al suo insegnamento per 15 anni.

Con questi lavori, nel 1978 venni invitata da Giulio Carlo Argan a partecipare alla mostra “Il metacrilato nell’arte”.

Annamaria Gelmi: Sequenza triangolare, 1978
Annamaria Gelmi: Sequenza triangolare, 1978 – Plexiglas, cm 50 x 60 x 20 | Courtesy Loom Gallery & The Artist

Immagino un ambiente frequentato allora da poche altre donne e tutte di grande tenacia. Com’erano i rapporti fra colleghe del mondo dell’arte, non esclusivamente artiste, e che cosa significava all’epoca occuparsi di arte contemporanea, ma anche di ricerca più in generale, per una donna?

Annamaria Gelmi: Nell’ambito degli studi letterari, l’idea che il contributo delle scrittrici vada visto più come un fatto sociologico e di costume, mai come un apporto di valore culturale, è insito nella società fin oltre la metà del ‘900… e vale anche nella pittura.

Negli anni ’70 però le donne si uniscono, formano collettivi femministi, associazioni e spazi espositivi solo per donne: Galleria Intakt a Vienna, Galleria Il Moro a Firenze, Vittoria Surian con i libri d’artista della casa editrice Ejdos a Venezia… ai quali ho partecipato anch’io.

In questo modo inizia un lavoro di visibilità, ma il punto difficile era entrare nel mercato.

I tempi sono cambiati: oggi le donne hanno raggiunto posti di prestigio e sono riconosciute, sia in campo artistico che letterario, quasi al pari dell’uomo.

Annamaria Gelmi: Struttura ambiente, 1976
Annamaria Gelmi: Struttura ambiente, 1976 – China on plexiglas, cm 120 x 80 | Courtesy Loom Gallery & The Artist

Il tuo incontro con la geometria è avvenuto quindi durante gli anni di piombo e in pieno clima concettuale, tra arte povera e fluxus, le prime performance e la poesia visiva.
Quali sono state allora le tue fonti di ispirazione e le motivazioni che hanno mosso la tua ricerca artistica dal figurativo all’astrazione geometrica, sia in pittura che in scultura?

Annamaria Gelmi: I miei elementi essenziali sono sempre stati : linea, ritmo, spazio.
Guardando il Suprematismo di Malevic, il Neoplasticismo di Mondrian e del gruppo di De Stijl, o il Funzionalismo del Bauhaus, il tutto filtrato in seguito da artisti come Max Bill o Josef Albers e, in tempi più recenti, dall’Arte Programmata e dalla Minimal.

Annamaria Gelmi: Doppia Rotazione, 1977
Annamaria Gelmi: Doppia Rotazione, 1977 – Acrylic and china on cardboard, cm 100 x 80 | Courtesy Loom Gallery & The Artist

Nelle opere degli anni ’70 dai vita a forme piene e porzioni delle stesse, immortalate in un etereo fluire all’interno dello spazio del supporto, generando immaginifiche sequenze di infinite possibilità esistenziali di un cerchio, di un triangolo, di un quadrato e delle loro reciproche relazioni.

Più che la genesi delle complesse strutture compositive, mi interessano le atmosfere emozionali che riesci a infondere in ciascuna figura. Da dove vengono?
E soprattutto, come può un quadrato essere leggero, fugace, cupo, immobile, in perenne trasformazione… restando pur sempre un insieme di linee?

Annamaria Gelmi: Partendo da una figura “matrice”, come appunto il quadrato, si svolge sulla superficie trasparente un sottile reticolo assonometrico o prospettico dal quale emergono, marcate con tratto più grosso, le parallele secondo una precisa successione di ritmo.

La lastra di acetato o plexiglas su cui è dipinta l’immagine è considerata da me solo come campo di intervento e non come immagine complessiva, solo supporto dell’immagine la quale si proietta sullo sfondo (muro, alluminio, specchio) che ne riceve la proiezione (ombra) e crea così una situazione di carattere ambientale – tridimensionale.

Il resto lo fa la visione dell’osservatore.

Annamaria Gelmi: Untitled, 1980
Annamaria Gelmi: Untitled, 1980 – Acrylic on canvas, cm. 60 x 50,5 | Courtesy Loom Gallery & The Artist

Chiunque si fermi di fronte a una di queste opere resta incantato nel tentativo di seguire gli sviluppi, indovinare le traiettorie e scoprire le matrici originarie di ciascun tratteggio, totalmente immerso nella narrazione visiva di ogni frammento.
Si tratta dello stesso effetto che ricerchi nelle sculture?
E che cosa cambia nel passaggio figurale da due a tre dimensioni?

Annamaria Gelmi: Come ho detto prima, i lavori su acetato proiettandosi nell’ambiente diventano tridimensionali proprio come le installazioni.
Cerco sempre di realizzare i miei lavori col preciso scopo di aprire un dialogo con lo spazio in cui essi vanno collocati, creando dei percorsi dove le opere interagiscano con l’ambiente circostante.

Exhibition view: ANNAMARIA GELMI “Caro Spartaco”, 2019 | Loom Gallery, Milano

Le tue figurazioni esistono nel momento in cui le realizzi su carta, su acetato e su plexiglas.
Che valore ha questo intenso momento progettuale all’interno della tua ricerca?

Annamaria Gelmi: Sicuramente è il momento più importante, è il momento in cui lavora l’immaginazione che deve vedere l’opera prima che sia realizzata, ed è la fase che amo di più.

Annamaria Gelmi: Ombre 1, 1976 – China su acetato, 180 x 80 cm | Courtesy Loom Gallery & The Artist

Questo particolare periodo mi sembra emblematico della tua concezione dello spazio, in tutte le sue estensioni. Come intendi e interpreti la dimensione spaziale?

Annamaria Gelmi: Mettere un’opera in un luogo significa rompere il punto di vista dell’osservatore, catturandone l’attenzione mediante lo spostamento (straniamento) prospettico dato dall’elemento sintetico-allusivo che si sovrappone, ottenendo una diversa percezione dello spazio.

Alcune opere, come la “Porta” il “Labirinto”, vogliono coinvolgere l’osservatore e sensibilizzarlo a una diversa attenzione, portarlo a vedere con la mente oltre che con gli occhi, invitarlo a entrare, interagire con l’opera e seguirne i percorsi.

Il labirinto indica anche la memoria: come attraverso un filo d’Arianna, è possibile leggere ciò che è stato e ciò che sta accadendo, è un percorso a ritroso per trovare un presente, un’interpretazione per l’adesso.

I miei lavori, sia nell’uso dei materiali sia nella combinazione delle forme, pur richiamando al rigore della geometria vanno oltre, dando origine a un gioco fantastico nello spazio.

Sono luoghi che non includono mai la rappresentazione dell’uomo, ma l’umano è sempre presente in modo indiretto, evocato da porte, labirinti e vari percorsi, come un’architettura che aspetta di essere abitata.
Ho sempre avuto una grande attenzione per l’architettura, una disciplina che ha ispirato tutto il mio percorso artistico.

Annamaria Gelmi: Architettura, 2014
Annamaria Gelmi: Architettura, 2014 – recycled paper, acrylic on canvas, cm 30 x 30 | Courtesy Loom Gallery & The Artist

Invece a proposito della serie di collage del 2010, si tratta di sequenze di figure nere su fondo bianco, o al contrario è il bianco risultante ad avanzare sul nero?

Annamaria Gelmi: Questi collage sono negativo e positivo e il bianco può diventare il nero in ogni momento.

Riflettono il mio interesse per il confine e il limite e si possono avvicinare, pur nella loro differenza, ai miei “Skyline” delle montagne.

Annamaria Gelmi: Elementi componibili, 1975 – plexiglas legno 85x30x10 cm | Courtesy Loom Gallery & The Artist

Giunte a questo punto, forse, possiamo svelare qualcosa sul “Caro Spartaco” del titolo.

Annamaria Gelmi: Ho apprezzato molto il titolo che Nicola Maffessoni ha scelto per la mostra e mi ha fatto molto piacere che abbia colto il rapporto profondo e unico che mi unisce e mi unirà sempre a Spartaco.

Annamaria Gelmi: Rotazione, 1977 – acrilico e china su cartone, 100×70 cm | Courtesy Loom Gallery & The Artist
FONTI e APPROFONDIMENTI:
- sito web ufficiale di Annamaria Gelmi (link)
- “Caro Spartaco” dal 14 novembre al 22 dicembre 2019 – LOOM Gallery, Milano (link)

Alice Traforti

Founder e Redazione | Vicenza
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