Fondata da Marco e Silvia Noire, Noire Gallery a Torino nasce come attività che affianca la passione di una famiglia che da cinque generazioni è attiva, a vario titolo, nel mondo artistico.
Noire nasce in via della Rocca nel 1983, nel 1993 inaugura a San Sebastiano Po, in un ex convento alle porte di Torino, dove accoglie i lavori di Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Sol LeWitt e molti altri che hanno fatto la storia dell’arte da quegli anni. Nel 2006, apre un’altra sede nell’ex distretto finanziario della moda, in un grande e luminoso spazio in stile white cube.
Oggi la galleria, sotto la guida del giovane ‘front man’ Matteo Noire, si propone come laboratorio multidisciplinare di progetti mantenendo una vocazione spiccatamente internazionale e promuovendo gli artisti con mostre e progetti speciali. Ne abbiamo parlato con il gallerista, estendendo il discorso alla sua visione dell’arte e del mercato oggi.
È un periodo di attività intensa per la Galleria Noire: alla vigilia di Artissima avete già inaugurato quattro mostre, può brevemente raccontarmele?
Matteo Noire: In settembre abbiamo inaugurato la stagione con Alfabeta, una personale di Leonardo Mosso. La mostra, in dialogo con BRH+, uno studio di giovani architetti torinesi, coincideva con Graphic Days, una manifestazione diffusa sull’aspetto della grafica, cui l’artista ha preso parte. Fra gli universi esplorati da Mosso, artista complesso con un approccio sperimentale ai temi della ricerca progettuale, c’è quello degli alfabeti. L’artista inventa un sistema di codici come strumento democratico, codici declinati in diverse forme, dai mattoni ai giunti architettonici ai caratteri veri e propri.
La mostra Scose di Paolo Icaro, che si svolgeva in concomitanza con l’antologica a lui dedicata dal GAM Galleria d’Arte Moderna, presentava lavori creati nel 2019, legati ad un dialogo fra la Galleria Noire e l’artista, da sempre accomunati da un legame con la carta. Oltre alle opere, sono stati presentati due libri.
In concomitanza con la art Week torinese abbiamo inaugurato la seconda personale dell’artista britannico David Tremlett in galleria. La mostra fa seguito ai progetti di wall drawings che seguiamo da sei anni in diversi luoghi nelle Langhe, che sono diventati meta di pellegrinaggio artistico. Inoltre è stata prodotta un’edizione limitata, anch’essa in mostra.
Al secondo piano della galleria, So Indolent so Sneaky accosta opere dell’artista svizzero Valentin Carron e del norvegese Gardar Eide Einarsson, che indagano il potere e la mobilità del simbolo.
E il vostro progetto per Artissima quest’anno?
Ad Artissima portiamo un progetto di cui sono molto orgoglioso, il lancio dell’ultima edizione di Jonathan Monk. È un grande lavoro ispirato all’opera Ordine e Disordine di Alighiero Boetti. Poi il lavoro di Mel Bochner, nuovo acquisto della galleria e vera leggenda vivente, con una grande mostra che sta per aprire alla DIA: Beacon, a New York. Poi Shirin Neshat, David Tremlett, Valentin Carron e Nika Neelova, la più giovane artista della nostra scuderia.
Mi parla degli esordi della Galleria, della vostra linea di ricerca, ricordandone qualche tappa fondamentale?
Matteo Noire: Noire Gallery nasce nel 1983, fondata dai miei genitori. La nostra è una famiglia dedicata all’arte da cinque generazioni: i miei trisnonni materni erano artisti, il mio bisnonno era Gigi Chessa, pittore del gruppo dei “i sei di torino”, grande amico di Felice Casorati; entrambi i miei nonni erano pittori, ed Eleonora Duse una prozia.
La nostra linea di ricerca estetica è concettuale e minimale.
Uno degli orgogli della Galleria, è quello di aver scoperto per primi Shirin Neshat, oggi un’icona dell’arte contemporanea e rilevante attivista politica. Proprio in questi giorni s’inaugura una sua grande retrospettiva al The Broad Art Musem a Los Angeles. Con Neshat abbiamo prodotto il primo video che ha abbia mai vinto un Leone D’Oro alla Biennale d’Arte di Venezia, e fu la seconda donna a vincere il premio dopo Marina Abramovic. Questa operazione fu pionieristica perché segnò l’inizio di un mercato allora praticamente inesistente, quello della video art.
Il libro d’artista fa parte del vostro Dna come galleria, da dove nasce questa passione?
Matteo Noire: Mio padre è nato come editore, ed è un vero feticista dell’oggetto libro. Ha realizzato importanti edizioni di artisti fra cui Sol Lewitt, Mario Merz, Giulio Paolini e Giuseppe Penone. Io mi sono appassionato al libro come progetto, mi piace poter lavorare e collaborare con l‘artista mentre sviluppa l’opera.
Quali sono i vantaggi della piazza di Torino per una Galleria come la vostra?
Matteo Noire: Rivolgendoci principalmente ad un pubblico internazionale,Torino rappresenta un’ottima ‘arma’: una bellissima città, con degli splendidi palazzi, si mangia e si beve bene. E ci sono spazi per le gallerie a prezzi ancora relativamente convenienti. Ma detto questo, fra i tanti pregi dei torinesi non c’è quello di guardare al futuro, e a volte trovo frustrante presentare oggi artisti che so che, forse, qui verranno capiti fra parecchi anni.
Quali sono le caratteristiche che un artista deve avere per far parte della vostra galleria?
Matteo Noire: Tutto ciò che muove il nostro giudizio nella collaborazione con un artista è la voglia di raccontare una storia della nostra contemporaneità che valga la pena di essere raccontata. Deve esserci, a monte del lavoro, una storia di vita. Come diceva Robert Indiana: la vita di un artista deve essere due volte più interessante delle sue opere.
Riguardo al collezionismo, quali sono i segmenti di maggiore riferimento per voi oggi?
Matteo Noire: La nostra ambizione rimane quella di avere artisti di tendenza ma anche di mercato, il che significa, spesso, vendere all’estero. Il collezionismo in Italia, in generale, è ancora interessato al post-war italiano. La nostra particolarità, che oggi con la crescita della galleria è diventata una seconda attività, sono le edizioni, che ci permettono fra l’altro di non perdere magazzino, e si possono vendere online. Naturalmente bisogna saperle fare, e noi in questo siamo molto forti di una lunga esperienza.
Quali sono a suo avviso le criticità legate all’attuale proliferazione dellefiere a livello mondiale?
Matteo Noire: La fiera come la conosciamo oggi ha molte dinamiche prese in prestito al mondo dalle fashion week. Questo ha reso il mondo dell’arte più vicino al glamour e all’ entertainment. Questo significa più pubblico, ma anche un sistema dell’arte meno interessante forse, vicino al mercato dei beni di lusso. Mi auguro che le fiere sviluppino sempre di più un’identità con proprie caratteristiche uniche cosi che valga sempre di più la pena viaggiare per vederle.
Appare sempre più importante per gli artisti essere presenti nelle maggiori fiere internazionali, quasi più ambite della presenza nei musei. Pensa che questo eserciti una pressione eccessiva sugli artisti rispetto al lavoro in galleria?
Matteo Noire: Alcuni giovani artisti fraintendono la funzione delle fiere, dove l’oggetto d’arte viene mercificato ma non si crea una narrativa, contrariamente a quello che avviene nella galleria o nel museo. Probabilmente a furia di vedere ‘mega-galleries’ su Instagram si creano delle illusioni, in realtà si tratta di una piccolissima fetta di mercato. Se ci si orienta troppo verso un sistema finanziario, o verso il modello dello shopping mall, non si crea quell’epica, quella storia che fa sì che un collezionista s’innamori e acquisti un’opera.
In un’intervista recente il gallerista Franco Noero ha affermato che «La percentuale di clienti torinesi una volta era altissima, ora sono molto meno. È sparita soprattutto una meravigliosa comunità di collezionisti, che si incontrava, si conosceva e si scambiava informazioni». È d’accordo?
Matteo Noire: Ovviamente per un motivo generazionale di questo mondo ne ho solo sentito parlare. Quello che c’è da sottolineare, a mio parere, è che allora il costo delle opere era decisamente inferiore. All’epoca con il corrispettivo di cinquantamila euro si portava a casa un grande lavoro di Mario Merz.
Il cambiamento nei gusti e nella cultura, e la socialità sul web dove l’importante è condividere foto incessantemente ha cambiato il modo di fruire l’arte, cambierà anche il modo di praticarla?
Matteo Noire: Siamo nel mezzo di una rivoluzione comunicativa senza precedenti, in cui si esperisce l’arte attraverso i social, in particolare Instagram. Se Instagram offre una visione distorta basata sullo scroll, quindi con un’attenzione sull’immagine di pochissimi secondi, ha però educato l’occhio a capire come comporre un’immagine fotogenica, il che fa si che le persone siano molto più aperte nei confronti dell’arte visiva. Grazie ai social, i musei vendono più biglietti, tutti vogliono farsi fotografare vicino ad opere famose.
C’è un possibile, ma parziale, parallelo con la musica che oggi si può ascoltare gratuitamente sul web. Con una differenza sostanziale però: che la musica sul web è propedeutica alla frequentazione dei concerti, che infatti sono pieni. Le gallerie non sono piene.
Per quanto riguarda la pratica, oggi sicuramente c’è più tecnica, le opere sono fatte meglio, ma c’è anche un appiattimento del gusto. Inoltre in quasi tutti i movimenti c’è anche una rilevante sfumatura metropolitana.
In che modo è cambiato il rapporto fra artisti e gallerie?
Matteo Noire: Rispetto al legame veramente stretto che gli artisti potevano avere con la generazione dei miei genitori, oggi il rapporto è più professionale. I nostri artisti sono seguiti da un team perché si cerca, fornendo una serie di servizi che vanno dal sito web alla logistica a servizi grafici e molto altro, di evitare qualsiasi frizione che possa essere considerata “personale”’ per rendere i rapporti il più possibile distesi. Il nostro obbiettivo è di continuare a crescere, quindi cerchiamo di rafforzare questo aspetto dei servizi.
Giuseppe Panza di Biumo, sosteneva che se si ama l’arte non si può che esserne ricambiato anche economicamente, mentre se pensa in termini puramente speculativi e finanziari è difficile che questo avvenga. È d’accordo?
Matteo Noire: Al 100%!
Consiglierebbe oggi a un gruppo di giovani di aprire una galleria?
Matteo Noire: Consiglierei loro di analizzare chirurgicamente il mercato per stabilire se veramente la galleria è la medicina che occorre oggi. Io, che la galleria l’ho ereditata, sto cercando di interpretarla in modo diverso, lontano dall’idea di ‘negozio’. Per questo facciamo tantissime altre attività, dall’organizzazione di progetti ed eventi alla comunicazione per i musei, e collaboriamo con il mondo della moda e della pubblicità, perché queste realtà già prendono in prestito moltissimo dal mondo dell’arte. Quindi chi è più adatto della galleria a gestire progetti che prevedono interventi artistici?
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