SONO PERSONE 8.8.1991 è la scultura pubblica di Jasmine Pignatelli, inaugurata lo scorso maggio sul lungomare di Bari.
“Sono persone, persone disperate. Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro unica speranza”.
Con queste parole, l’8 agosto del 1991 l’allora sindaco della città di Bari annunciava lo spirito di umana accoglienza verso i 20.000 albanesi migranti sul mercantile Vlora.
Jasmine Pignatelli traduce la frase in segni, codificandola in un linguaggio Morse dall’estetica minimalista, con l’intenzione di rendere immortale questo messaggio affinché possa continuare a propagarsi nelle menti e nei cuori, oltre la cruda realtà dei fatti attuali, tenendo viva una coscienza critica collettiva. Una poetica che va oltre la politica, verso il mare.
Nell’era del digitale, dove tutto è affidato all’immagine e all’apparire, la tua narrazione torna all’ABC affidando il messaggio a una scrittura fatta di segni, moduli, forme che si integrano nello spazio.
Da dove vengono questi segni?
Mi chiedo se la loro origine possa essere riconnessa con i tuoi studi di architettura, o al tuo essere cresciuta in Canada.
Jasmine Pignatelli: Il morse, sistema di comunicazione ante litteram, fatto di punti, linee e spazio in combinazione anche ritmica risponde, nel mio caso, all’esigenza di ridurre in geometria, forme e linguaggio.
Per me la geometria è molto di più e si può sintetizzare con una citazione di Osvaldo Licini: “dimostreremo che la Geometria può diventare sentimento…”. Sento di fare mia questa affermazione: la geometria nelle mie opere ha un ruolo fondamentale, da un lato veicolo di organizzazione concettuale e materiale dello spazio, dall’altra, sistema di riferimenti che da apparentemente freddi, razionali, imperturbabili, si trasformano in generatori emotivi, innescando dinamiche relazionali tra forma, tempo, volume e spazio.
Gli studi di architettura hanno un ruolo, certo, ma sono anche il risultato di questa mia attitudine. Il Canada invece ha una funzione diversa nel mio lavoro. Ci sono nata e cresciuta fino all’età di 6 anni, poco per influenzare la mia visione artistica. Ma un giorno di qualche anno fa ho preso consapevolezza della mia appartenenza a quel lontano e quasi sconosciuto territorio. Improvvisamente i miei confini si sono spostati più in là. Ho avuto la percezione materiale di avere più spazio a disposizione, più respiro e il mio lavoro, con più spazio mentale a disposizione, ne ha sicuramente giovato.
Quali sono i tuoi interessi di ricerca e a che cosa ti ispiri?
Jasmine Pignatelli: I miei interessi appartengono ai fenomeni del mondo vitale. E per mondo vitale intendo lo spazio relazionale dialettico tra le cose, il rapporto tra gli individui e la nostra instabile precarietà esistenziale, la fragilità del nostro esistere e la potenza delle relazioni.
I miei riferimenti e le mie passioni artistiche sono molteplici ma si focalizzano su una fase storica precisa dell’arte contemporanea, il periodo in cui si iscrivono le nuove tensioni post informali, l’arte cinetica e programmata, e soprattutto i costruttivismi dei gruppi Zero e Uno, la passione sociale e visuale del GRAV francese e di Francois Morellet.
Ma se devo andare più indietro nel tempo il quadrato nero di Malevič resta un caposaldo dei miei riferimenti. Non un quadrato, ma un “quandrangolo” non perfettamente simmetrico, non propriamente nero, figura inquieta che suggerisce una diversa percezione della forma, del vedere, della costruzione e del movimento e che ha rivoluzionato il mondo dell’arte e il mio.
In molti tuoi titoli compare il suffisso privativo “less”, spesso abbinato a concetti spaziali e temporali. Si tratta di una negazione assoluta o piuttosto di una privazione del limite?
Jasmine Pignatelli: Directionless, Dimensionless, Boundless, Timeless, sono tutti cicli di lavori ancora in progress. Non si tratta di negazione, assolutamente no. È piuttosto una indicazione di lettura per lo spettatore e per me, un suggerimento a interpretare l’opera senza il vincolo del tempo, del confine, dello spazio. Una possibilità che regalo all’opera, appunto come dici tu, di non avere confini stabiliti.
Nella tua ricerca artistica, quale valore ha la memoria intesa come risultante di esperienze sia collettive che individuali?
Jasmine Pignatelli: Quando penso alla memoria, penso a un patrimonio umano, non tanto da difendere e da riportare in vita, ma da tradurre in esperienza collettiva che si fa presente. Penso a una memoria storica collettiva nel quale riconoscersi oggi, nella contemporaneità; eventi e fatti che fanno stringere a sé un popolo e che lo spingono a sentirsi parte del tutto.
Proprio su questo esperimento di memoria condivisa ho pensato “Heimat Sharing the Land”, il nuovo progetto che presento al MusMa di Matera.
Ma la memoria ha per me anche un’altra valenza. È anche la capacità di immagazzinare informazioni, geometrizzando l’assimilazione delle storie. La comprensione della memoria dovrebbe generare una Clavis Universalis, una chiave di accesso a tutto il sapere dell’universo e generare un luogo che contenga tutte le informazioni simultaneamente. Per me la memoria è la ricerca di un Aleph, punto che raccoglie in un unicum simultaneo tutte le storie e le memorie.
Molti tuoi progetti, come questo SONO PERSONE 8.8.1991, sfociano esplicitamente nel pubblico. Deduco che per te l’arte abbia anche una funzione sociale indispensabile (non dispensabile ad altro).
Come si lega la tua estetica a questa funzione?
Jasmine Pignatelli: “Sono Persone”, opera che io credevo ermetica e criptica con tutti quei punti e linee, mi ha regalato invece tante soddisfazioni, ha risvegliato nei baresi un sentimento condiviso di partecipazione collettiva legata a quell’episodio di tanti anni fa che ha segnato la storia della migrazione mondiale. È intervenuta sul piano della memoria, sul piano personale, sociale, collettivo e anche politico. Ha creato dibattito spontaneo e il video documentario prodotto dal regista Francesco Castellani (vedi FONTI e APPROFONDIMENTI in calce – n.d.r.), che ne ha raccontato le fasi di produzione con un corredo di testimonianze e immagini di repertorio, è diventato virale.
Considero “Sono Persone” un memoriale, un’opera che si nutre di memoria e non un monumento, in genere riferito alla celebrazione di un episodio. Seguendo la lezione di un caro amico e maestro da poco venuto a mancare, Nicola Carrino, ogni azione che interviene nello spazio riorganizzandolo, ha una connotazione politica intesa come trasformazione dello scenario relazionale dialettico tra le cose e le persone e quindi inevitabilmente svolge funzione sociale.
Nello specifico, perché utilizzare il codice Morse per parlare alle persone di persone?
Jasmine Pignatelli: Il morse richiede una sintesi del linguaggio e del pensiero. Non si possono affrontare lunghi discorsi, la parola deve essere diretta, precisa, compatta. Ho sempre notato che questo avvicina il pubblico all’inizio come in un gioco, poi accade il miracolo: si chiedono il perché di quella parola, perché celarla e perché propagarla nell’etere. E improvvisamente la parola diventa importante, viene analizzata e si entra in empatia con essa originando più lunghi discorsi.
Mi è capitato diverse volte di associare ad una scultura in morse una trasmissione nell’etere con suono amplificato. È accaduto nel 2017 a Laterza con il lancio morse delle coordinate geografiche del piccolo Comune con l’obiettivo di renderlo centro del mondo.
Questo agosto il Comune di Bari ha celebrato l’anniversario dello sbarco della nave Vlora con la mia performance: dall’ex Teatro Margherita, ora Polo del Contemporaneo, con i radioamatori A.R.I. sez. di Bari abbiamo lanciato il segnale morse che recitava la frase “Sono Persone” pronunciata dall’allora sindaco Enrico Dalfino e collegata alla scultura sul lungomare.
Il segnale ha raggiunto parti remote del pianeta superando barriere, muri, pregiudizi e viaggiando con il suo significato carico di umanità. Il pubblico ha partecipato con grande emozione a questi eventi e soprattutto ho potuto raggiungere, simbolicamente e praticamente, persone lontane che a loro volta hanno amplificato il senso e il valore del messaggio.
Quali sono i tuoi prossimi progetti? In particolare, vuoi parlarci di HEIMAT, la tua prossima personale al MusMa di Matera?
Jasmine Pignatelli: Si inaugura il 12 ottobre in occasione della XV Giornata del Contemporaneo ed è curata da Tommaso Evangelista. È un progetto pensato in due anni per il museo di Matera ed è realizzato con la collaborazione degli studenti della sezione F del Liceo Classico Giuseppe Tarantino di Gravina di Puglia (BA), impegnati al MusMa in un progetto di Alternanza scuola–lavoro.
Heimat è un esperimento di arte condivisa, un racconto, un progetto in divenire che raccoglie in un cubo di metallo tredici manciate di terra provenienti da luoghi simbolo della recente storia di Italia e che hanno contribuito alla creazione di una coscienza critica e spirito civico: uno “sharing the land” collettivo e condiviso in cui si celebra l’appartenenza a una ideale Heimat, complessa parola tedesca traducibile come “Patria” e dalla forte componente emozionale, emotiva e sentimentale.
A Matera, tra le altre, si mescoleranno le terre del pozzo di Alfredino, della scuola di Barbiana di Don Milani, la terra che accoglie le radici dell’albero dedicato a Giovanni Falcone o dell’idroscalo di Ostia dove trovò la morte Pasolini. Ma anche terre come quella dell’orto di nonna Zita che con Alice Zannoni ha scritto “l’Arte contemporanea spiegata a mia nonna”, o del Museo d’arte all’aperto di Morterone.
È una mostra ad alta intensità poetica. Il catalogo avrà anche i contributi dei 18 studenti coinvolti e sarà prodotta una speciale edizione di Art Bag, la Busta d’Artista con sorpresa, contenente le terre di Heimat.
FONTI e APPROFONDIMENTI: - sito ufficiale dell'artista Jasmine Pignatelli (link) - Teaser del lancio “Sono persone” (link) - Documentario “Sono persone”, regia di Francesco Castellani (link)
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