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T-yong Chung: The subject as space

Inaugura il 16 settembre a Milano T-yong Chung: the subject as space, prima personale dell’artista presso la Galleria Renata Fabbri a Milano. Nato a Tae-Gu, Corea del Sud, nel 1977, T-yong vive e lavora in Italia da sedici anni, e non solo per questo ama definirsi un artista italo-coreano. Nel suo lavoro sensibilità distintamente orientali convivono con l’interesse per la cultura classica, la storia e la tradizione italiane ed europee, sondate ed interpretate attraverso una pratica molto originale d’impronta concettuale.

In mostra sono esposti una serie di calcografie e le iconiche sculture dell’artista, busti tratti dalla classicità greco-romana e ritratti di personaggi contemporanei. Realizzati in diversi materiali come bronzo, ceramica, cera, resina e gesso, i loro volti sono in parte rimossi, “cancellati” con un taglio netto, fatto a mano. “Il mio lavoro- spiega T-yong- è basato su un gesto semplice, la cancellazione dell’immagine perfetta per trovare il vuoto, che per me corrisponde a bellezza interiore”.

In questa intervista, realizzata nello studio dell’artista, T-yong Chung racconta come vuoto, spazio, luce, rimozione e cancellazione dell’immagine siano i concetti-cardine attorno ai quali si struttura una ricerca vissuta come pratica introspettiva e meditativa.


“Joo Kim”, 2018, Bronzo, Courtesy by Renata Fabbri Arte Contemporanea

Com’è nata la tua passione per l’arte classica e com’è nata l’idea di intraprendere un “Grand Tour” in Italia per conoscerne il patrimonio artistico?

Ho conosciuto in parte, durante gli studi in Corea, la cultura classica, soprattutto Rinascimento e Barocco. Ma quando sedici anni fa sono arrivato in Italia, ho cercato di guardare questa tradizione con gli occhi di un bambino, ricominciando da zero. L’ho assimilata respirandola, guardandomi intorno. La mia prima tappa è stata Firenze, poi Carrara, all’Accademia, per studiare scultura in marmo e granito. Ho concluso poi la mia formazione all’Accademia di Brera.

In Accademia ho anche avuto una formazione concettuale. Il mio percorso è iniziato con il recupero di oggetti come ferri arrugginiti, sedie rotte, utensili usati come ready made Duchampiano. Lo stesso vale per i gessi recuperati dalla gipsoteca. Ultimamente il mio lavoro ha preso una nuova direzione con i ritratti dal vivo delle persone intorno a me, in fondo considero anche questa una forma di ready-made.


“Somebody around column”, 2019, Ceramica, Courtesy by Renata Fabbri Arte Contemporanea

Tuo padre è uno scultore. Ha influenzato le tue scelte artistiche?

Si’ e no. Sì nel senso che siamo entrambi scultori, quindi sono cresciuto in mezzo alla scultura; no perché lui lavora nella tradizione moderna, e dunque abbiamo stili molto diversi.

Hai più volte citato, oltre al classicismo, l’influenza di Arte Povera e Minimalismo nel tuo lavoro. Puoi approfondire?

Del Minimalismo, mi ha influenzato il concetto “less is more”, quindi la ricerca alle radici di una bellezza pura. Il mio lavoro è basato su un gesto semplice, la cancellazione dell’immagine perfetta per trovare il vuoto, che per me corrisponde a bellezza interiore.

Per quanto riguarda l’Arte Povera ammiro molto Giuseppe Penone, che da un albero morto ne fa nascere uno vivo, un gesto semplice che veicola un messaggio molto forte.

The subject as space, Galleria Renata Fabbri Arte Contemporanea, Milano. Veduta della mostra.

Hai spesso parlato dell’importanza del gesto …

Certo, perché il mio lavoro è una “pratica” personale, come una forma di meditazione.

…e del vuoto interiore, concetto fondamentale per la cultura Orientale, forse meno per quella occidentale.

Non è una questione di cultura occidentale o orientale, per entrambi questo concetto di “vuoto” è importante. Parlerei piuttosto di cultura materialista e non-materialista. Se si attribuisce al vuoto un significato materialistico, questo assume una connotazione negativa, è sinonimo di paura.

Nel pensiero non-materialista, anche in Occidente, il vuoto ha un significato positivo. Per esempio, S. Francesco d’Assisi si spogliò di tutto quello che era materiale, ma da questo vuoto materiale ricevette in cambio una grande felicità.

Io rimuovo parte dell’immagine sottraendo materia ai busti di gesso con un macchinario industriale. Quello che resta è il vuoto e la traccia (mai uguale proprio perché il processo di rimozione è manuale) del mio gesto di cancellazione, del momento in cui compio questo gesto, che è sempre intuitivo. Il vuoto in senso non materialistico è pieno di possibilità.


“Contatto (Pieve di Cadore)”, 2018, calcografia sul tessuto, Courtesy by Renata Fabbri Arte contemporanea

La tua leggerezza concettuale nel ricercare l’essenza delle cose, l’importanza del gesto e della semplicità nell’ideazione ed esecuzione dell’opera sono però elementi che fanno pensare a influenze orientali…

Sicuramente c’è un legame con il Buddismo Coreano. I concetti di spazio interiore e di cancellazione di immagini (illusioni) si collegano alla tradizione Zen, che in Oriente ha molte ramificazioni. Quando lavoro sui busti, il gesso, al momento del taglio, si polverizza nello spazio e questo mi da’ una sensazione forte, di “lasciare andare”.

 Quando faccio un ritratto, naturalmente cerco per quanto possibile di farlo uguale al soggetto, e questo mi crea ansia, stress. Cancellare significa lasciar andare questo stress, fare il vuoto dentro sé, un momento di abbandono. Io cancello e lascio andare, un concetto importante.

Nel vuoto c’è un’energia infinita. Ad esempio, ti sarà capitato di avere un blocco mentale mentre stai scrivendo qualcosa per cui hai studiato tanto. È più probabile che l’ispirazione arrivi mentre fai tutt’altro. La creatività arriva dall’energia del vuoto.

The subject as space, Galleria Renata Fabbri Arte Contemporanea, Milano. Veduta della mostra.

Mi puoi parlare delle tue opere bidimensionali? Come dialogano scultura e disegno?

In entrambi il tema è sempre lo spazio. Le opere bidimensionali sono calcografie su carta fatta a mano, utilizzando il torchio. Ho realizzato disegni di oggetti, piccoli contenitori, ad esempio una borraccia o alcuni contenitori per il cibo d’uso comune in Corea, che hanno in comune di racchiudere uno spazio vuoto.

Ho scelto di rappresentare questi piccoli contenitori perché il vuoto e lo spazio che io voglio rappresentare sono intimi, interiori, non lo spazio esterno infinito come poteva essere, ad esempio, quello di Fontana. 

Stampo due matrici dei disegni sullo stesso foglio, in modo che la traccia degli oggetti si sovrapponga parzialmente, creando un incontro, uno spazio comune.

Ho voluto ricreare quello che accade in un incontro felice fra persone, dove entrano in gioco tre spazi, due individuali e uno comune. Se gli spazi non s’incontrano, se non si crea uno spazio comune, non è un buon incontro.


“Contatto” , 2018, Printmaking on handmade paper & flamed, 58 x 78cm(x2), Courtesy by Renata Fabbri Arte contemporanea

Hai realizzato anche un paio di performances. In che modo la performance si lega al tuo lavoro in generale?

Perché anche le mie performances sono una forma di pratica meditativa e introspettiva. Ad esempio a New York per la Asia Contemporary Art Week nel 2016, ho presentato all’Asia Society Museum un video e una performance in cui assumevo due posizioni di yoga, che pratico tutti i giorni, una normale e una (nella performance) ribaltata a testa in giù. In un certo senso noi viviamo la nostra vita uscendo da noi stessi e ritornando in noi stessi, con la performance volevo mostrare questo.

Hai detto in una precedente intervista che ti piace la casualità nel lavorare con il bronzo, che ti coinvolge. Potresti approfondire?

Mi piace la casualità della patina, l’ossidazione è sempre diversa.

Hai iniziato ad usare il colore nel tuo lavoro solo recentemente, che cosa rappresenta il colore per te?

La luce. All’inizio ero molto cauto con l’uso del colore perché rappresenta un elemento in più. Non amo il colore invadente, cerco colori naturali.  Gradualmente ho introdotto i colori primari, rosso, verde e blu, che mischiandosi formano il bianco. Sono i colori della luce.

Ritorniamo ai concetti energia e spazio. La luce è spazio ed energia, così diceva Nikola Tesla, lo scienziato serbo-croato da cui prende il nome la famosa macchina elettrica, in una bella intervista realizzata nel 1899. Tesla pensava che tutta la materia, la natura e gli esseri viventi sono espressione dalla luce. Nell’intervista esprime concetti quasi mistici a proposito di spazio e luce, concetti che appartengono anche al Taoismo e Buddismo.

The subject as space, Galleria Renata Fabbri Arte Contemporanea, Milano.

Un concetto importante nel tuo lavoro è il recupero di oggetti trovati per sottolineare che il loro passato è importante. Puoi approfondire questa idea?

Come ti dicevo prima è un concetto Duchampiano, dare nuova vita a cose che hanno un passato. Il mio approccio però è molto diverso, io tolgo la ruggine. L’idea della rimozione della ruggine deriva da un mio episodio di vita. Da piccolo possedevo una bicicletta che con l’uso si era tutta arrugginita, era diventata brutta. Per questo chiedevo insistentemente a mio padre una bicicletta nuova. Mi insegnò che lucidandola con una paglietta, poteva tornare come nuova. Fu una vera rivelazione.

Arrivato in Italia, iniziai a raccogliere ferri arrugginiti in campagna, da principio senza bene sapere che cosa farne; poi ho iniziato a rimuovere la ruggine; con un gesto personale recuperavo la loro origine, riportavo alla luce la loro storia, insieme a quella degli uomini che li hanno usati.


“Untitled 1”, 2012, ferri arrugginiti parzialmente lucidati, installazione misura vari, Courtesy by Artist

Approfitto per chiederti: che rapporto hai con la storia?

È la mia passione, sia quella classica che moderna, occidentale e orientale. Studiandola entro in contatto con il passato. Per questo anche l’archeologia mi appassiona.

Come ti rapporti ai diversi materiali?

Ogni materiale ha il suo carattere e va rispettato. Non è così per tutti gli artisti, alcuni danno più importanza al concetto che alle caratteristiche di un materiale.

Sono molto critico nei confronti di chi usa un materiale senza conoscerne le proprietà e la tradizione. Inoltre lo studio di un materiale e delle sue possibilità è per me una fonte di creatività.


“Traccia 14(Ceramica)”, 2019, Ceramica, Courtesy by Renata Fabbri Arte contemporanea

C’è un messaggio specifico, che vorresti trasmettere attraverso il tuo lavoro?

Io cancello le immagini di personaggi importanti per la Storia perché credo che ogni giorno ne nascano altri che in un domani saranno importanti, e forse questo è il mio messaggio positivo per il futuro.

 In primo luogo la mia è una pratica personale, se poi qualcuno riesce a cogliere sensazioni positive dal mio lavoro mi fa piacere.

Ritieni che la globalizzazione dell’arte sia un fatto positivo?

Positivo e negativo. Positivo perché da’ la possibilità di fare circolare il lavoro, il pensiero e l’energia di tanti artisti che altrimenti non avrei conosciuto. Negativo perché il circuito globale delle fiere esercita sugli artisti e i galleristi moltissima pressione, bisogna vendere subito, altrimenti si è tagliati fuori. L’arte è un percorso infinito, non una corsa con un traguardo immediato.

Un desiderio per il futuro?

Sono cittadino coreano, anche le mie radici culturali sono legate al mio paese, ma di fatto la mia formazione è avvenuta qui, in Italia. Vorrei essere considerato un artista italo-coreano.

Alessandra Alliata Nobili

Founder e Redazione | Milano
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