Una poltrona in silicone bianco si anima improvvisamente quando un lungo tubo di gomma, fissato alla seduta, saetta fuori controllo come una frusta impazzita. Il tubo, mosso da un getto d’aria compressa, batte violentemente contro il box trasparente che protegge gli spettatori dall’ essere mutilati, ma non da saltare in aria per lo spavento.
Un imponente braccio robotico è rinchiuso all’interno di una gabbia trasparente come un animale esposto allo zoo. Il braccio si flette irrequieto e aggraziato nell’inutile tentativo di contenere un viscoso liquido rosso sul pavimento della gabbia, mentre telecamere sul soffitto riprendono le reazioni degli spettatori.
Non potevano passare inosservate le installazioni Dear ( 2015, all’Arsenale ) e Can’t help myself ( 2016, nel Padiglione centrale ai Giardini ) di Sun Yuan e Peng Yu, duo nell’arte e nella vita invitato dal curatore Ralph Rugoff alla 58a Esposizione Internazionale d’Arte. Sun e Peng vivono e lavorano a Pechino, e sono fra gli artisti di punta oggi in Cina. Iniziano a collaborare alla fine degli anni novanta all’interno di una delle correnti artistiche più dissacranti, i “Beijing Shockers”. L’ossessione per la morte, per la vecchiaia, la violenza e i nodi problematici della società globale sono temi che trattano in modo estremo.
All’inizio del nuovo millennio le loro opere sono state al centro di polemiche per l’uso di materiali scioccanti, fra cui animali vivi e cadaveri umani, utilizzati con virtuosismo tecnico in modi fantasiosi. Fra le installazioni più controverse sul tema della morte ricordiamo una composizione di pesci e crostacei morenti parzialmente murati nella parete di una galleria ( Sun Yuan, Acquatic Wall, 1998) e i lavori con cadaveri mummificati come Honey (Sun Yuan, 1999), un feto teneramente accoccolato accanto al volto di un vecchio mummificato che affiora da un letto di ghiaccio. Insieme hanno messo cani da combattimento ad affrontarsi muso a muso sopra una fila di tapis roulant (Dogs that cannot touch each other, 2003), e hanno coperto una colonna di tre metri con uno strato di grasso umano, raccolto nelle beauty farms. (Civilization Pillar 2001-5).
Nelle opere più recenti la tecnologia e materiali sintetici sostituiscono quelli organici, senza abbandonare gli effetti ad alto impatto d’adrenalina. Incontro, gli artisti in Biennale, non senza una certa apprensione data la loro fama di “Enfants Terribles” dell’arte cinese, e scopro invece una coppia spiritosa, disponibile a parlare a tutto tondo del proprio lavoro.
In una precedente intervista, avete affermato che “Can’t help myself”, [ ‘non riesco a trattenermi’ N.d.R.], l’installazione high tech per il padiglione centrale dei Giardini della Biennale di Venezia, vuole provocare “gioia e panico” allo stesso tempo. Potreste spiegare perché?
Sun Yuan: Quando proviamo panico oppure gioia, il nostro corpo produce sostanze simili, come dopamina e adrenalina: varia solamente la quantità. Per spiegarmi meglio farò un esempio. Con un amico filosofo, abbiamo immaginato cosa succederebbe se sentissimo il un dinosauro urlare dietro casa. Ovviamente dovremmo prendere una decisione veloce. Il mio amico sosteneva che sarebbe fuggito, io che probabilmente sarei restato. Se fossi fuggito, avrei perso un’occasione unica di sapere com’è fatto un dinosauro, pur essendo consapevole del rischio di essere mangiato. Il dilemma era doppio: se fossi stato mangiato, e solo, nessuno avrebbe comunque saputo com’è fatto un dinosauro. Si tratta di una situazione ipotetica in cui si prova eccitazione e paura contemporaneamente. Con “Can’t help myself”, volevamo riprodurre un’esperienza simile.
L’opera è anche una metafora della paura di un futuro sconosciuto? Il liquido rosso richiama il sangue e i movimenti fluidi della macchina sembrano quelli di un animale maestoso e un po’ ansiogeno…
Sun Yuan: Non era la nostra prima intenzione, ma il lavoro può provocare questa sensazione. In realtà il liquido a noi ricorda più la marmellata di fragole, ma molte persone lo interpretano come sangue. In definitiva, a noi vanno bene entrambe le interpretazioni.
Molti dei vostri lavori, incluso “Can’t help myself”, riguardano il concetto di ‘controllo’.
Sun Yuan: Sicuramente, il controllo è un problema che tutti noi esseri umani dobbiamo affrontare. I due problemi fondamentali cui l’umanità ha dovuto far fronte sono sopravvivenza e evoluzione. Risolto il primo, resta da affrontare come continuare ad evolverci, e in questo processo l’idea di ‘controllo’ è di fondamentale importanza. “Can’t help myself” affronta anche questo aspetto. La macchina è uno strumento che esegue i nostri ordini. Contemporaneamente, controlla anche i propri movimenti, che sono armoniosi ed eleganti, perché se fossero disordinati non sarebbero efficaci nel contenere il liquido che scorre in tutte le direzioni. Quindi questa macchina rappresenta per noi esseri umani un modello ideale di controllo.
L’idea di un domani controllato dalle macchine e dall’intelligenza artificiale vi mette a disagio?
Sun Yuan: Non sta a noi preoccuparci per il futuro, questo fardello riguarda chi verrà. Noi per loro saremo il passato. Per quanto riguarda un futuro controllato dalle macchine, se potessimo tornare all’età della pietra e consegnare un cellulare a un uomo delle caverne, si sentirebbe minacciato come capita a noi con le nuove tecnologie.
Nella vostra installazione attualmente in mostra alla Galleria Continua di San Gimignano esponete due opere in stile iperrealista, “I didn’t notice what I’m doing“, sculture a grandezza naturale che riproducono un rinoceronte e un tricerapoto, e “Teenager Teenager” che mostra un uomo ben vestito seduto su un divano con la testa incastrata un grande masso. Questi lavori vengono messi in dialogo per la prima volta. In che modo interagiscono tra loro?
Sun Yuan: Non ha importanza il modo in cui le opere interagiscono, ma il concetto che le unisce, esemplificato dal titolo: “I didn’t notice what I’m doing ” [non ho notato cosa sto facendo N.d.R.]. Per conoscere il mondo e sopravvivere, noi esseri umani abbiamo sviluppato l’intuito prima ancora della conoscenza e dell’esperienza. Ma anche l’intuito alle volte c’inganna, perché molte cose che intuitivamente sembrano correlate, in realtà non lo sono affatto.
Oggi l’intuito appartiene principalmente al mondo animale. Agli esseri umani moderni non serve più. Ma per gli artisti è ancora molto importante, in loro l’intuito è molto sviluppato. Quindi, come suggerisce il titolo, questi lavori sono messi in relazione intuitivamente.
Questo anche perché lasciate spesso il significato del vostro lavoro aperto a più interpretazioni possibili, mi pare.
Peng Yu: Tutti gli artisti dovrebbero tenere il significato dell’opera aperto e lasciare che gli spettatori facciano il resto. Tuttavia, il mondo che conosciamo è necessariamente costituito da punti di vista, senza i quali sarebbe difficile dare un senso al mondo. Ogni volta che agiamo, dobbiamo crearci una prospettiva da cui costruire le nostre azioni, così come lei ha sicuramente una prospettiva per l’articolo che sta scrivendo. Ciò non significa necessariamente che la prospettiva che scegliamo sia quella giusta.
Ad esempio, in “ I didn’t notice what I’m doing ” un triceratopo e un rinoceronte sono messi l’uno accanto all’altro e la prima percezione è che i due animali appartengono alla stessa specie, per la somiglianza fisica; di fatto, da un punto di vista evolutivo non hanno alcuna relazione. Questa è l’angolazione da cui abbiamo affrontato il lavoro, ma ovviamente molti potrebbero interpretarlo diversamente.
Vi siete diplomati alla prestigiosa Central Academy of Arts di Beijing in pittura ad olio. Ma la vostra pratica artistica è andata in tutt’altra direzione. L’esperienza dell’Accademia come ha formato la vostra attuale pratica?
Peng Yu: La nostra pratica attuale non ha nulla a che vedere con la nostra esperienza passata, sono collegate solo nel senso che abbiamo deciso di prendere esattamente la direzione opposta!
Sun Yuan: Io ho un bel ricordo dell’università. Allora in Cina le regole erano molto rigide. A differenza di oggi, era permesso studiare una sola materia, non si potevano studiare contemporaneamente, ad esempio, pittura e scultura. Io avevo scelto pittura contemporanea. Poi scopersi che non m’interessava: volevo capire cos’è l’arte, studiarla in tutte i suoi aspetti.
Per questo motivo, smisi di frequentare le lezioni e di dare esami, e dedicavo il mio tempo a giocare a basket. Quindi non avevo voti. Fui chiamato dal mio professore, che mi chiese perché non dipingevo. Invece di rispondere, iniziai a chiedergli perché solo la pittura era considerata arte, e che cosa era “l’arte”. Era un professore di mentalità molto aperta, e mi rispose con franchezza: all’Accademia non mi avrebbero insegnato cos’era, ma solo le tecniche per praticarla. Ma rimase così impressionato dalle mie domande che decise di darmi un buon voto anche se non avessi consegnato alcun lavoro…
Ho letto che fin da bambino usava l’arte per ribellarsi a suo padre.
Sun Yuan: Già da bambino volevo controllare il mondo…Ma scopersi presto che le uniche cose che sono in grado di controllare sono una matita e un pezzo di carta… Con questi strumenti però, posso fare qualsiasi cosa, questo è il mio modo di ribellarmi e di esprimermi.
Il vostro lavoro alla fine degli anni ’90, è stato definito in Cina “Shock art”, e voi come parte del gruppo “Beijing Shockers”. La vostra era in parte una reazione alla pittura del “Realismo Cinico” e del “Political Pop”, percepiti come forme d’arte ‘commerciali’?
Sun Yuan: Come tutti i nuovi movimenti artistici, non penso che questi movimenti fossero commerciali all’inizio, finché non iniziarono ad essere oggetto di consumo e divennero ripetitivi.
Peng Yu: Appena laureati, la nostra “arte scioccante” si ribellava contro l’idea che la pittura fosse considerata l’unica forma d’arte. All’epoca l’arte contemporanea cinese si concentrava sulla pittura a olio e sul disegno, o comunque su opere da appendere al muro. Allora la pittura iniziava ad essere commerciale, quindi abbiamo trovato altri modi di esprimerci.
Potreste parlarmi del clima artistico a Pechino verso la fine degli anni ’90? Ad esempio, in relazione alla mostra “Post Sense and Sensibility Alien Bodies & Delusion“, organizzata a Pechino nel 1999 dal curatore Wu Meichun e dall’artista e curatore Qiu Zhijie, considerata oggi un momento importante per la nascita di una nuova avanguardia in Cina, quando gli artisti introdussero cadaveri ed esemplari di animali morti come principale veicolo d’ espressione per provocare sensazioni forti e dirette.
Sun Yuan: All’epoca in Cina non c’erano gallerie o musei, l’arte contemporanea era totalmente underground. Anche noi allora eravamo sconosciuti. Potevamo allestire solo mostre di un giorno in scantinati di palazzi residenziali, dove i controlli erano minori. Quando la polizia ci scopriva, chiudeva queste mostre e dovevamo fuggire.
Le cose che ci interessavano allora erano quelle al di fuori della nostra esperienza: percorrere vie inesplorate lasciava maggior spazio alla nostra immaginazione, e come abbiamo detto prima, stimolava contemporaneamente sensazioni di piacere e di apprensione.
Era molto difficile reperire i cadaveri che usavate nelle vostre installazioni o performances in Cina a quei tempi?
Peng Yu: Non era facile, li prendevamo in prestito nelle università mediche, che in Cina hanno spesso sede negli ospedali.
Ho letto che Peng Yu ha avuto un’esperienza sconcertante durante una delle prime visite a un obitorio in uno di questi ospedali, quando vide un tappeto di teste umane sul pavimento…
Peng Yu: Sì, da principio ero sotto shock. Mi sono tranquillizzata quando è arrivato il responsabile dell’obitorio, e poi un neurochirurgo che aveva in mano una testa e tornava nel suo ufficio per fare una dissezione anatomica. Forse il medico l’indomani doveva fare un intervento chirurgico su un uomo vivo, e il pensiero era abbastanza inquietante.
In alcuni dei vostri pezzi che utilizzavano cadaveri sembra esserci un sentimento quasi di tenerezza, penso a lavori come Honey (1999) e Oil of Human Being (2000), ad esempio.
Peng Yu: In quel periodo l’idea della morte, dell’inconoscibilità del domani, ci ossessionavano, era quasi una forma d’innamoramento per questo tema. I lavori che ha citato s’ ispiravano a questo, erano il nostro modo di abbracciare il futuro. Dopo queste opere, “Civilization Pillar“, nel 2001, ha segnato un importante cambiamento di direzione. Prima di allora i materiali che usavamo erano deperibili e trasmettevano dei sentimenti in modo molto diretto. Con “Civilization Pillar” abbiamo letteralmente ‘estratto’ il significato del lavoro attraverso un processo chimico, lo stesso che si usa per estrarre il sapone dal grasso. Da quel momento abbiamo iniziato a incorporare la chimica nel nostro lavoro, anche per poterlo conservare al meglio, e a collaborare con scienziati. La madre di Sun Yuan è una chimica.
Alcune delle vostre opere nelle quali avete utilizzato animali vivi, come Curtain e Aquatic Wall, hanno suscitato molto scalpore alla fine degli anni ’90 e inizio 2000. In questi lavori sembra esserci uno stretto legame fra il concetto di morte e il consumo di cibo. La vostra era una critica al boom consumistico che esplodeva in Cina in quel periodo?
Sun Yuan: Sicuramente quei lavori sono stati influenzati dal consumismo. Tuttavia sfruttavano il consumismo come strategia per trovare il modo di entrare in un argomento molto ‘sensibile’, quale è la morte. Spesso quando siamo davanti a qualcosa che non vogliamo affrontare, tendiamo a metterlo da parte, ad attuare una “sospensione del giudizio”, per usare un termine filosofico. Quindi come invitare la gente a ragionare su questi problemi? Come fare entrare gli spettatori nel lavoro? Ad esempio, costruendo un’atmosfera particolare intorno a questo argomento, una scena allo stesso tempo bella e drammatica, usando quello che la gente consuma.
Anche il video della performance Dogs That Cannot Touch Each Other esposto al Guggenheim di New York nel 2017 e rimosso dopo pochi giorni dall’apertura a causa delle proteste del pubblico, ha suscitato molte polemiche in America. Pensate sia stato frainteso? Potete commentare?
Sun Yuan: Dogs That Cannot Touch Each Other è stato sicuramente il lavoro che è stato meno capito. Ma non mi dispiace l’equivoco, anzi. Il lavoro non intendeva affatto maltrattare gli animali, piuttosto proteggerli, evitare che i cani si ferissero a vicenda. Li abbiamo protetti dalla loro stessa aggressività, senza però esercitare un controllo, lasciando che si sfogassero, perché l’aggressività è un fatto naturale.
Penso che ognuno abbia un lato oscuro e abbia la necessità di esternarlo e sfogarsi. Con questo lavoro non volevamo parlare di ‘aggressività’ in sé, piuttosto presentare un problema. Il lavoro ha dato la possibilità a chi guardava di esprimere la propria aggressività. Durante la mostra ricevemmo nella posta elettronica migliaia di email da parte di persone che ci insultavano pesantemente, inviando messaggi veramente orribili.
Un famoso scrittore francese, Gustave Le Bon, in Psychologie des foules scrisse che gli esseri umani quando compiono collettivamente cattive azioni, attuano strategie che le presentano come buone e accettabili. Come ad esempio accade nei giochi Olimpici, che sublimano in gara civile una competizione aggressiva. Chi ci scriveva i peggiori insulti, non ci feriva fisicamente, lo faceva in un modo per così dire ‘legale’, nascondendosi dietro allo schermo di un computer. Ma proprio per questo usciva una cattiveria ancora peggiore. In realtà era la migliore reazione che il nostro lavoro potesse ottenere, in quanto rispondeva perfettamente al significato dell’opera stessa.
Una domanda per Peng Yu: In occidente, almeno in Italia, non abbiamo avuto molte opportunità fino ad ora di vedere mostre personali di artiste cinesi. Qual è la situazione attuale in Cina in questo senso?
Peng Yu: Non credo che molte donne artiste in Cina attualmente siano in grado di gestire una mostra personale. Non è perché io sottovaluti le donne, al contrario, ma è la verità, è molto difficile.
È forse perché hanno meno possibilità di frequentare le Accademie o per altri motivi?
Peng Yu: Mi viene spesso chiesto perché ci siano poche artiste in Cina. Penso che non sia un problema di diritti civili, credo che abbia più a che fare con l’idea d’indipendenza. La società cinese in generale, e non solo le donne, non è individualista come quella occidentale. Quindi se uno non ragiona individualmente, come può esprimere un proprio punto di vista? La causa risiede quindi più nell’ambiente sociale che in quello artistico. Mi auguro che questo possa cambiare.
Pensate che l’arte possa veicolare delle idee che, anche in modo indiretto, si traducono in forme di trasformazione sociale?
Sun Yuan: No. Non lo penso.
Peng Yu: Io penso che forse con le nostre opere possiamo influenzare il linguaggio dell’arte cinese, ma certamente non trasformare la società.
Quando visitate le mostre di altri artisti, cosa vi attira maggiormente?
Peng Yu: Quando trovo qualcosa che risuona con il mio lavoro.
Sun Yuan: Per me non è così, è meglio quando vedo qualcosa che non ho mai visto prima, o che non capisco.
Peng Yu: Ma c’è qualcosa che non capisci?
Sun Yuan: Poco. Ad essere sincero vedo sempre meno cose nuove che mi esaltano, anzi mi annoio, devo guardare al di fuori dell’arte per trovare qualcosa che m’ispiri.
Dal momento che siamo alla Biennale vi chiedo: lavorate principalmente per un pubblico globale o soprattutto per voi stessi?
Sun Yuan: Rispondo che I didn’t notice what I’m doing e I Can’t help myself!
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