Insieme ad Antonio Addamiano e Amanda Nicoli della Dep Art Gallery di Milano, oggi parliamo della mostra dell’artista Tony Oursler (New York, 1957 – particolarmente noto per una pratica pionieristica di video-scultura performativa), di tecnologia, di fede e dei «fenomeni soggettivi che si manifestano quando la mente rileva un fenomeno che violi le leggi della natura» (dal testo critico di Demetrio Paparoni).
Proprio a questo proposito, ricordo bene la sensazione di incertezza e straniamento che ho provato, circa 8 anni fa, di fronte alle opere di Tony Oursler incontrate in fiera a Milano presso lo stand di non so più quale espositore. All’epoca lavoravo come assistente di galleria, concentrata su una certa nicchia che, per quanto affine nelle tematiche riguardanti percezione, tecnologia, automazione e automatismi, mi assorbiva in maniera così totalizzante dal farmi desistere nel dare il giusto seguito a quel primo incontro.
Così, consapevole di tutto questo, ho atteso come una bambina l’inaugurazione di questa mostra alla Dep Art Gallery (ancora visibile fino al 01 giugno 2019), a cui sono giunta dopo un’intensa giornata trascorsa al concomitante Miart, molto emozionata e curiosa più di allora.
Credevo di trovare altri visi deformati, tratti alienanti, occhi attenti e bocche sussurranti incastonate in video-sculture, invece sono stata risucchiata in una realtà parallela al limite tra la sperimentazione scientifica e la costruzione di un immaginario degno del più alto fanatismo, a metà tra la ricostruzione oggettiva e la narrazione visionaria di fatti arbitrari.
Tony Oursler. The Volcano, Poetics Tattoo & UFO è stata quasi un’allucinazione, una di quelle che diventa tue, a cui assisti esterrefatto in prima persona immerso in una dimensione che si avvicina molto alla realtà: quella appunto della realtà virtuale.
Sono rimasta spiazzata, ancora una volta, pensando alle domande di questa intervista.
Com’è stato il vostro primissimo incontro con l’artista Tony Oursler e con le sue opere, o viceversa?
In particolare, sono curiosa di sapere che cosa ti ha spinto a decidere di lavorare con lui, tanto da volare fino al suo studio a New York.
Antonio Addamiano: Il primissimo incontro con un artista del calibro di Tony Oursler non si dimentica facilmente: è sta un’emozione unica, difficile da descrivere a parole, soprattutto perché rappresentava la mia prima esperienza con un grande artista americano.
Appena si entra nella sua casa-studio si è proiettati completamente nel suo mondo, come se si riuscisse a vivere in maniera tangibile un’estensione della mente di Tony Oursler; si percepisce il suo stile e si è catapultati in una dimensione che non è propria di chiunque, ma sua soltanto.
Credo che creare un legame con l’artista con cui si lavori sia fondamentale, soprattutto negli ultimi anni: avere un rapporto diretto fa nascere un senso di collaborazione autentico, e ciò mi permette di continuare a fare ciò che la mia galleria fa ormai da tempo: creare un legame autentico con l’artista, affinché sia possibile presentare mostre uniche.
E non mi riferisco solo a Tony Oursler, lo stesso si può dire di Wolfram Ullrich e Regine Schumann, Pino Pinelli e Turi Simeti, tra gli altri. È un modo di interfacciarsi da professionisti con professionisti per un obiettivo comune: arte di qualità.
Nella mostra The Volcano & Poetics Tattoo incontriamo 3 differenti approcci legati al video: il 3D in Le Volcan (2015-2016), la realtà virtuale nell’installazione Spacemen R My Friended (2016), lo schermo foto-luminescente a supporto del documentario Lapsed C di Poetics Tattoo (1977-2017).
Vuoi raccontarci brevemente il focus delle 3 opere?
Amanda Nicoli: Le 3 opere sono molto differenti in termini di contenuto e di media però sono in qualche modo tutte e tre di carattere narrativo.
In Lapsed C, vi sono parti reali e parti montate ad hoc, coreografate da Oursler stesso, che nell’insieme restituiscono una diapositiva il più accurata possibile della vita dei “Poetics”. Importante l’accento sul rapporto stretto che ha sempre legato Oursler a Mike Kelly: è noto che i due si conobbero ai tempi dell’università e, insieme, cominciarono a sperimentare, intraprendendo un percorso volto a esplorare nuovi media e nuove pratiche artistiche, performative e musicali. Lapsed C è senza dubbio una storia a più voci, che mescola scene di vita quotidiana a immagini strutturate, ricordi rivissuti con un sentimento non meno autentico.
Le Volcan si configura, invece, come estensione delle fantasie di Oursler nei riguardi di tematiche mistiche ed esoteriche, le cui origini fanno capo a un misticismo che, sino alla seconda metà del Novecento, ha sempre fatto parte della vita dell’uomo. Basti pesare ai diversi oracoli che popolano la cultura romano-ellenistica; ai necromanti o alle profezie medievali; alla stregoneria dell’epoca della Contro-Riforma, o a tutto il corollario di miti e leggende popolari, agli scongiuri per allontanare malocchio e malasorte di cui è piena la nostra tradizione. Ognuno di tali esempi, sino ad arrivare alla seduta spiritica a opera di Dargèt, e che Oursler restituisce al pubblico nella sua video-installazione, sono testimonianza del legame inconscio – ma estremamente naturale – che l’essere umano intesse con l’ignoto, anche e soprattutto in un periodo di grande fervore scientifico e tecnologico.
La medesima spinta verso un Altro inarrivabile si percepisce in Spacemen R My friended: pare essere l’ultimo capitolo, moderno e avanguardistico per certi versi, di ciò che è la volontà dell’uomo di conoscere l’insondabile, prendendo George Adamsky come protagonista. Non è certo un mistero che, dopo il lancio dello Sputnik ad opera dell’Unione Sovietica (1957), si intensificarono gli avvistamenti di UFO nei cieli americani. Se il Novecento ha quasi del tutto tolto il velo del mistero su ciò che riguardava i fenomeni terreni, l’essere umano ha subito rivolto lo sguardo verso l’alto, e come mai prima di allora. Le domande sono sempre le stesse, quesiti che da sempre sono parte integrante della nostra finitezza: “Chi siamo? Dove stiamo andando? Cosa esiste oltre a ciò che vedo, sento, ricordo?”.
Tony Oursler, con grande umiltà, non vende risposte personali o preconfezionate, si limita a sottolineare quanto il sentimento che guida la nostra vita sia comune, universale e immutato.
Credi che il gap culturale tra Europa e America possa incidere sulla fruizione di una mostra come questa, fortemente centrata su elementi caratterizzanti la cultura americana che sono giunti da oltreoceano prevalentemente attraverso i media e il grande schermo?
In qualche modo siamo incappati tutti nella serie e nei film degli X-Files con il suo “I want to believe”, per citarne una.
Antonio Addamiano: Non credo che, oggigiorno, esista ancora un vero e proprio “gap culturale” da poter usare a mo’ di scusa. La globalizzazione e i mezzi di comunicazione a livello globale hanno contribuito all’abbattimento di queste barriere e, fortunatamente, si può restare in contatto quotidianamente con realtà dall’altra parte dell’oceano senza fare il minimo sforzo.
Anche a livello di considerazione culturale non credo esista più una vera distinzione: ci siamo ormai da anni abituati all’idea degli UFO o ad altre espressioni tipicamente americane, dal cinema alle tendenze, al punto da esserne influenzati e influenzarle a nostra volta.
È normale che le fantasie inerenti agli UFO abbiano preso piede maggiormente in America, luogo della loro “prima apparizione”, spopolando e creando un vero proselitismo, ma anche in Europa abbiamo il nostro corollario di miti e superstizioni e avvistamenti vari.
Va detto che anche noi europei abbiamo un discreto numero di artisti che hanno fatto della video-arte la propria cifra stilistica, sebbene sia ovvio che sono stati per primi gli americani ad avvicinarsi a tale nuovo modo di fare arte.
Non credo ci debba per forza essere un complesso di inferiorità, semplicemente si assiste a una differente caratterizzazione di stile e ricerca, inerenti ai mezzi di comunicazione della propria poetica artistica.
Sono uscita dalla mostra rimuginando sulla triade uomo, macchina e fede.
Assistere alla video proiezione psichedelica di Lapsed C, indossare gli occhialini per riuscire a vedere Le Volcan, accettare il visore come un’espansione della realtà sensoriale in Spacemen R My Friended è stato come vivere una sequenza volontaria di atti di fede nella tecnologia, con un grado di partecipazione sempre più coinvolgente e attiva, verso una percezione espansa all’interno e all’esterno di sé stessi.
L’interconnessione tra Scienza e Fede può essere una chiave di lettura nel percorso di questa mostra?
Antonio Addamiano: Le chiavi di lettura sono innumerevoli, proprio come si può fare per qualsiasi opera d’arte: non ne esiste effettivamente una maggiormente valida rispetto a un’altra.
Certo è che Tony Oursler sia sempre molto attivo nello scoprire questa sottile linea tra Scienza e Fede – se così vogliamo chiamarla – e reperti storici.
Oursler è tutto fuorché un artista banale: riesce a calcare queste tematiche delicate senza sbilanciarsi mai, rifacendosi a grandi fondi, vivendo tra storia e una sorta di limbo, tra reale e irreale, tra destino e scienza.
Queste opere condensano al meglio ciò che rappresenta un personaggio simile, sempre attratto dalle grandi tematiche che sorreggono il mondo, continuando a porsi domande stimolanti per andare avanti senza rinunciare mai alla propria curiosità.
Tony Oursler torna a Milano 8 anni dopo Open Oscura, l’ampia personale al PAC, sempre a cura di Demetrio Paparoni, con una ricerca al passo coi recenti progressi tecnologici e la conseguente diffusione nella società.
La tecnologia è oggi ampiamente sdoganata e riconosciuta tra le discipline artistiche nella sua connotazione meccanica, digitale e virtuale.
In termini di collezionismo, invece, siamo di fronte a un mercato di nicchia o più vicini a raccogliere i frutti di un lavoro di sensibilizzazione portato pazientemente avanti negli ultimi decenni?
Antonio Addamiano: Tony Oursler è un artista molto carismatico che, una volta conosciuto, è difficile da abbandonare, perché riesce a coinvolgerti appieno nelle sue opere e nel suo modo di percepire il mondo che lo circonda.
Il suo collezionismo si crea passo dopo passo, ma all’insegna della comprensione del suo linguaggio, al punto che non lo si può abbandonare più.
Lo stesso è capitato a me: pur non essendo un collezionista di video, mi sono lasciato appassionare dal modo di raccontare di questo artista, dalla sua visione e da ciò che lo incuriosisce, e credo sia una chiave importante per promuovere il suo lavoro. Tony Oursler è in grado di coinvolgere e colpire, sa crearsi dei propri “seguaci”, soprattutto nell’era digitale.
Il mercato della video-arte è tuttora di nicchia, questo va detto, anche se la sua presenza in concerti e video di David Bowie hanno aumentato a dismisura la sua fama.
Credo sia la prima volta che lavorate con artisti che usano la tecnologia come mezzo di espressione. Si tratta di un punto di partenza verso nuovi orizzonti di indagine o di un caso isolato?
Antonio Addamiano: Al momento questa mostra rappresenta una nuova esperienza e come tale deve essere vissuta: Tony Oursler mi è rimasto impresso per la sua figura non convenzionale, e non tutti gli artisti riescono a lasciare tanto di sé alla persona che si trovano davanti.
Continueremo ad avere uno sguardo a 360° sul mondo dell’arte e i suoi metodi espressivi, dopo questa esperienza, anche in termini di confronto reale e organizzativo.
In ogni caso, Tony Oursler si inserisce perfettamente nella tipologia di artista internazionale che vogliamo proporre: grandi artisti già affermati, che hanno un proprio linguaggio e una grande riconoscibilità, e che sono in grado muoversi in più direzioni.
La vostra galleria, invece, come usa la tecnologia?
Mi riferisco in particolare al ruolo dei new media nella comunicazione verso il pubblico.
Amanda Nicoli: In un momento dove il digitale è parte integrante della quotidianità di ognuno, anche i metodi di comunicazione devono essere adeguati e realizzati in modo tale da poter vivere sui social.
Teniamo aggiornate le nostre pagine social – Facebook e Instagram –, stiamo preparando un sito in sola lingua inglese e per le ultime due mostre abbiamo fatto realizzare le riprese in 3d.
Insomma, usiamo ampiamente la tecnologia come risorsa comunicativa per far conoscere al meglio le iniziative della galleria.
Restando sempre dietro le quinte della galleria, che tipo di rapporto cercate di costruire con gli artisti con cui collaborate?
Antonio Addamiano: Creiamo un legame che permetta di far nascere continuamente emozioni.
Negli ultimi anni Dep Art Gallery ha intensificato le collaborazioni sia con importanti realtà espositive istituzionali, sia con esperti curatori.
Dal 2017 Antonio Addamiano è anche referente ANGAMC per la Lombardia.
Come si inseriscono queste collaborazioni nella vostra attività?
Antonio Addamiano: È senza dubbio un intrecciarsi di situazioni che aumentano le interconnessioni tra attori pubblici e privati, creando sempre nuove occasioni per far conoscere la nostra attività.
Una cosa che non ti ho mai chiesto: come influisce l’essere figlio d’arte sul lavoro di gallerista?
Antonio Addamiano: Avere un padre artista e professore a Brera mi ha certamente dato la possibilità di immergermi nel mondo dell’arte sin dalla più giovane età. Ha influito aver avuto l’opportunità di visitare fiere, musei e mostre e ha sviluppato in me un’enorme curiosità, divenuta negli anni una passione. Il suo lavoro, la sua prospettiva e il suo “occhio” hanno sicuramente influenzato, in un certo senso, la mia visione, sebbene negli anni sia riuscito a sviluppare un mio personale punto di vista.
Perché avete scelto il nome Dep Art?
Antonio Addamiano: Depart è, in inglese, “Partenza”; allo stesso tempo Dep è anagramma di Distribuzione e Promozione.
Per il gran finale, un momento spoiler sulle prossime mostre dentro e fuori le mura “domestiche”.
Antonio Addamiano: Veniamo da un periodo denso di appuntamenti e, nel futuro prossimo, sono molti gli eventi che ci vedono coinvolti in prima persona.
Si è appena conclusa la mostra dedicata a Wolfram Ullrich al MAC di Lissone, curata da Alberto Zanchetta, e abbiamo recentemente inaugurato, a Villa Vertua di Nova Milanese, la bi-personale di Natale Addamiano e Pino Deodato, dal titolo “Raccontarsi sotto le stelle”, a cura di Matteo Galbiati e visitabile nei fine settimana sino al 17 maggio 2019.
Sempre a maggio, dal 16 fino al 15 luglio 2019, il MARCA di Catanzaro espone “EMILIO SCANAVINO. Come fuoco nella cenere. Grandi formati. Opere 1960 – 1980”, curata da Greta Petese e Federico Sardella.
In galleria, invece, dopo la grande rassegna del 2018 di Palazzo Reale e Gallerie d’Italia, a distanza di un anno, proponiamo una personale di Pino Pinelli, curata da Francesco Tedeschi, prima nella nuova sede di via Comelico e incentrata sui monocromi, ripercorrendo così le esperienze artistiche dal 1973 al 1976 di uno dei protagonisti della pittura analitica.
Fonti e approfondimenti: - sito ufficiale di Tony Oursler (link) - TONY OURSLER. Le Volcan, Poetics Tattoo & UFO, Dep Art Gallery (Milano), 6 aprile - 1 giugno 2019 (link) - sito ufficiale Dep Art Gallery (link)
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