A nove anni dalla scomparsa di uno dei più grandi collezionisti italiani vogliamo ricordare Giuseppe Panza di Biumo riproponendo un’intervista realizzata dal critico Vittorio Raschetti nel 2006 per la rivista BancaEuropa. Un incontro con un mecenate indimenticabile nella Villa che oggi ospita la parte italiana della collezione, le altre sono al Moca di Los Angeles e al Guggenheim di New York. Un viaggio incessante alla ricerca dell’infinito: Antoni Tapies a Jean Fautrier, l’incontro con Mark Rothko e Bob Rauschenberg, poi Dan Flavin, Donald Judd, Bruce Nauman, Carl Andre, Richard Serra, James Turrell. Un raffinato amante dell’arte, sempre alla ricerca di una visione metafisica, di una via ontologica all’arte capace di dedicarsi a domande assolute, instancabilmente sulla soglia tra interrogazione e contemplazione dello spirito, pronto a raccogliere e allo stesso tempo trascendere la forma in un orizzonte di contemplazione pura. Una conversazione sulla perfezione, sorvegliati dal silenzio significante di due straordinarie e pulsanti opere di Ettore Spalletti, quasi due specchi metafisici in cui raccogliere il desiderio e l’enigma del culto dell’arte.
Come nasce la fascinazione per l’arte contemporanea e la spinta al collezionismo?
Giuseppe Panza di Biumo: La mia collezione è nata negli anni cinquanta, ma come desiderio inconscio è nata già da giovane, amavo i quadri, la bellezza degli oggetti e della natura, ero incantato dalla poesia di Leopardi e Montale mi interessava l’astronomia, la fisica, la biologia, una grande amore per il sapere. Ero curioso ed inquieto. Ho sempre cercato le cose fondamentali. Studiavo l’arte antica e moderna, l’arte cinese o quella africana: li consideravo straordinari mezzi di conoscenza.
L’esperienza di conoscere e imparare a capire il lavoro di un’artista è una esperienza meravigliosa. E’ un nutrimento vitale, è scoprire un tesoro nascosto che alimenta la vita. Collezionare arte contemporanea è un esercizio intellettuale molto difficile e che si vive in una pressoché totale solitudine, il collezionista ha la responsabilità di comprendere e anticipare, vivere la solitudine delle scelte controcorrente. Basta prendere un dizionario dell’arte dell’epoca per scoprire come l’arte venga quasi sempre travisata dai contemporanei. Pensiamo ai giudizi dei contemporanei su Picasso, Kandiskii, Mondrian, o Duchamp. Se ripenso ai primi giudizi che venivano dati su Rothko o Rauschenberg vi trovo un misconoscimento pressoché totale. Il dovere del collezionista è quello di intuire in tempo reale, capire quello che il gusto del presente non è in grado di comprendere. Essere come un rabdomante della bellezza. Le cose che si capiscono immediatamente di solito hanno solo apparenza e non sostanza, perché la vera arte risponde a domande complesse e profonde: solo 30-50 anni dopo si capisce il vero valore delle opere 150 ancora meglio.
Comunque il grande amore per il contemporaneo è nato grazie a un viaggio a Parigi dove ho conosciuto Antoni Tapies e Jean Jean Fautrier.
La qualità della pura visibilità come strumento di conoscenza, gli archetipi dell’arte come strumenti per imparare a vedere…
Giuseppe Panza di Biumo: Parigi non mi bastava. Nel frattempo mi sono sposato con una persona che condivideva i miei gusti e interessi. E’ nato il mio interesse per l’arte americana nei primi anni cinquanta: ho fatto un lungo viaggio iniziatico nel continente americano. La vita del nord america mi aveva molto attratto per la sua vitalità mi interessava questa autonomia individuale e questa volontà di costruire un futuro. Questo atteggiamento mi faceva intuire che questa anima differente americana avrebbe inevitabilmente prodotto anche un nuovo atteggiamento e un nuovo modo di concepire l’arte. Ho cominciato a collezionare proprio in quegli anni. L’america era quasi un territorio vergine, nessun europeo comperava arte americana. Gli stessi artisti americani non erano accettati dai loro compatrioti perché vigeva ancora una dominanza culturale della tradizione europea. Si riteneva che in america mancassero basi culturali, l’assenza di una profondità filosofica sembrava condannare l’arte americana a pura imitazione. Sono stato uno dei primi a credere nella possibilità di un’arte americana originale e innovativa. La cultura americana nata da un processo di melting-pot in cui ha comunque avuto una parte importante il coté europeo emigrato nel Nuovo Mondo.
Invece poi ecco nascere la scuola di New York, la grande stagione dell’Action Painting e dell’astrattismo Americano…
Giuseppe Panza di Biumo: Fui colpito dalla forza segnica di Franz Kline, e poi la visione metafisica dell’arte di Mark Rothko, si scopriva forse per la prima volta come il timbro cromatico sé avesse una importanza fondamentale nell’espressione. Il colore assumeva una sua funzione autonoma, indipendente dalle forme, anche se forse si può dire che in Rothko il colore si fa forma.
Una pura vibrazione della bellezza indicibile del colore che rimanda a uno strato denso di significati profondi…
Giuseppe Panza di Biumo: Mi ha sempre molto interessato capire cosa vuol dire ogni opera d’arte andando al di là delle apparenze, della qualità puramente ed unicamente estetica per capire le vere motivazioni di ogni artista. Il caso di Rothko è stato molto interessante: questa sua visione metafisica di ebreo nato in Russia, un intellettuale laico di New York che però possedeva questa eredità della cultura iconoclasta che vietava le immagini, che contribuiva a una ragione etica e non solo estetica del significato dell’astrattismo. Il rapporto con il colore la luce sono sempre stati elementi centrali nel mio modo di giudicare l’arte. Eppure tutta questa spiritualità che animava le sue tele sospese nell’assenza, era creata in un atelier nel centro della Bowery del quartiere decadente di una città come New York: un’oasi di misticismo nel flusso del città.
Una ricerca platonica dell’essenza della luce, del codice originario dell’immagine, una fenomenologia della temperatura psicologica del colore che sembra attraversare tutto il percorso della collezione.
L’arte monocroma è una esplorazione di se stessi, su se stessi, ogni colore ha una influenza su di noi. Il colore dilatato su una superficie è analogo al dilatare noi stessi al di fuori dei nostri stessi confini. Fedeltà a un colore come Yves Klein il precursoreche arriva a identificarsi con il blu Klein, e poi Robert Ryman, Barnett Newman.
E poi il corto-circuito della pop art… l’enfatizzazione metonimica del dettaglio, la magnificazione del particolare…
Giuseppe Panza di Biumo: Robert Rauschenberg con una forte capacità costruttiva dentro la composizione e la provocazione neodada. L’arte se non è fatta secondo le regole che stabilisce l’artista non è arte. Tutti sono capaci di incollare sulla tela degli oggetti trovati, ma una cosa diversa è collocarle in modo che si tramutino in un’espressione dotato di senso e capace di creare un nuovo linguaggio. Collocare un semplice ready made sulla tela ottenendo un perfetto equilibrio estetico richiede grande capacità compositiva. Un forte capacità costruttiva dentro le regole che inventa lo stesso artista. Rauschenberg mi interessava per il recupero della memoria attraverso gli oggetti solo apparentemente scelti a caso e invece giustapposti in un accostamento di grande efficacia comunicativa le immagini che metteva insieme erano un recupero di esperienze passate. Una stratificazione del tempo, l’afferrare il tempo che fugge che scompare e che rimane soltanto in una vaga impressione nella nostra memoria. E ancora Roy Lichtenstein dove si può leggere la filigrana, la struttura cellulare dell’immagine. Lichtenstein nel periodo d’oro del 62-63 era dotato di una grandissima capacità compositiva come un grande pittore del 500. E poi Oldenburg, Rosenquist, Segal mi interessavano perché erano la più definita manifestazione di questa società che idealizza la vita materiale, le forme pubblicitarie come icone del mondo.
Beauty is less… se la bellezza è fondata sul rigoroso rispetto di una purezza ottenuta per sottrazione, allora il minimalismo è certamente più che una corrente dell’arte, è un sistema di pensiero, una grande visione del mondo…
Giuseppe Panza di Biumo: Con l’arte minimal, con l’arte concettuale l’aspetto razionale è decisivo. Dal ‘66 ho collezionato l’arte minimal che dialoga con la capacità espressiva del pensiero, un esame della potenzialità infinta del pensiero che si esprime attraverso la logica delle forme rigorose. La logica resa visibile nel rigore asettico di leggi geometriche. L’aspetto minimal è prossimo al concettuale ma non si identifica con il concettuale, c’è ancora la concretezza dellaforma a significare, nell’arte concettuale invece sono le categorie, le parole ad essere importanti, il discorso diventa un materiale espressivo e visivo, l’arte viene assorbita nel processo della parola.
Eppure anche nella minimal art che appare così autoreferenzialmente logica, cosi rigorosa così esaurita in se stessa c’è un rimando alla trascendenza, a qualcosa di infinito, come nel teorema di Godel che mette in crisi la fondazione e la dimostrabilità intrinseca del sistema della logica: è la prova che la matematica a cui noi crediamo così ciecamente in effetti è solo la porzione di un universo di leggi più grande al di fuori di sé…
Giuseppe Panza di Biumo: Le opere di Donald Judd, di Robert Morris, di Dan Flavin, di Richard Serra, testimoniano la presenza della mente umana nella realtà. Una logica dell’azione umana che permette all’uomo di dominare la natura. Con Carl Andre si manifesta il rapporto tra l’essenza della geometria e il suo incontro col mondo, la misurazione del mondo, la delimitazione del territorio-mondo. L’applicazione di coordinate alla superficie. Ho collezionato Carl Andre dalla fine degli anni sessanta, in lui c’è questa volontà di istallarsi direttamente sul suolo, di aderire al terreno, di rappresentare una logica che è fondamentalmente terrestre, adagiata sul territorio della realtà.
Dal micro al macro cosmo, alla land art, che sembra moderna ma rimanda all’alba dell’uomo, all’architettura megalitica e celtica, Stonehenge e i templi precolombiani…
Giuseppe Panza di Biumo: Ma anche Richard Long, Walter de Maria, o il cratere di James Turrell
Si può dire che dal minimalismo al concettuale c’è uno spostamento da un sistema icono-centrico ad uno logo-centrico, il tema dominante è comunque quello di rendere visibile il pensiero…
Giuseppe Panza di Biumo: L’arte di Los Angeles ha visto l’esperienza di artisti che hanno esplorato il mondo della luce e dell’introspezione e della percezione di sé attraverso queste opere smaterializzate: solo luce e spazio e per artisti come Irwin, Turrell, che hanno scoperto qualcosa di nuovo, mai esplorato nel mondo dell’arte.
Le opere di Turrell ricordano il mito della caverna di Platone, è come riuscire a vedere finalmente la verità e la luce per prima volta
Le stanze di Turell riempite solo di luce, dove l’esperienza della luce diventa un’esperienza unica, fisica, la luce non è il mezzo per vedere ma diventa protagonista.
La difficoltà di sostenere sia il monocromo, sia il bianco accecante della luce nella stasi di una stanza, siamo all’opposto della wunderkammer, che cercava la meraviglia e lo stupore, qui si tratta di fare spazio ed esplorare quello che è dentro di noi.Oltre il west, si arriva all’oriente, allo zen…
Giuseppe Panza di Biumo: Evidentemente questi artisti di Los Angeles hanno fatto esperienze che vanno oltre la frontiera dell’occidente, esperienze nei monasteri zen. Questa contemplazione della natura questa riflessione sul rapporto che noi abbiamo con l’ambiente in cui viviamo. Noi occidentali abbiamo un approccio molto invero, legato alla storia, all’ideologia che si sono incontrate e scontrate.
Mentre il mondo orientale è costruito attorno a un processo non duale o dialettico, ma a una visione unitaria del cosmo. Una forte capacità di reggere, di sostenere il tema del vuoto. Il vuoto non è il vuoto, ma il pieno di sé. Educarsi al vuoto alla monocromia, di proiettare la propria pienezza al di fuori di sé. E’ una cosa difficilissima nel contesto europeo. Siamo più abituati ad agire che a riflettere. Siamo più abituati a un gesto alla De Kooning a prenderci tutto lo spazio della tela piuttosto che al vuoto della monocromia o addirittura alla acromia. Qui si tratta di giocare sulla ginnastica della surplace per esprimere la pienezza contemplativa dell’attesa.
Quando guardiamo le stelle vediamo dei mondi siderali, l’universo in fuga. Il pulsare della luce come misura del tempo, l’anno luce è l’unità di misura dell’universo.
Pensiamo a Dan Flavin che con un neon con una luce che non vuole accecare, semplicemente sussistere, la luce come origine di tutto..
Noi viviamo grazie alla luce del sole. Tutto è prodotto dal sole. Il ciclo della nostra vita dipende dal sole che è l’origine del nostro mondo.
Una luce che è fonte e metafora della conoscenza, che rende possibile l’autenticità del bello fuori dal tempo…
Giuseppe Panza di Biumo: Il rigore è fondamentale dell’arte, vivere e imparare a vivere attraverso l’illuminazione dell’arte. L’istanza etica dell’arte rispetto al mondo. L’arte vissuta fino in fondo è maestra di vita.L’apparenza è un miraggio quello che conta è la sostanza profonda delle cose che resiste al tempo. La storia di un collezionista assume spesso al forma di una spirale con costanti ritorno ma mai nello stesso punto. Anche la storia dell’arte è una spirale che evolve attorno a un punto fisso, un fulcro a cui si avvolge, ma senza mai tornare interamente sui propri passi.
C’è una relazione idealmente permanente, non formalmente permanente nel percorso dell’arte, una fedeltà agli stessi grandi problemi metafisici, con risposte sempre diverse a domande fondamentali, come il mistero della luce…
Giuseppe Panza di Biumo: L’arte autentica va oltre la spettacolarità, parla all’intimità della persona e richiede un perfezionamento e un’attitudine alla contemplazione morale e intellettuale.
Come l’evocazione di una “scultura acustica” di Michael Brewster: il gioco di avvicinamento-allontanamento del suono di un aereo che ci oltrepassa in un immagine acustica che si propaga nel tempo.
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