Mustafa Sabbagh è un artista ad oggi riconosciuto su scala internazionale.
È stato assistente di Richard Avedon, docente al Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, e ha portato avanti una soddisfacente e prolifica carriera come fotografo di moda, convogliando negli ultimi anni tutta la sua ricerca sulla pelle, il vero abito dell’essere umano, e sul corpo inteso come comunità di uomini, non limitandosi al solo uso esclusivo del mezzo fotografico, ma sperimentando le proprie urgenze creative attraverso le connessioni con la pittura, la video-arte e l’installazione multimediale.
XI comandamento: non dimenticare - antologica di Mustafa Sabbagh, 2017 | vedute dell’esibizione ai Musei San Domenico - Forlì | credits: Nicoletta Vittori
Nell’estate del 2014 ho incontrato per caso le opere di Mustafa Sabbagh in una rubrica di arte contemporanea.
Ricordo ancora chiaramente la sensazione di quell’aura sacrale di bellezza fondata però su elementi di disturbo potenti, che avevano la capacità di aprire a una nuova visione.
Era come se fossi stata colpita da un necessario e improvviso pugno in faccia: quando ci vuole, ci vuole.
Da allora le ho viste esposte in qualche occasione, sempre con rinnovato stupore.
Da tempo sentivo che era arrivato il momento di fare due chiacchiere con Mustafa Sabbagh, a dire il vero proprio non vedevo l’ora di immergermi nella sua dimensione umana.
Mustafa Sabbagh: sub-limen_untitled, 2018 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, MLB Home Gallery - Ferrara
Mustafa Sabbagh: sub-limen_untitled, 2018 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, MLB Home Gallery - Ferrara
Ho scelto il progetto “kudurru”, che ho ammirato durante la scorsa edizione di ArtVerona, per scavare un po’ nella sua storia e rimescolare quei confini che sembrerebbero aver segnato le tappe di una fotografia di prodotto, quello della moda, che diventa una ricerca quasi ossessiva, approdando in un panorama artistico che non sempre ha la forza di staccarsi dai meccanismi della stessa tendenza accessoria.
Confini che oggi si confermano essere il centro di un dramma cui è necessario porre rimedio, anche con un deciso pungo in faccia sferrato attraverso l’arte.
Mustafa Sabbagh: kudurru, 2018 - installation view | "Black", Paolo Maria Deanesi Gallery - Trento | courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery - Trento
Esposizioni in corso e future:
– Black (collettiva), fino al 09 febbraio 2019 da Deanesi Gallery – Trento
insieme a: Matteo Basilé, Simone Bergantini, Bruna Esposito, Franko B, Armando Lulaj, Mustafa Sabbagh, Andres Serrano
– Mustafa Sabbagh MKUltra, dal 09 febbraio 2019 alla Wrong Weather Gallery – Porto
– Faceless (collettiva), da marzo 2019 alla CFHill – Stoccolma
La mostra, curata da Bogomir Doringer, è itinerante dal 2013 nelle sedi del De Markten a Bruxelles, Mediamatic Museum ad Amsterdam e il Quartier21 a Vienna e ora alla CFHill di Stoccolma presenta una riflessione sul tema della cancellazione delle identità.
Tra gli altri artisti espone, insieme a Mustafa Sabbagh, lavori di Marina Abramović, Ren Hang, Maison Martin Margiela, Olivier de Sagazan, Woodkid
Mustafa Sabbagh: kudurru_untitled, 2018 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Paolo Maria Deanesi Gallery - Trento
“kudurru” in lingua accadica – la lingua della Mesopotamia, parlata da Assiri e Babilonesi – significa “confine” o “frontiera”.
Il termine si riferisce a quei caratteristici manufatti in pietra che testimoniavano la proprietà della terra, concessa dal re ai vassalli, tramite iscrizioni e immagini incise sulla superficie della lastra. Oggi il significato è esteso anche alle copie in argilla che venivano poste come pietra di confine lungo i terreni, per accertarne la legittima proprietà, mentre l’originale era conservato nei templi per tenere traccia delle concessioni terriere.
“kudurru” è anche il nome del tuo ultimo progetto, già presentato all’edizione di ArtVerona 2018 e attualmente esposto da Paolo Maria Deanesi Gallery, a Trento, fino al prossimo 09 febbraio 2019.
Di che cosa si tratta e, soprattutto, perché hai scelto un nome così antico per un progetto così attuale?
Mustafa Sabbagh: vivo l’arte in una doppia dimensione: come atto e come messaggio. Ho bisogno di credere nell’arte tanto quanto non credo affatto nei confini.
Kudurru era la pietra di confine che suggellava l’atto arbitrario, non definitivo, di de-finire. Finire, quando più che mai serve ricominciare. Quello che prima era punto di contatto tra le civiltà – un fiume, il mare – è diventato confine naturale nel momento in cui l’uomo ha deciso di ribaltarne la naturale funzione.
L’arte è un simbolo e kudurru è un simbolo, nell’antico e, ancora più urgentemente, nell’attuale. La temporalità di un pensiero gli attribuisce una data di scadenza, ma un atto di riflessione non potrà mai scadere.
Mustafa Sabbagh: kudurru_untitled, 2018 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Paolo Maria Deanesi Gallery - Trento
Sei nato negli anni ’60 ad Amman, in Giordania, in una famiglia italo-palestinese.
Hai studiato architettura a Venezia, poi ti sei trasferito a Londra e sei infine rientrato a Ferrara, perseguendo sempre un’attitudine nomade e cosmopolita.
In questo contesto, come vivi personalmente il concetto di confine?
Mustafa Sabbagh: mai vissuto. Sono gli altri che cercano (invano) di ricordarmelo.
Mustafa Sabbagh: almost true_untitled, 2013 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista
“Black” è invece il titolo della collettiva a cui partecipi con “kudurru”, e nera è la patina di cui rivesti spesso la pelle dei tuoi scenari antropologici, come se tu tentassi di annullare il superfluo per rendere ancora più evidente una verità implicita, spesso scomoda.
Si può dire, forse, che il tuo negare e cancellare attraverso il nero sia anche un allontanamento dagli assiomi di quel modello di fotografia (parlo della pubblicità di moda) che ti ha dato non solo ampie soddisfazioni, ma spazio fertile per eseguire e affinare la tecnica, i meccanismi, il mercato dell’immagine.
Qual è, quindi, la verità del tuo nero?
Mustafa Sabbagh: probabilmente, l’intimo legame fra tutti i miei lavori è dato da un rifiuto nell’accettazione della prima impressione, di una verità preconfezionata da qualcun altro per noi.
È stato così quando ho usato le maschere, lo è adesso con l’idea di “confine”; continua ad esserlo nell’uso che faccio del nero, universalmente associato alla negatività; ma il nero è accoglienza, al di là di ogni giudizio fatto e finito – quindi, di ogni pregiudizio.
Cromaticamente, il nero è la somma di tutti i colori. In fotografia, il nero accoglie la luce laddove il bianco la riflette e la respinge. Umanamente, la vita nasce e riposa nel nero. In filosofia, è la caverna di Platone.
La verità del mio nero è che non può esistere una verità pronta all’uso.
1- Mustafa Sabbagh: onore al nero_untitled, 2014 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Traffic Gallery - Bergamo 2- Mustafa Sabbagh: onore al nero_untitled, 2017 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Traffic Gallery - Bergamo 3- Mustafa Sabbagh: onore al nero_untitled, 2016 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Traffic Gallery - Bergamo
Nella moda “una fotografia che fa riflettere non fa comprare”, lo dichiari nel 2012 ai microfoni di Sky ARTE per la serie “Fotografi”.
Nell’arte contemporanea attuale è davvero più vero il contrario, o ritrovi ancora quei meccanismi legati alla tendenza e alla moda?
Mustafa Sabbagh: li ritrovo quando l’arte è considerata una moda.
Ti allontani dalla fotografia pubblicitaria nel 2010 per dedicarti all’arte sempre attraverso l’obiettivo, ma con uno sguardo diverso.
Che cosa comporta esattamente questo passaggio nel tuo nuovo modo di fare arte con lo stesso mezzo strumentale?
Mustafa Sabbagh: in realtà, Alice, non credo di aver cambiato modo, ma solo – come dire – platea. In passato ho realizzato editoriali di moda fotografando un uovo al tegamino…
Mustafa Sabbagh: artlemma_untitled, 2013 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista
Mustafa Sabbagh: artlemma_untitled, 2014 - dittico, stampe fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Galleria Marcolini - Forlì
Il centro del tuo discorso, che si parli di moda, di fotografia o di video, resta puntato sul corpo umano e sul suo linguaggio.
Qual è la tua visione del corpo?
Mustafa Sabbagh: il corpo umano è pelle e memoria, ma il corpo umano è anche comunità di uomini. Occorre essere umani, non solo corpi.
Mustafa Sabbagh: artlemma_untitled, 2012 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista
La bellezza che cerchi di catturare nelle persone non ha a che fare con il canone classico. L’hai chiamata anche estetica selvaggia. Che cos’è?
Mustafa Sabbagh: è quella del Buon Selvaggio di Rousseau, innocente rispetto alla colpa suprema: la smania di compiacimento, oggi indecentemente espressa dall’ossessione dei like.
Molti mi identificano in una frase, “la vera bellezza ferisce”: occorre toccare le proprie ferite per guarirle, ma per toccare una ferita serve un’indole selvaggia.
Mustafa Sabbagh: onore al nero_untitled, 2014 - dittico, stampe fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Collezione Farnesina Arte Contemporanea - Roma
Il tuo intento di indagare l’unicità di ciascun individuo mi fa pensare ancora ai diversi tipi di confini – in questo caso a quelli estetici, ma non solo – cui siamo sottoposti e ai territori che li determinano.
Anche nella tua serie “kudurru” incontriamo sia persone sia luoghi.
Che ruolo ha il territorio nella costruzione dell’individuo?
O è piuttosto determinante anche il contrario, a questo punto?
Mustafa Sabbagh: in Kudurru c’è un’opera, parte del progetto, all’interno della quale ho lavorato su un planisfero cancellandone i confini politici: quello che resta è l’autenticità delle identità in un unico, condiviso territorio.
Mustafa Sabbagh: kudurru_untitled, 2018 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Paolo Maria Deanesi Gallery - Trento
Allo stesso modo, in Kudurru coesistono fotografia, video, pittura e digital-art raccontate attraverso il medium fotografico, che le accomuna senza annullarle. Questo nonostante i ripetuti tentativi della storia, testimoniati in Kudurru, di imporre la dittatura di pochi uomini su una comunità paralizzata e incosciente.
Il territorio plasma l’uomo nella costruzione della propria identità; ma questa ha la libertà di dirsi tale solo se siamo capaci di cancellarne gli innaturali confini.
Mustafa Sabbagh: kudurru_untitled, 2018 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista, Paolo Maria Deanesi Gallery - Trento
Sempre a proposito di corpo: a quante e a quali dittature può essere sottoposto un corpo?
Mustafa Sabbagh: sempre e solo a una: quella della mistificazione, che purtroppo sa essere camaleontica.
Infine, qual è la tua più grande paura?
Mustafa Sabbagh: la banalità del male.
Mustafa Sabbagh: candido_untitled, 2016 - stampa fine art su dibond, ed. di 5 + 1 pa | courtesy: l’artista
Maggiori approfondimenti sul sito dell’artista e nel documentario realizzato per Sky Arte HD.
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