Lo scorso ottobre, in concomitanza con la mia visita ad ArtVerona (di cui vi ho raccontato, a modo mio, qui: ArtVerona 2018: 9 artisti per 9 gallerie) ho fatto un salto da Studio La Città per visitare Trame senza fissa dimora, mostra personale di Vincenzo Castella.
Sapevo che non avrei incontrato i suoi lavori sui paesaggi urbani, ed ero carica di aspettative – tutte abbondantemente superate.
Ecco la descrizione della mostra, di pugno dello stesso artista:
Lo spirito del lavoro è quello di guardare, riflettere su alcuni momenti di rappresentazione del mondo vegetale e delle presenze botaniche nella storia dell’Arte, e osservare i vari momenti in cui l’immagine si forma non concentrando l’attenzione esclusivamente sulla forma finale del lavoro. Il pensiero del mondo della “Natura” come attenzione collettiva e culturale e non come operazione di compensazione individuale, salvifica e privilegiata, delle carenze ideologiche e politiche.
Da qui – e da altri spunti – è sorta la necessità di indagare alcuni aspetti sottesi e di rimarcare pochi concetti chiave.
Prossimi appuntamenti espositivi con le opere di Vincenzo Castella:
- Survol – La photographie aérienne des villes | CAUE92 – Conseil d’architecture, d’urbanisme et de l’environnement des Hauts-de-Seine, Nanterre – fino al 02 marzo 2019
- no place like home, a cura di Marco Meneguzzo | Studio La Città, Verona – fino al 16 febbraio 2019
Lo confesso: fino a qualche tempo fa, non avevo mai incontrato le tue fotografie nella loro dimensione naturale, nella loro interezza non filtrata, in quella forma in grado di restituirne l’intrinseca verità, o di stimolarne una nuova.
Per lo stesso motivo, credo di non averle mai guardate davvero.
Che cos’è quindi la dimensione di un’immagine?
Vincenzo Castella: La grandezza degli oggetti visivi dentro il quadro è cruciale. La dimensione è una componente fondamentale del lavoro, una condizione che lo identifica per sempre, cambia la dimensione, cambia il lavoro.
Cito le tue parole: “Non ci sono storie da raccontare ma, forse, modelli di immaginare, e visioni da restituire”.
E ancora: “La visione è ben altra cosa rispetto al guardare”.
Lo so, sono decontestualizzate, ma il punto è: il concetto di visione che sta dietro a queste due affermazioni è lo stesso?
Io penso a vista e visione, percezione visiva e idea, realtà mutevole e apparizione, obiettività del mezzo fotografico e interpretazione del soggetto.
Vincenzo Castella: Il discorso è un po’ scivoloso, se vogliamo, perché per visione io intendo rendere percepibile dall’esterno la realtà come unità delle cose che puoi vedere insieme a quelle che non puoi vedere, spesso impropriamente considerate come invisibili.
Nel tuo fare arte con la fotografia, la costruzione dell’immagine passa maggiormente attraverso l’obiettivo o la rielaborazione in post-produzione?
Vincenzo Castella: Sicuramente l’obiettivo: la migrazione delle figure che si scompongono e si riallineano in una nuova unità, suggerendo diversi significati e nuove tracce.
La produzione è una operazione delicata e concreta perché definisce i confini del progetto in atto.
Il termine Post Produzione non si applica nel mio caso, che si fonda sulle riprese fotografiche e non su registrazioni visive digitali.
Hai vissuto in molte città: sei nato nella Napoli degli anni ’50, hai studiato a Roma, ti sei trasferito a Milano… e hai sempre viaggiato molto.
Che ruolo assume il viaggio, del corpo e della mente, nelle tue intenzioni di ricerca?
Vincenzo Castella: Il viaggio attiene alla vita che uno fa, qualche volta la vita cambia.
Il viaggio è anche un transito per la conoscenza, ma non sempre, purtroppo.
A volte viaggiare o non viaggiare non mi cambia la prospettiva.
Nel 1998 inizi a considerare la città come una forma di linguaggio, come un organismo complesso all’interno del quale ogni oggetto può trasformarsi in soggetto narrante a cui dare voce. Ti focalizzi sulle loro voci, sussurrate piano o urlate forte in un pentagramma di relazioni in divenire, mutevoli, senza implicazioni di causa-effetto, seguendo l’intreccio delle loro trame: “Trame che non hanno fissa dimora”.
Nella mostra “Trame senza fissa dimora” (11 ottobre – 17 novembre 2018, Studio La Città – Verona) non c’è nemmeno una città, ma solo agglomerati organici di piante.
Come avviene il passaggio da architettura a vegetazione?
Vincenzo Castella: Non è un vero passaggio, è la stessa esatta cosa, perché sia Natura che Architettura non rappresentano soggetti per me perché il “soggetto” è il punto di arrivo dell’immagine che racconta chi sei anche attraverso la modalità di rappresentazione, tuttavia questi oggetti di attenzione sono molto importanti perché rivelano il focus del pensiero.
I collage della serie Proof – Studio Eine Phantastik sono un lavoro ancora diverso.
Come nascono e perché?
Vincenzo Castella: L’intenzione era quella di iniziare finalmente a raccontare una fase diversa della vita del lavoro e non solo la forma finale.
Credo che i momenti intermedi del percorso dell’immagine siano importanti e anche un po’ antieroici.
La città come organismo incarna un legame indissolubile e in divenire tra società, politica e arte contemporanea.
La tua indagine, a cavallo tra i due secoli, ne testimonia l’evoluzione.
Come è cambiato questo equilibrio fino ad ora?
E cosa credi che accadrà?
Vincenzo Castella: I legami indissolubili tra società, arte e politica sono tanto solidi quanto instabili, ed è giusto che lo siano. Troppo spesso noi siamo vittime del nuovo in quanto migliore. Avviene anche il contrario, quando difendiamo il vecchio in quanto buono…
Lucidamente sappiamo che sono due errori fondamentali: la forza della conoscenza risiede nel collegamento tra le due cose.
Nella città osservare la cerniera tra due edifici garantisce un punto di osservazione privilegiato per la comprensione dell’insieme e di quello che sta succedendo. Bisogna lasciare tempo affinché gli innesti del nuovo producano vissuto, esiti e nuovi tracciati nelle storie delle persone.
Altre notizie disponibili sul sito di Studio La Città.
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