Nei miei ricordi Staccioli è preziosa nostalgia di un incontro nel cuore dell’estate. Mi sono recata all’appuntamento per l’intervista con un carico di emozione: tanto era il desiderio di conoscerlo, di attraversare con lui l’estensione creativa e concettuale della sua opera. La semplicità e l’amabilità dei modi e la dolcezza del sorriso con cui egli si è offerto alla mia insaziabile curiosità conoscitiva, mi hanno subito messa a mio agio. Si è instaurata tra di noi una spontanea e sincera intesa che, in un fertile scambio dialogico, si è arricchita di motivi analitici, di riflessioni, di rimandi culturali. Non è stata un’intervista canonica, poiché le domande che avevo preparato sono diventate presto spunti per una conoscenza più sostanziale, più vera, sviluppatasi in un libero e pacato conversare. Erano le sue parole a suggerire e a sollecitare ulteriori approfondimenti, svelando man mano la struttura valoriale del suo operare, la sua dimensione etica e umana. Tra gli ulivi di Scolacium, sfiorando di volta in volta con lo sguardo le imponenti installazioni in acciaio corten che fendevano l’azzurro, oltre ad un intenso percorso di interpretazione delle sue opere, si è così snodato un irripetibile itinerario di scoperta condotto nelle distese spirituali del suo essere artista.
La scultura di Staccioli, già fin dagli anni settanta, cerca l’incontro, il dialogo, l’interazione con l’ambiente; lo fa in modo provocatorio, volutamente polemico per indurre a riflettere, a porsi interrogativi sul destino dell’uomo, sul suo rapporto col mondo, sull’incomunicabilità, sul valore sociale dell’arte; lo sottolinea in maniera eclatante, aggressiva con la costruzione del famoso “Muro” alla Biennale di Venezia del 1978.
Le sue installazioni, in ferro e cemento, propongono un linguaggio essenziale costituito da forme geometriche elementari attraverso cui intreccia una fitta rete di relazioni dialogiche con il luogo fisico e sociale destinato ad accogliere l’opera. La sua ricerca, in un percorso evolutivo coerente e costante nel tempo, dà origine ad un”segno-scultura” con cui sottolinea le caratteristiche identificative di uno spazio modificandone la percezione abituale, caricandolo di valori estetici sostanziali. “Creare scultura- afferma Staccioli- significa esistere in un luogo” e il luogo diventa sempre più dimensione aperta su cui intervenire poeticamente cogliendone e rimarcandone le implicazioni simbolico-concettuali e, in qualche modo, moltiplicandone le possibilità di lettura. Considerando quello dell’artista un segno utopico destinato sempre e solo a fornire indicazioni e risposte possibili e a realizzare l’intuibile, i suoi interventi nel Parco archeologico di Scolacium ( Catanzaro) in occasione della rassegna d’arte contemporanea “Intersezioni” con il progetto espositivo “Cerchio imperfetto”, hanno assunto il valore e la forza di un dettato etico-esistenziale, quel “(…) trovare il senso dell’essere, dello stare nello spazio e nel tempo”. Allora, l’uliveto, la storicità del luogo, la trama profonda di vissuti che i reperti riannodano e riconducono alla soglia feconda della memoria, diventano parte integrante delle sue opere, anzi: le sue opere diventano l’essenza manifesta del luogo; rappresentano quel segnale profetico, quello sguardo veggente dell’artista che indica il cammino. Cosi, in una sera d’estate, al declino del sole che incendia di luce il grande “Anello Catanzaro ‘11’, è lieve carezza il suono delle parole di Staccioli, è tenero vento che muove il suo dire esplicativo in una conversazione densa di spunti conoscitivi ulteriori in cui si dilatano i confini dell’opera, si estendono oltre la densità dialogica che scorre nel cerchio del suo corpo vuoto, oltre le geometrie naturali degli ulivi, direttamente nel punto oltre lo sguardo, segnato dalla “Diagonale rossa” che taglia e misura la spazialità della Basilica di Santa Maria della Roccella, sulla linea, senza cesure razionali, dell’infinito.
Il tema della linea curva si esalta nell’opera “Da sinistra a destra”, un arco collocato nello spazio scenico del teatro romano del quale sfida gli equilibri statici costruendo nuove e mutevoli prospettive di visione.
Mauro Staccioli: Mi sono basato su un elemento importante che è il darsi del Teatro come punto privilegiato di osservazione della natura che gli si pone di fronte. L’arco mi è stato suggerito dalla stessa forma semicircolare della cavea; l’arco è così diventato una forma verticale che ripete la stessa forma geometrica delle gradinate poste dietro di essa. Poi ho collocato nello spazio della scena dei Prismoidi, 11 sculture, forme simboliche, individui, personaggi possibili di una scena teatrale, mentre la scena reale è quella virtuale formata dagli ulivi, dalla natura che si sviluppa di fronte. Questa è la simbologia di base che ho usato per cercare di darmi una forma significativa, del suo farsi scena, discorso, qualità.
In questo modo ha messo in comunicazione l’uliveto, la natura, il luogo storico con l’opera stessa: mi sembra abbia creato un ponte dialogico tra tutti gli elementi messi simbolicamente in scena.
Mauro Staccioli: Io ho cercato di fare questa forzatura: ho portato il Teatro ad essere lettura virtuale della scena reale che è data dagli ulivi e dalla natura che essi rappresentano.
Lei è noto per le sue geometrie elementari e rigorose, addolcite in tempi più recenti dall’inserimento di forme curvilinee che creano movimento, equilibrio instabile. Sono un’evoluzione del suo linguaggio scultoreo, un arricchimento del suo alfabeto espressivo.
Mauro Staccioli: In effetti sto cercando di “muovermi”, di camminare, di gestire un percorso, possibilmente nuovo. E qui, del resto, il percorso nuovo è segnato, in particolare, da queste forme realizzate con il ferro da carpenteria, semplice, senza valore estetico in sé, ma che diventa valore estetico come parte di un discorso più ampio, più globale che è dato dagli ulivi e dal valore naturale che essi rappresentano in questo luogo, perché questo luogo è caratterizzato fortemente dall’uliveto: ha un’estensione grandiosa e una presenza straordinaria.
Ha costruito una comunicazione globale tra la natura e il reperto, coniugando l’antico e il contemporaneo, assimilandoli, rendendoli compresenti nella stessa dimensione temporale.
Mauro Staccioli: Spero di averne avuto la capacità, perché è un’ambizione questa di mettere in comunicazione gli individui con i fatti della storia e i fatti dell’arte. Ora, io mi sono limitato ad una piccola metafora, ma, oggettivamente, quando ho pensato di fare queste forme geometriche ho usato la mia grande passione della geometria come forma forte del pensiero. Allora sono partito dalla geometria ingabbiando gli ulivi: ho costruito una metafora in più, una forma aperta sullo spazio esterno; essa, come geometria, ha una sua naturalezza forte che si rapporta con quella degli ulivi che hanno la forza di crescere su se stessi, germogliando dalle radici, dando vita a nuove piante, a nuove strutture naturali.
Nel caso specifico, mi sembra lei auspichi che, col tempo, la natura si riappropri degli spazi sottrattile e ribalti il concetto di geometria imposta dall’uomo, dall’artista in un continuun dialogico tra artificiale e naturale.
Mauro Staccioli: E’ esattamente così! Come ha visto all’inizio di questa passeggiata, la forma Diagonale e, poco distante, la realizzazione di una Piramide rossa. Quindi, sempre la geometria, ma ho dato ancora più valore a ciò che rappresenta, a ciò che contiene. La geometria è il nostro pensiero e il pensiero umano si costruisce attraverso la geometria; attraverso essa si formano delle prospettive, delle immagini, delle possibilità “altre” del nostro essere, del nostro vivere, del nostro stare nel mondo e non si può stare nel nostro mondo senza immaginare delle possibilità “altre” rispetto a quelle che noi abbiamo già trovato come forme del nostro vivere quotidiano. E la forma geometrica non è necessariamente intesa in senso astratto, dura, rigorosa; è una geometria che obbedisce agli umori delle domande: cosa faccio? perché lo faccio? cosa dico? perché lo dico? dove vado? perché vado? dove sto? perché sto ? e così via. Sono infinite le domande che noi possiamo porci e infinite sono le possibilità di una risposta in qualche modo plausibile, ragionevole . Quindi, il mio pensiero si fa senso nel momento in cui devo fare una cosa, costruire un segno: si fa pensiero, si fa qualcosa di tangibile; è una sensazione fortissima che io ho vissuto entrando nella Basilica. In essa ho visto uno spazio gigantesco, immenso dedicato a forze sovra terrene. Sono rimasto entusiasta e commosso nel guardare e pensare l’interno, mirando i corvi che volavano da una parte all’altra, disegnando volute maestose. In quel momento mi sono detto che dovevo fare un segno che avesse il senso dell’essere e dello stare nel mondo.
Questa è la sostanza del mio lavoro, detta esplicitamente: è la Diagonale che ho voluto costruire puntando all’ogiva che si apre verso l’ esterno della chiesa, in uno spazio infinito, un segno forte che sfora oltre i limiti dell’apertura muraria e si perde oltre lo spazio visivo; è Anello Catanzaro ‘11, una cosa eccezionale venuta fuori quando, pensando ad un lavoro che avrei lasciato alla città di Catanzaro, ho realizzato un cerchio, un tondo che sta davanti alla Basilica e che la incornicia.
Mette in continuità visiva, in collegamento l’uliveto ancora una volta…
Mauro Staccioli: L’uliveto diventa l’elemento cardine “nell’occhio” del tondo, ne diventa l’oggetto non più simbolico, ma reale che “ guarda” la struttura architettonica con i fantastici colori rossi dei suoi mattoni che diventano i “dialoganti”; l’anello, cioè, è una costruzione realizzata con l’intenzione di dialogare, di rendere ragionevole il mio fare un lavoro, una cosa con intenzioni straordinarie, universali.
D’altronde, l’universalità del lavoro artistico inevitabilmente fa parte del pensiero totale( che tutti gli uomini hanno); un pensiero che fa del sentimento religioso una cosa molto concreta, nonostante le codificazioni terrene della religione, e diventa molto concreta con questo suo essere una forma dell’indefinibile, facente parte del nostro credo fondamentale. La religione ha una forma di relazione, codificata dal punto di vista terreno dai grandi profeti, studiosi, pensatori, ma noi semplici persone abbiamo comunque presente nella nostra esistenza questo indicibile, questo imprecisabile, indefinito mondo che genericamente chiamiamo spirituale. Il nostro essere al mondo è impregnato di questa realtà indefinibile e imprescindibile della nostra esistenza.
E’ un po’ tutta la sua opera che va in questa direzione molto impregnata di valori simbolici, di rimandi a concetti sostanziali molto alti. Il Cerchio, quindi, celebra questo punto di passaggio verso l’infinito, verso il trascendente che assume in sé la natura, ma anche il luogo sociale e di culto che è rappresentato dai resti della Basilica normanna. Ma il cerchio è anche “ Cerchio imperfetto”, come titola una sua opera.
Mauro Staccioli: “Imperfetto” perché la perfezione non ci appartiene; è un’aspirazione, ma non ci è concessa: essa appartiene al soprannaturale. Mi pare un titolo coerente col mio lavoro; è come un punto sulla carta geografica: dà sempre un’indicazione precisa, ma imperfetta allo stesso tempo. “Perché vado là” non significa una specificità di luogo, definisce un’ipotesi, un’intenzione: quella di un andare, dove? In un posto! Quindi, indico. Io posso indicarlo questo posto, ma non lo posso definire in un rapporto perfetto.
L’imperfezione, quindi, come elemento linguistico fondamentale di comunicazione creativa?
Mauro Staccioli: Direi proprio di sì, perché l’arte, nonostante tutti i tentativi contrari, è parente stretta della religione; l’artista si veste di intenzioni che tendono ad ottenere un ben definito lavoro (una definizione formale che indica il lavoro dell’arte), ma, ad un certo punto, il lavoro deve comunque considerarsi finito, quel “finito” lascia sempre tante situazioni di indefinizione e, quindi, rimanda a quell’illusione vera che è la perfezione di un mondo inquadrato in una religione data. La ricerca del senso dell’esistenza fa parte del lavoro dell’artista; dare senso alle cose che facciamo credo sia la cosa più importante dell’arte. Una società che riesce a dotarsi di artisti è una società felice. Sicuramente.
Mi sembra che nelle opere installate nel Parco abbia cercato più un equilibrio, una visione unitaria che effetti stranianti o provocatori, come in altre occasioni.
Mauro Staccioli: Forse sì. Mi sono molto emozionato alla presenza di questo centro di documentazione storica sostanzialmente dato da una pavimentazione, da un percorso di mattoni rossi. Ho recepito un fatto reale, una situazione che rivedo nel taglio che il contadino ha prodotto nell’ulivo per farlo crescere e, quindi, l’ulivo, generosamente, cresce di nuovo, nonostante che il tronco maestro sia stato tagliato quasi alla radice. Sono cose che in qualche modo percepiamo e fanno parte del nostro vissuto che ogni tanto interroghiamo. L‘artista è teso, in particolare, ad interrogare il luogo e a darsi delle possibili risposte con le opere. Mi fa piacere che il “Tondo” trovi l’esistenza in uno spazio così caratterizzato dalla costruzione della Basilica, piuttosto che dalla pavimentazione dell’altro centro che è parallelo alla Basilica stessa, perché le pietre che ho valutato, considerato, sono curiosamente intatte, belle, pulite, levigate e sono lì che esistono da centinaia, migliaia di anni. Insomma, sono cose che ci appartengono e mi pare importante averle sottolineate. Con la Diagonale rossa mi interessa proprio segnalare, segnare questo tracciato nello spazio vero della chiesa e fuori di essa.
Quello che mi interessa molto è coltivare tre quesiti che mi pongo regolarmente: “cosa? Come? perché?” Se trovo la ragione di fare “cosa?”, benvenuta! Allora, faccio il lavoro; se non la trovo, devo in qualche modo ripercorrere queste domande per trarre il senso della cosa, dell’opera, la ragione per farla, per farla vivere.
I Tondi nel Foro sono riusciti a segnare un punto di comunione con le pietre di cui parla; sicuramente è in esse l’equilibrio che li fa vivere, sia pure per l’estensione temporale di questo evento espositivo.
Mauro Staccioli: Credo di sì. I Tondi sono un segno di vita, di esistenza dinamica. Il Foro è una pagina storica, rappresa dal tempo che l’ha consumata, trasformandone l’identità materiale. Allora i Tondi credo diventino un flusso dinamico del mondo storico, delle vicende umane che sono tante, sono infinite. A partire dai sandali che mi sono venuti in mente pensando alle scarpe, perché la gente ci ha camminato in questo spazio. Ho pensato alle scarpe: una cosa semplice. Realizzando questo lavoro, mi è venuto in mente il fatto che i romani antichi hanno anche loro usato le scarpe, i calzari, ho pensato a delle cose elementari e mi è sembrato che il Tondo rappresentasse pienamente l’aspetto dinamico, il nostro collegamento tra il mondo antico e il presente.
La dinamicità del pensiero che pensa la storia, la rende presente, la fa rivivere , è quella dinamicità che è propria del pensiero dell’artista?
Mauro Staccioli: Certo, o, perlomeno, l’artista si sente in dovere di riflettere su quest’aspetto della vita di altri tempi, che ci appartiene come vita odierna. La vita non si rinnova molto. Si rinnova nel farsi, nel determinare le nuove cose, che ci appartengono comunque. E non dobbiamo correre, dobbiamo soffermarci a pensare, dobbiamo imparare a ripensarci, a riconoscerci. Sono valori che dovrebbero appartenere a tutti, ma all’artista in modo particolare.
C’è una grande valenza etica in quello che sta spiegando e che, al di là del collegamento con la natura, presuppone la salvezza dell’uomo attraverso l’arte. L’arte deve essere elemento di riflessione su quello che siamo, su quello che siamo stati.
Mauro Staccioli: Io dico semplicemente di sì, perché l’arte, in fondo, è una materia affine alla religione. Gli uomini sono sempre stati impegnati nel trovare delle forme per credere nel futuro, per credere nel prossimo, per credere e, quindi, ci sono questi addentellati forti, precisi nel fare l’arte. Credo che l’arte possa diventare una sorta di grande supporto per il rinnovamento umano di cui tutti noi sentiamo il bisogno.
Anche questo soffermarsi nel mettere in comunicazione ha uno spessore etico importante, questo suo collegare in modo dialogico luogo sociale, luogo storico, luogo naturale…
Mauro Staccioli: La nostra vita ha bisogno di queste cose. Sentiamo tutti che ne ha bisogno. Lei ha parlato di etica ed è questo uno dei punti cardini del momento che stiamo attraversando. Dopo tutti i disastri che sono accaduti e continuano ad accadere… l’arte potrà essere una parte vitale del nuovo
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