Autore di piazze, fontane e installazioni nate per creare aggregazione, Vittorio Corsini è un avanguardista dell’arte partecipata, autore di progetti che danno voce ed espressione alle relazioni e alla memoria delle collettività. Dagli anni ottanta riflette sul concetto di abitare spazi pubblici e privati, e sulla parola come vettore di contenuti emotivi. Nel suo studio di Milano ci racconta il suo modo di pensare l’arte pubblica e ci parla di Voci, una mostra diffusa in collaborazione con cinque scrittori italiani a Peccioli, antico borgo toscano. Comune virtuoso grazie all’intraprendenza di un sindaco illuminato e appassionato d’arte contemporanea, da oltre vent’anni Peccioli investe su un riciclo virtuoso dei rifiuti, finanziando con i proventi un programma artistico e culturale che costituisce una fonte di ricchezza per il territorio. Il nuovo progetto vede protagonista Vittorio Corsini, in dialogo con cinque scrittori contemporanei.
Puoi raccontarmi come nasce la tua collaborazione con il Comune di Peccioli?
Vittorio Corsini: L’amicizia con l’attuale sindaco di Peccioli, Renzo Macelloni, nasce agli inizi degli anni ottanta. Per una serie di coincidenze abbiamo abitato nella stessa casa in Toscana per un paio d’anni, una casa molto particolare perché si trattava di un’antica badia del 900 dc. Era un luogo perso in mezzo alla campagna, dove avvenivano fenomeni inquietanti. Io, che sono completamente scettico su argomenti paranormali, non ho mai saputo spiegarmeli, tanto che per moltissimo tempo non ne abbiamo più parlato… Negli anni ci siamo tenuti in contatto: io avevo iniziato il mio percorso d’artista e Renzo, che aveva intrapreso la sua carriera politica, si teneva informato e mi chiedeva spesso consiglio. Nell’ ottobre del 2017 ho realizzato quattro installazioni pubbliche per Peccioli. Il percorso si apriva con due opere: Lo Sguardo di Peccioli (centinaia di fotografie degli occhi degli abitanti del paese appese sul muro della Pieve di san Verano N.d.A.), che voleva essere uno sguardo locale sul borgo, e Light Mood, realizzata per il Centro Polivalente, che era invece uno sguardo diffuso su tutto il territorio italiano. È un’operazione che attraverso un algoritmo complesso analizza tutti i tweet prodotti in Italia circa ogni 15 minuti, classificandoli per contenuto. A seconda del ‘mood’ che trasmettono, i tweet vengono trasformati in diversi colori. Mi piaceva l’idea di mettere in relazione lo sguardo di una comunità con quello della nazione. Per Voci, il concetto di fondo è simile, ma oltre a Peccioli questo progetto coinvolge in un percorso, principalmente in chiese nei borghi vicino a Peccioli. Cinque scrittori, Laura Bosio, Mauro Covacich, Maurizio de Giovanni, Romano De Marco, Ferruccio Parazzoli, Laura Pugno, hanno scritto dei racconti brevi nati dall’incontro con il territorio. I miei interventi interagiscono con le chiese costruendo il modo per ascoltare queste storie narrate degli stessi autori.
Mi hanno colpito in modo particolare l’installazione della Chiesa della Madonna del Carmine e l’intervento all’interno del Campanile della Chiesa di San Verano, entrambi a Peccioli. Due racconti intensi e due interventi minimali…
Vittorio Corsini: Tutti i racconti sono effettivamente intensi. Il primo lavoro era stato concepito come una fontana e comprende due panche in marmo bianco, su cui ci si può sedere, attivando la voce che narra la storia. Le panche abbracciano un cilindro in marmo nero riempito di perle di vetro, per dare il senso di come la protagonista, una ragazza ucraina sfuggita alla guerra, viene abbracciata da una nuova comunità. Il secondo lavoro, nella torre, è una luce che illumina il corrimano del Campanile di San Verano, sottolineando il vuoto centrale e l’altezza. M’interessava enfatizzare l’idea di spirale, proprio come la spirale in cui si trovano coinvolti, senza possibilità di scampo, i protagonisti della storia, che inizia con un gesto d’amore e finisce in dramma.
Com’è nata l’idea di collaborare con scrittori per realizzare le opere di Voci?
Vittorio Corsini: L’idea di legare arte visiva e racconto è nata per la prima volta nel 2007 quando Cantagallo, un piccolo comune fra Toscana ed Emilia, mi ha chiesto attraverso il museo Pecci di realizzare una scultura pubblica. Il paese ha una vista meravigliosa, ed ho pensato di installare in un punto panoramico un’opera che legasse questa caratteristica ai suoi abitanti. Ho realizzato una panchina sormontata da una struttura simile a una nuvola, che di notte si trasforma in lampione. Sedendosi su ‘Chi mi parla?’ si attiva il racconto di storie di personaggi del luogo. Dal vernacolare sono poi passato alla letteratura nel 2011, collaborando con la scrittrice Melania G. Mazzucco e il poeta Valerio Magrelli per un lavoro sulla terrazza del Macro, a Roma, ispirato all’idea d’incontro e accoglienza. Intitolata Xenia, parola che riassume il concetto di ospitalità nell’antica Grecia, l’installazione consisteva in una staccionata ai lati di una panca, tutto in legno bianco. Davanti ad una splendida veduta dei tetti di Roma, si potevano ascoltare un racconto che parlava dell’incontro della Mazzucco con un senzatetto alla stazione, e una poesia di Magrelli, ispirata da una passeggiata con il figlio per la città. Le due parti laterali della staccionata attivandosi vibravano, e raccontavano queste storie. Anche in questo caso volevo creare l’idea del racconto come un abbraccio all’ascoltatore.
Anche la parola scritta è protagonista nelle tue opere, mi faresti qualche esempio?
Vittorio Corsini: Le parole scaldano, realizzata nel 2005, una fontana creata per una piazza nella città di Quarrata. È una ‘scultura abitabile’, perché permette alle persone di vivere la piazza. Consiste in una casa di vetro, accessibile, di cui una parete è una cascata d’acqua. Sul vetro sono riportate, con la grafia originale di chi le ha scritte, le parole raccolte per mezzo di cassette che avevo disseminato per la città, chiedendo agli abitanti che cosa avrebbero voluto scrivere sulla fontana. Un gesto potenzialmente indesiderato, com’è quello delle scritte sui monumenti, è stato assorbito nell’opera come prodotto della voce della comunità. L’effetto sorpresa, perché non previsto prima della realizzazione del lavoro, è che una volta all’interno della casa si percepisce unicamente il rumore dell’acqua: sembra di essere trasportati altrove pur avendo piena visione della città.
Concettualmente diverso, per quanto riguarda l’uso della parola, è un altro progetto in cui ho coinvolto due coppie, domandando loro di scrivere le frasi o le parole pronunciate in alcuni momenti della giornata, parole dette in modo diretto, senza pensare. Le scritte, su cartoncini bianchi, sono state collocate dentro alle maquette in plexiglass delle loro case. Il punto del lavoro era quello di riflettere sul peso delle parole in una relazione. La parola è uno scambio profondo, anche quando non è razionale: può essere freccia incendiaria, dono o carezza, ma in ogni modo rimane e ha un peso che determina il destino dei rapporti.
A volte invece cancelli le parole, ad esempio nei tuoi tappeti di segatura che hanno scritte o simboli che vengono poi cancellati dai passi degli spettatori. Nel progetto Incipit Vita Nova cancellavi bandiere.
Vittorio Corsini: Sì, era un progetto realizzato alla Fortezza Nuova di Livorno nel 2013. Avevo preparato 400mq. di bandiere, un lavoro pazzesco. Le bandiere sono simboli nel cui nome si sono sempre scatenate guerre. Nell’installazione le bandiere erano calpestate dai visitatori e a poco a poco si mescolavano. L’uomo ha sempre camminato per il mondo, e con il suo incedere cancella i confini.
Hai spesso parlato dell’importanza dello ‘sguardo’ nel tuo lavoro.
Vittorio Corsini: Nel concepire i miei lavori penso sempre al tipo di sguardo che intendo attivare. Per me un’opera è l’inizio di un percorso mentale, non la fine. Lo sguardo che m’interessa non è lo sguardo prospettico, analitico, centrale e monodirezionale, tipicamente maschile, ma uno sguardo laterale, diffuso, capace i comprendere un ampio campo di visione, uno sguardo più legato alla fisiologia femminile, che io ho appreso praticando Aikido. La mia serie Sul Finire dell’Occhio (quadri monocromi in cui velature di colore sovrapposte più o meno intenso sono animati da una striscia di luce verticale N.d.A.), sono concepiti proprio per attivare questo tipo di sguardo, per essere percepiti al limite della visione, con la coda dell’occhio.
Definiresti il tuo lavoro ‘estetica relazionale’?
Vittorio Corsini: Se ti riferisci al testo di Bourriaud, ho iniziato a lavorare con questo concetto molto prima che venisse messo nero su bianco. Nell’89 ho realizzato la mia prima scultura pubblica a Pontassieve, per la quale avevo elaborato due possibilità: la prima, che poi scartai, consisteva in un recinto che rendeva inaccessibile, e contemporaneamente più visibile, una zona verde incolta all’interno di una piazza. La seconda, Romanza, sempre per uno spazio di passaggio con del verde incolto, consisteva nel piantare un albero e intorno ad esso un camminamento con una doppia staccionata in fusione di bronzo. Volevo trasformare uno spazio in un luogo, con dei punti di riferimento per chi l’attraversava.
Hai spesso espresso l’idea che il paesaggio è imprescindibile da chi lo abita…
Vittorio Corsini: Assolutamente, il mondo è costituito da relazioni, il soggetto da solo non esiste, perché il sé si costruisce incontrando gli altri. È un’idea che fatico a veicolare ai miei studenti, che spesso restano legati allo stereotipo dell’artista che deve scavare dentro sé per trovare chissà quale rivelazione. Alla base di molti dei miei lavori c’è il concetto di ‘Ubuntu’, parola che in lingua bantu significa: noi esistiamo in relazione agli altri. È chiaramente espresso, ad esempio, in un’opera che realizzai per una mostra alla Galleria Civica di Modena nel 2012. Un paesaggio murale in bianco e nero, stilizzato e ridotto a segni, dove le case sulle colline modenesi erano indicate solo dai nomi delle persone che le abitavano. Il paesaggio per me è un collante di relazioni umane, anche se noi non lo percepiamo come tale, e i suoi abitanti sono la forza che lo tiene insieme.
Il tuo pensiero sembra essere controcorrente rispetto alla crescente contrapposizione di pubblico e privato come realtà separate o addirittura come poli antagonisti.
Vittorio Corsini: Sì purtroppo questa separazione è lo stato di cose disastroso in cui ci troviamo. Abbiamo perso una parola comune. Un mondo ‘cellularizzato’ è un mondo che ha bisogno di consumare, di fagocitare per riempire dei vuoti relazionali, è necessario trovare altri percorsi.
Pensi che questi percorsi si possano trovare attraverso nuovi sensi di comunità creati dai social media e dal web?
Vittorio Corsini: I social e il web sono utili e potenti, e certamente offrono delle possibilità meravigliose, salvo che a volte diventano vere ossessioni e soprattutto creano un gran rumore di fondo che invade il nostro spazio e ci fa perdere tempo. Il problema è che le ideologie e le religioni un tempo ci fornivano una ‘misura’, giusta o sbagliata che fosse. Oggi manca una misura. Tutti possono parlare di tutto, spesso a sproposito. Come diceva Umberto Eco, almeno prima gli imbecilli erano relegati al bar dello sport… Un effetto negativo di questo stato di cose è che le parole hanno perduto spessore, non hanno più radici, e in un certo senso questo accade anche con i luoghi. Riflettevo l’altro giorno sulle carte geografiche cancellate di Emilio Isgro’, dove l’indicazione di una città, un nome non cancellato, ne amplifica il significato e la profondità…oggi con la rete succede esattamente l’opposto, anche i luoghi sembrano aver perso profondità e identità, essere soggetti ad un processo di omologazione.
Un tuo progetto nel prossimo futuro?
Vittorio Corsini: Ti racconto di un progetto a cui tenevo molto, ma che purtroppo non riesco a realizzare. Mi è stato chiesto lo scorso dicembre un progetto per Piazza del Duomo a Milano. Ho pensato ad un grande tappeto di segatura rossa, con una singola parola a caratteri bianchi nel mezzo, odio, che sarebbe stata cancellata dall’incedere passanti. Avevo il benestare di tutti, dagli assessori alla sicurezza, ma purtroppo la Sovrintendenza alla fine ha espresso parere negativo.
In un’intervista hai detto che il tuo obbiettivo è la felicità. Pensare positivo in termini artistici, può a tuo parere influire sulla realtà?
Vittorio Corsini: Sì sicuramente, ogni segno ha le sue conseguenze, innesta processi a catena e se non la felicità spero di poter dare almeno un momento di gioia.
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